Come abbiamo anticipato, la legge del 2012 ha lasciato immutate le tipologie e in parte anche le procedure di licenziamento, ma è intervenuta con un’azione di “spacchettamento” delle tutele per il caso di licenziamento illegittimo: le tutele sono state frammentate, sminuzzate in numerose distinzioni e suddistinzioni.
Il successivo decreto legislativo n. 23/2015 è intervenuto con il fine analogo perseguito dalla legge del 2012 – vale a dire decurtando ulteriormente le tutele per i lavoratori, anche se limitatamente ai nuovi assunti – ma con modalità opposte, operando una radicale semplificazione nell’ottica di una pressoché generalizzata tutela monetaria e lasciando la reintegra in pochi casi eccezionali. Come già anticipato, il decreto del 2015 ha lasciato in vigore la normativa del 2012 per i vecchi assunti.
In considerazione della complessità del quadro normativo, al fine di un’esposizione il più possibile chiara è necessario procedere in maniera schematica, analizzando per punti le 4 principali categorie di tutela introdotte dalla legge del 2012 (art. 1 comma 42) con le successive modifiche apportate per i nuovi assunti dal decreto legislativo n. 23/2015.
In queste pagine, prenderemo in esame i soli licenziamenti individuali per giusta causa e giustificato motivo soggettivo, vale a dire i soli licenziamenti disciplinari. Non tratteremo i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e i licenziamenti collettivi.
A) “Tutela reale”: reintegro e risarcimento pieno del danno (legge n. 300/1970 nuovo art. 18 commi 1, 2 e 3 per i vecchi assunti – decreto legislativo n. 23/2015 art. 2 per i nuovi assunti).
Si verifica nei casi in cui il licenziamento è :
- discriminatorio (legge n. 108/1990 art.3) e quindi in via esemplificativa, intimato da motivi politici, sindacali, razziali, religiosi, di orientamento sessuale ecc.;
- intimato in concomitanza di matrimonio (d.lgs. n. 198/2006 art. 35);
- intimato in violazione delle leggi a tutela della maternità e paternità (d.lgs. n. 151/2001 art. 54);
- riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge (ma l’elencazione contenuta nel nuovo art. 18 sembra esaustiva);
- determinato da motivo illecito determinante (art. 1345 codice civile), l’esempio più immediato è il licenziamento per ritorsione;
- intimato in forma orale.
La sentenza che dichiara la nullità del licenziamento comporta:
- il reintegro sul posto di lavoro;
- il risarcimento del danno per un importo pari ad un minimo di 5 mensilità di stipendio, senza che vi sia un limite massimo (dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altri lavori durante il periodo di estromissione);
- il versamento dei contributi per il periodo di estromissione.
In alternativa al reintegro, il lavoratore può scegliere un’indennità monetaria pari a 15 mensilità di stipendio, oltre al risarcimento del danno, come sopra quantificato.
Il decreto n. 23/2015 (art.2) ha ripreso telle quelle la normativa introdotta nel 2012, che quindi è confermata anche per le assunzioni successive al 7 marzo 2015.
B 1) “Tutela reale”: reintegro e risarcimento del danno in misura ridotta (legge n. 300/1970 nuovo art. 18 commi 4 e 7 per i vecchi assunti).
Si verifica nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa sia privo degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotta dal datore di lavoro; in particolare, la mancanza della giusta causa o del giustificato motivo si verifica nel caso in cui:
* il fatto contestato non sussiste;
* il fatto contestato rientra fra quelli per cui i contratti collettivi o i codici disciplinari prevedono una sanzione conservativa.
La sentenza che dichiara la nullità del licenziamento comporta:
- il reintegro sul posto di lavoro;
- il risarcimento del danno per un importo pari ad un massimo di 12 mensilità di stipendio, senza che vi sia un limite minimo (dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altri lavori durante il periodo di estromissione oppure quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di un altro lavoro);
- il versamento dei contributi per il periodo di estromissione.
