Un grande assente: il Mezzogiorno

Siamo ormai alle ultime battute di una campagna elettorale tutta incentrata e influenzata da scandali e malaffare, vecchi e nuovi. E il Mezzogiorno non ha trovato posto nemmeno nella lista delle tante promesse “elettorali” che pure sono state lanciate in queste settimane, a partire dalla restituzione dell’IMU fino alla riduzione di Irpef e Irap. Anzi. Basti pensare al Cavaliere che mentre rispolvera il Ponte sullo Stretto di Messina, tace sul fatto che nel suo programma è previsto che il 75% delle tasse pagate nelle regioni del Nord debbano rimanere appunto al Nord, come dettato dalla Lega. O al Professore che, già in occasione del suo insediamento, dichiarò che esistevano due questioni, una settentrionale e una meridionale, mettendole da subito sullo stesso piano. Un’impostazione che si è poi articolata nel corso dell’ultimo anno e mezzo fino al recente decreto Profumo (ministro dell’istruzione) che prevedeva addirittura redditi differenziati ai fini della dichiarazione Isee relativa alle borse di studio universitarie. Per cui al Nord il limite oltre il quale non scattava la borsa era di 21.000 euro, al Centro di 18.000 e al Sud di 15.000. Il decreto al momento è stato ritirato, per le proteste studentesche e per la palese inopportunità pre-elettorale, ma resta la forte penalizzazione verso il Mezzogiorno anche sul versante di un diritto, che dovrebbe essere universale, quale quello allo studio.
Eppure se si osservano gli ultimi dati forniti da Svimez la questione meridionale non solo è una ferita ancora aperta, ma la cancrena è ormai prossima.
Negli ultimi cinque anni il PIL nazionale ha perso oltre il 7%, circa il 6% al Nord e quasi il 10% nel Mezzogiorno. Questa è anche la conseguenza dell’effetto recessivo delle quattro manovre effettuate tra il 2010 e il 2011 e che sul 2012 è stimabile in -2,1 punti percentuali, a fronte dei -0,8 punti al Centro-Nord. L’occupazione è diminuita di oltre 530.000 addetti, di cui circa il 70% nelle regioni meridionali.
A questi dati Svimez si possono aggiungere solo pochi altri numeri: i poveri sono saliti a 8 milioni e duecentomila, con una media nazionale dell’11% del totale delle famiglie; un dato che al Sud diventa il 23,3%, più del doppio. Mentre nel 2012 hanno chiuso circa 360.000 imprese, di cui 120.000 nel meridione, un terzo del dato nazionale, ma con la “particolarità” che qui si parte da un tessuto produttivo meno numeroso e molto più parcellizzato e ridotto nelle dimensioni.
Si tratta di una radiografia chiara degli effetti combinati della crisi – che qui esisteva già precedentemente alla sua conclamazione nel 2008 – insieme alle manovre recessive di entrambi gli ultimi governi. Una radiografia che impone una svolta profonda, capace di mettere al centro della politica del governo che verrà il lavoro, la sua difesa e la sua crescita, per uscire dalla crisi, garantendo sviluppo ed equità. A partire dal Mezzogiorno.

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