Reinserimento lavorativo in caso di infortunio / malattia professionale

Ritrovare il proprio posto di lavoro anche dopo aver subito un infortunio o essere stato colpito da una malattia professionale è un diritto per le lavoratrici e i lavoratori.

Riguardo questo argomento il ragionamento da fare non può non partire dalla legge 12 marzo 1999 n° 68 che prevede norme specifiche a favore proprio di quei lavoratori che siano divenuti disabili a seguito di infortunio o malattia professionale prevedendo all’articolo 1 comma 7 che i datori di lavoro, sia pubblici sia privati, debbano garantire la conservazione del posto di lavoro a quei soggetti che non disabili all’atto dell’assunzione lo siano diventati in corso del rapporto di lavoro.

La Direttiva 2000/78/CE , con la norma contenuta nell’art. 5, ha incluso  una concezione più ampia e dinamica di handicap che, al di là della sua derivazione, psichiche o fisica, prevede la determinazione e valutazione  delle misure di adattamento, le quali dipendono a loro volta unicamente dalle concrete esigenze di integrazione professionale della persona con handicap/disabilità.

Tale normativa, comunque, deve essere sempre analizzata congiuntamente al D.Lgs 81/2008 che prevede, all’articolo 42, comma l, che il datore di lavoro anche in considerazione di quanto disposto dalla legge n. 68 / 1999, attui le misure indicate dal medico-competente e qualora le stesse prevedano una inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute.

Quindi, dalla fine del secolo scorso le leggi che si sono susseguite hanno rivisitato il concetto di disabilità, stabilendo che il disabile (sia che la disabilità derivi dal rapporto di lavoro o che abbia altra causa) ha diritto a non essere discriminato sul posto di lavoro ma, anzi, deve essere reinserito con accomodamenti ragionevoli tanto dal punto di vista “edilizio” ed “organizzativo” quanto a livello di formazione e riqualificazione.

E’ importante sottolineare che, l’obbligo di ragionevoli adattamenti, dovrà essere commisurato concretamente a tutte le misure, compreso modifiche al modello organizzativo aziendale, atte a scongiurare il licenziamento del lavoratore.

L’INAIL può intervenire per favorire il reinserimento lavorativo stanziando per ogni singolo progetto e, quindi, per ogni singolo lavoratore coinvolto le cifre che poi specifichiamo e che si riferiscono esattamente alle tre distinte tipologie di interventi finalizzati al reinserimento e all’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro: 95 mila euro per gli interventi di abbattimento delle barriere, di 40 mila euro per l’adeguamento delle postazioni e di 15 mila per la formazione, per un totale di massimo 150 mila euro rimborsabili al datore di lavoro. Gli importi delle prime due voci sono rimborsabili, entro i limiti previsti, al 100%, i costi della formazione massimo al 60%.

Il datore di lavoro deve condividere il progetto ed aderirvi; nel caso in cui nell’azienda non ci siano le condizioni per esplicitare il progetto, lo stesso può essere fatto valere per un’altra azienda.

Il progetto può essere costruito presso ogni sede INAIL dove viene elaborato da una commissione interdisciplinare.

Il D.Lgs 38/2000, all’articolo 4, con l’introduzione del danno biologico nell’oggetto della tutela garantita dall’Istituto, riconosce anche all’INAIL competenza in materia di riqualificazione professionale e ricollocazione lavorativa dei disabili a causa di lavoro, nella ottica della tutela globale dell’infortunato/tecnopatico.

Tale competenza si concretizza nella realizzazione di iniziative speciali per promuovere l’impiego delle persone disabili, tra cui il finanziamento di progetti per l’abbattimento delle barriere architettoniche e di progetti formativi di riqualificazione.

Questa importante funzione è stata rafforzata da quanto previsto nell’articolo 1, comma 166, della legge n.190/2014  che  dispone di attribuire  all’INAIL  le  competenze  in  materia   di reinserimento  e  di  integrazione  lavorativa  delle   persone   con disabilità da lavoro,  da  realizzare  con  progetti  personalizzati mirati alla conservazione del posto di lavoro o alla ricerca di nuova occupazione,   con   interventi formativi di riqualificazione professionale, con progetti per il superamento e  per  l’abbattimento delle barriere architettoniche sui luoghi di lavoro,  con  interventi di  adeguamento  e  di  adattamento  delle  postazioni   di   lavoro.

Il datore di lavoro è obbligato ad esperire questo percorso anche nel caso intervenga una dichiarazione di inidoneità alla mansione: l’azienda non può licenziare il lavoratore se non ha attuato tale percorso e, nel caso questo dovesse avvenire va impugnato il licenziamento.

Infatti, sia pur in maniera molto generica, con la legge n. 99 del 2013, appare esplicitamente indicato l’obbligo agli accomodamenti ragionevoli (accomodamenti ragionevoli sono ad esempio: interventi di natura materiale, interventi di natura strutturale, dalla sostituzione di macchinari alla ristrutturazione edile dell’ambiente di lavoro, trasferimento del lavoratore, riduzione o riarticolazione dell’orario di lavoro ecc).

A partire da giugno 2013 il licenziamento intimato ad un disabile (con disabilità maturata sia in ambito civile, INPS o INAIL) o ad un lavoratore divenuto inidoneo, configurano, ai sensi del D.Lgs. n. 216/2003 art. 3 comma 3 bis (così come integrato  dal Decreto legge n. 76 del 28/06/2013  e dalla sua successiva conversione in legge avvenuta  con la Legge n 99 del 9/8/2013),  discriminazione di un soggetto portatore di una forma di handicap, qualora prima di intimarne il licenziamento il datore di lavoro non abbia tentato di adottare accomodamenti (adattamenti) al luogo o alla sua postazione di lavoro; tali accorgimenti devono tuttavia comportare per il datore di lavoro una spesa ragionevole, ossia proporzionata alla sua capacità di spesa,  ma essere allo stesso tempo tali da  scongiurare la perdita del posto di lavoro da parte del lavoratore portatore dell’handicap.

Ne consegue che, mentre in precedenza il licenziamento per giustificato motivo del lavoratore con sopraggiunta disabilità da parte del datore di lavoro poteva essere attuato dimostrando semplicemente che all’interno dell’organizzazione di lavoro non ci fosse più alcuna attività adatta a quel lavoratore, ora tale licenziamento può essere attuato solamente se il lavoratore non è più collocabile anche dopo aver attuato ogni accomodamento ragionevole.

Un ultimo accenno va fatto alla tematica del danno differenziale come aspetto legato, comunque, al concetto di responsabilità del datore di lavoro nel caso di infortunio o malattia professionale per il lavoratore.

La tutela risarcitoria si coniuga perfettamente con il tema della prevenzione e della sicurezza sul lavoro ed anche con la tutela della dignità del lavoratore, che afferma il suo diritto alla integrità fisica e psicologica e rifiuta lo scambio tra salute e salario.

La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che qualora le assenze siano in tutto o in parte dovute a malattie professionali (secondo alcuni CCNL è sufficiente questo solo dato) o a malattie professionali conseguenti la violazione delle norme sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il datore di lavoro, responsabile della malattia e dunque inadempiente a quelle norme, non possa legittimamente licenziare il proprio dipendente.

Analoghe argomentazioni potrebbero essere svolte a beneficio della impugnabilità dei licenziamenti per la supposta inidoneità dei lavoratori alle mansioni.

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