In alternativa al reintegro, il lavoratore può scegliere un’indennità monetaria pari a 15 mensilità di stipendio, oltre al risarcimento del danno, come sopra quantificato.
B 2) “Tutela reale”: reintegro e risarcimento del danno in misura ridotta (decreto legislativo n. 23/2015 art. 3 comma 2 per i nuovi assunti).
Si verifica esclusivamente nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa sia privo degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotta dal datore di lavoro; ciò può avvenire solo nel caso in cui il fatto materiale contestato non sussiste.
Il decreto precisa espressamente che l’accertamento del giudice deve riguardare il fatto materiale e che ciò sia “direttamente dimostrato”; precisa altresì che il giudice non può effettuare alcuna valutazione riguardo la proporzione fra il fatto contestato ed il licenziamento.
La precisazione circa il fatto materiale, è finalizzata a superare le interpretazioni portate avanti da numerose sentenze di tribunale successive alla legge n. 92/2012, che avevano disposto la reintegra del lavoratore per l’insussistenza del fatto giuridico. La scelta di togliere al giudice ogni valutazione circa la proporzionalità del licenziamento al fatto contestato ha lo scopo di bloccare la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che portava ad annullare o derubricare il licenziamento comminato a fronte di fatti di assoluta tenuità. L’ulteriore inciso circa la “diretta dimostrazione” è da intendersi nel senso che l’onere della prova spetta al lavoratore, rendendo quindi ancora più eccezionale l’applicazione di tale norma.
La sentenza che dichiara la nullità del licenziamento comporta:
- il reintegro sul posto di lavoro;
- il risarcimento del danno per un importo pari ad un massimo di 12 mensilità di stipendio, senza che vi sia un limite minimo (dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altri lavori durante il periodo di estromissione oppure quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di un altro lavoro);
- il versamento dei contributi per il periodo di estromissione.
In alternativa al reintegro, il lavoratore può scegliere:
- un’indennità monetaria pari a 15 mensilità di stipendio;
- all’indennità si aggiunge il risarcimento del danno, come sopra quantificato.
C1) “Tutela monetaria”: indennità onnicomprensiva (legge n. 300/1970 nuovo art. 18 comma 5 per i vecchi assunti).
Si verifica nel caso in cui il licenziamento è privo degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotta dal datore di lavoro, per casi diversi da quelli previsti dal comma 4;
La sentenza che accerta l’irregolarità del licenziamento comporta:
- la risoluzione del rapporto di lavoro;
- il pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva per un importo pari ad un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità di stipendio.
C2) “Tutela monetaria”: indennità onnicomprensiva (decreto legislativo n. 23/2015 art. 3 comma 1 per i nuovi assunti).
Si verifica nei casi in cui il licenziamento è privo degli estremi del giustificato motivo o della giusta causa addotta dal datore di lavoro, in tutti i casi diversi da quelli previsti dal comma 2.
La sentenza che accerta l’irregolarità del licenziamento comporta:
- la risoluzione del rapporto di lavoro;
- il pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva per un importo pari a 2 mensilità di stipendio per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mensilità; tale indennità è esente da contribuzione previdenziale.
D1) “Tutela monetaria”: indennità onnicomprensiva ridotta (legge n. 300/1970 nuovo art. 18 comma 6 per i vecchi assunti).
Si verifica nei casi in cui il licenziamento è inefficace per mancanza di motivazione oppure per vizi di procedura.
La sentenza che accerta l’irregolarità del licenziamento comporta:
- la risoluzione del rapporto di lavoro;
- il pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva per un importo pari ad un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilità di stipendio.
D2) “Tutela monetaria”: indennità onnicomprensiva ridotta (decreto legislativo n. 23/2015 art. 4 per i nuovi assunti).
Si verifica nei casi in cui il licenziamento è inefficace per mancanza di motivazione oppure per vizi di procedura.
