Mercoledì 11 Ottobre 2017 si è svolta la 5° edizione del Convegno sullo Smart Working del Politecnico di Milano, intitolata “Smart Working: sotto la punta dell’iceberg“.
Quest’anno, diversamente dai precedenti, non sono stati forniti alcuni dati – quali ad esempio la percentuale di smart workers suddivisi per area geografica, età media, genere e numero di ore medie lavorate – sui quali, pertanto, non è possibile fare un confronto con lo scorso anno.
In Italia, gli Smart Workers aumentano del 14% rispetto al 2016 e del 60% rispetto al 2013, raggiungendo, secondo le stime, quota 305.000.
Il fenomeno non è circoscritto al settore privato, ma interessa anche le lavoratrici e i lavoratori della la pubblica amministrazione (che rappresentano il 17% degli Smart Workers complessivi). Con la riforma Madia, anche il loro numero nelle Pubbliche Amministrazioni è destinato a salire nei prossimi anni.
Da diversi anni, molte grandi aziende con oltre 250 addetti hanno lanciato sperimentazioni di Smart Working. Buona parte di queste si sono in seguito estese all’interno delle imprese stesse. Il 36% del campione dichiara di avere in corso progetti strutturati ( che riguardano almeno due leve di progettazione tra flessibilità di luogo, flessibilità di orario, ripensamento degli spazi, orientamento ai risultati e dotazione tecnologica da remoto). Tra coloro che hanno attivato progetti strutturati, il 39% è in fase di sperimentazione mentre il 35% ha già superato la fase progettuale e sta procedendo con l’allargamento del numero di persone coinvolte. Solo il 26% ritiene il progetto di Smart Working maturo e quindi coinvolge una percentuale alta di lavoratrici e lavoratori. E’ all’interno di queste ultime che lo Smart Working si traduce davvero in un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro che riguarda la flessibilità nella scelta degli spazi e degli orari di lavoro, il ripensamento degli ambienti, lo sviluppo di nuovi strumenti e competenze digitali e la diffusione di modelli manageriali basati su autonomia e responsabilizzazione dei ai risultati. Si tratta ancora, comunque, di una percentuale modesta, che si aggira attorno al 9%.
L’ “effetto moda” e i limiti della cultura manageriale delle imprese in Italia fanno sì che, in molti casi, lo Smart Working venga interpretato in modo superficiale, dando importanza solo ad alcune leve, legate al “remote banking”, cioè alla possibilità di lavorare da casa, da altre sedi aziendali o da luoghi esterni, come spazi di coworking o business center (47% dei casi).
Nei progetti di remote working, il numero delle persone coinvolte varia a seconda della fase di maturità dell’iniziativa. Nelle fasi iniziali, mediamente, viene coinvolto il 10% della popolazione aziendale, mentre in fase di estensione si arriva in media al 38%.
Tra le persone maggiormente coinvolte nei progetti vi sono coloro che svolgono un tipo di attività adatta a lavorare da remoto e che dispongono di una dotazione tecnologica adeguata, quindi coloro che lavorano nella funzione HR (72%), IT (67%) e Marketing (67%). E’ però interessante notare come inizino a essere incluse nei progetti anche alcune figure professionali che svolgono attività più operative, quali gli operatori di call center o progettisti.
Il modello di remote working più utilizzato nelle aziende prevede 4 giorni al mese (43%), seguito da 8 giorni al mese (22%). Sono pochi i casi in cui non viene posto alcun limite (11%) e si tratta delle esperienze in cui i progetti sono più maturi.
IL LAVORO AGILE: LA LEGGE E LA CIRCOLARE INAIL
Il 14 giugno 2017, con la pubblicazione sulla G.U., è entrata in vigore la legge 22 maggio 2017, n. 81 con la quale, per la prima volta, sono stati regolamentati il lavoro autonomo e il cosiddetto “lavoro agile“, meglio conosciuto con il nome di “Smart Working”.
Al lavoro agile viene dedicata la seconda parte del provvedimento (dall’art. 18 all’art. 23).
Lo Smart Working trova applicazione nel rapporto di lavoro subordinato, sia pubblico che privato.
Vediamo in maniera sintetica le principali caratteristiche dello Smart Working, così come stabilito nella legge. Innanzitutto, viene indicato che lo scopo è quello di incrementare la competitività e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Lo Smart Working viene definito come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto tra le parti (datore di lavoro e lavoratore) e individua, altresì, i tempi di riposo nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. L’accordo può essere a termine o a tempo indeterminato. In quest’ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Esso può essere esercitato da ciascuna delle parti e ha, come conseguenza, il ripristino della prestazione “in toto” all’interno dell’azienda. La contrattazione collettiva può prevedere un termine diverso che, però, non potrà essere inferiore a quello di legge. Per i lavoratori disabili, il preavviso di on può essere inferiore a novanta giorni.
Il trattamento economico e normativo non può essere inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. Viene, altresì, riconosciuto il diritto all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle relative competenze.
L’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali deve avvenire nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e, a tal fine, consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Viene sancito il diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. Il 2 novembre 2017 è stata pubblicata la circolare Inail
n. 48/2017 in cui sono state fornite le prime indicazioni operative.
Innanzitutto, è stato chiarito, per quanto riguarda la classificazione di rischio e le tariffe assicurative, che sono le medesime sia che la prestazione avvenga nella sede aziendale sia che avvenga in locali esterni all’azienda. I datori di lavoro non hanno alcun obbligo di denuncia ai fini assicurativi nel caso in cui il personale dipendente, già assicurato per le specifiche attività lavorative in ambito aziendale, sia adibito alle stesse mansioni in modalità agile che non determini una variazione del rischio.
Per quanto concerne la tutela assicurativa, i lavoratori in modalità agile sono assicurati applicando i criteri di carattere generale validi per tutti gli altri lavoratori, col solo limite del rischio elettivo, cioè l’infortunio determinato da un comportamento doloso del lavoratore. Gli infortuni occorsi mentre il lavoratore presta la propria attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali e nel luogo prescelto dal lavoratore stesso sono tutelati se causati da un rischio connesso alla prestazione lavorativa. Viene ricordato anche che il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il percorso di andata e ritorno dal luogo dell’abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali (infortunio in itinere), purché la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza. L’Inail inoltre, ricorda che il lavoratore in smart working è tutelato non solo per gli infortuni collegati al rischio proprio della sua attività lavorativa, ma anche per quelli connessi alle attività prodromiche e/o accessorie, purché strumentali allo svolgimento delle mansioni proprie del suo profilo professionale. In tale quadro, l’accordo individuale, previsto dalla legge sul lavoro agile, si configura come lo
strumento utile per l’individuazione dei rischi lavorativi ai quali il lavoratore è esposto e dei riferimenti spazio- temporali, ai fini del rapido riconoscimento delle prestazioni infortunistiche
Sul sito del Ministero del Lavoro è disponibile un modello per consentire ai datori di lavoro di comunicare l’avvenuta
sottoscrizione dell’accordo per lo svolgimento della prestazione in modalità agile. https://www.inail.it/cs/docs/testo-integrale.circolare-n-48-del-2-novembre-2017.pdf
05 dicembre 2017
Esecutivo Nazionale Donne