La sentenza che accerta l’irregolarità del licenziamento comporta:
- la risoluzione del rapporto di lavoro;
- il pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva per un importo pari a 1 mensilità di stipendio per ogni anno di servizio, con un minimo di 2 ed un massimo di 12 mensilità; tale indennità è esente da contribuzione previdenziale.
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Dopo aver esaminato le diverse forme di tutela del lavoratore licenziato illegittimamente, introdotte dalle leggi del 2012 e del 2014-15, è necessario un corollario in ordine ai limiti dimensionali dell’impresa in relazione all’applicazione delle tutele medesime, tenendo sempre conto del “doppio binario”.
Legge n. 92/2012, per i vecchi assunti.
I limiti dimensionali dell’impresa sono inseriti nel nuovo art. 18 commi 8 e 9, che peraltro mantengono l’impianto normativo precedente.
La “tutela reale” per i licenziamenti discriminatori (nuovo art. 18 commi 1-3) si applica a prescindere dalle dimensioni dell’impresa.
Invece, le altre tutele (nuovo art. 18, commi 4-7) si applicano ai datori di lavoro che occupano:
- in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio, reparto nel quale si è verificato il licenziamento almeno 15 lavoratori (5 se trattasi d’imprenditore agricolo);
- nello stesso comune almeno 15 lavoratori (5 se trattasi d’imprenditore agricolo) anche se le singole unità produttive non raggiungono tale limite;
- in ogni caso più di 60 dipendenti.
I limiti dimensionali si computano tenendo conto dei lavoratori a tempo parziale, per la quota di orario svolto. Non si computano invece il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il 2° grado in linea diretta e collaterale.
Decreto legislativo n. 23/2015, per i nuovi assunti.
La “tutela reale” nei soli casi di licenziamento discriminatorio o nullo (art. 2) continua ad applicarsi a prescindere dalle dimensioni dell’impresa.
Invece, la tutela reale con risarcimento del danno in misura ridotta (gli sparuti casi previsti dall’art. 3 comma 2) si applica soltanto nel caso in cui l’impresa raggiunga i requisiti dimensioni dell’art. 18 della legge n. 300/1970 sopra riportati.
Le tutele indennitarie per la generalità dei casi di licenziamento illegittimo (art. 3 comma 1 e art. 4) si applicano a prescindere dalle dimensioni dell’impresa; tuttavia, per le piccole imprese che sono al di sotto dei requisiti dimensionali, le indennità sono dimezzate e possono arrivare al massimo ad appena 6 mensilità.
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Infine, è necessario un cenno in ordine alla procedura conciliativa del tutto nuova ed applicabile alla generalità dei licenziamenti – compresi quelli disciplinari – introdotta dal decreto legislativo n.23/2015, art. 6. Per quanto ovvio, si tratta di una norma valida per i nuovi assunti.
In sintesi, entro il termine di 60 giorni dal licenziamento, il datore di lavoro può offrire al lavoratore licenziato una somma a titolo transattivo, mediante assegno circolare, pari ad una mensilità per ogni anno di anzianità, con un minimo di 2 ed un massimo di 18 mensilità complessive. Tale somma è esente da imposte e da contributi previdenziali; le somme eccedenti i limiti sopra indicati sono invece soggette a tassazione.
La transazione deve avvenire nelle sedi previste dall’art. 2113 codice civile e dall’art. 76 del decreto legislativo n. 276/2003 .
L’accettazione dell’assegno in sede transattiva comporta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche se tale impugnazione fosse già stata avanzata prima dell’offerta transattiva.
Lo scopo dichiarato di questa procedura è quello di ridurre il numero dei processi. Probabilmente sotto tale punto di vista potrebbe avere successo, in quanto consente al lavoratore di incassare subito una somma non così inferiore a quelle che otterrebbe in caso di sentenza favorevole, evitando l’alea sia del giudizio che dei tempi processuali. L’aspetto critico è a monte e sta nella tutela giuridica ormai del tutto modesta offerta al lavoratore illegittimamente licenziato.