QUALE EVOLUZIONE CONTRATTUALE NELLE AUTHORITY
Una riflessione approfondita riguardante le Authority e le prospettive e le prassi sindacali ad esse inerenti, intese ovviamente anche in senso confederale, deve giocoforza partire dalla consapevolezza delle loro peculiarità, il che rende il compito particolarmente complesso.
Le Autorità amministrative indipendenti sono organismi fondamentali a cui è attribuito un ruolo chiave e non certo facile.
Esse si pongono in un punto centrale del delicato meccanismo che intercorre tra cittadinanza istituzioni e mercato e a loro è demandata la salvaguardia e la promozione di diritti e principii costituzionali (libertà di intrapresa economica, privacy, tutela dei consumatori) oltre che il controllo di mercati e settori essenziali per il progresso e la stabilità del comparto economico.
La loro missione è vitale anche per il coefficiente di qualità del contesto normativo e regolamentare che dal conto suo è importante per l’attrattività e la competitività, considerato che influenza significativamente le scelte di rischio degli attori economici. Le Authority insomma sono uno strumento organizzativo fondamentale per la democrazia economica.
A differenza di quanto accaduto nei Paesi di cultura anglosassone (pensate che negli Stati Uniti la formazione di un’organica disciplina della concorrenza risale allo ‘Sherman Act’ del 1890), in Italia le Authority hanno avuto una genesi recente oltre che contingente e disordinata, e, al di là dell’eccezione rappresentata da Banca Italia – forma ancor oggi speciale e unica di Autorità e componente integrante dal 1998 del Sebc Sistema europeo delle Banche Centrali -, e quella dalla Consob, istituita nel 1974 e preposta ai controlli sui mercati borsistici, quasi tutte le altre sono frutto di una legislazione emanata dal ‘90 in poi (Antitrust proprio nel 1990 e poi Autorità per l’energia nel ’95, Garante per la protezione dei dati personali, vale a dire Privacy, nel ’96 come la Covip, l’Agcom nel ’97, Avcp poi Anac nel 1999), quando l’avvicinamento alla integrazione europea e anche l’effetto del dispiegarsi delle indagini e dei processi di Mani Pulite resero sempre più necessaria l’evoluzione verso forme terze di garanzia di architetture statali che, benché non direttamente costituzionali, assicurassero un’inappellabile arbitrato nello svolgersi delle attività economiche e anche non economiche, molte sì di rilevanza costituzionale. Non a caso la legge 481/95, stella polare delle Authority, fu approvata da un governo tecnico.
Le Authority da quel momento cominciano a soddisfare, almeno tendenzialmente, il bisogno di adattamento e sviluppo delle forme in cui si manifesta l’azione pubblica e di quelle che costituiscono l’organizzazione dello Stato. Anche attraverso esse si fa largo la propensione a togliere determinate funzioni pubbliche dalla disponibilità della maggioranza politica del momento, quindi di sottrarle a una dinamica nella quale possono prevalere gli obiettivi e le esigenze immediate dell’esecutivo rispetto all’imparzialità dovuta in quelle funzioni, e questo significa rispondere anche a quelle necessità di efficacia e garanzia che diventa inevitabile perseguire quando la correttezza delle funzioni è importante anche su scala europea e globale (è per questo ad esempio che anche l’ISTAT è su un percorso che sembra far evolvere il suo assetto in direzione di un’autorità indipendente).
I formidabili cambiamenti degli ultimi vent’anni, la profonda trasformazione del rapporto tra Stato e mercato, i forti processi di liberalizzazione dei servizi pubblici e di privatizzazione delle imprese pubbliche addette ai settori dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti ecc., la globalizzazione incontenibile per cui si abbandonano le pianificazioni a favore di una libertà delle grandi imprese private che quasi sono fautrici di una novella “lex mercatoria” – dal momento che con contratti internazionali regolano i propri rapporti senza far riferimento ad altre leggi e producono esse stesse diritto -, la china iperliberista che anche da ciò deriva ed è già derivata, ebbene tutto questo, specie dal nostro punto di vista, fa sorgere ancora più forte la necessità di un’architettura di tipo istituzionale che, inserendosi nella contrapposizione tra autoregolazione e eteroregolazione, rappresenti l’equilibrio corretto tra imperativi economici e valori sociali, tra gli interessi pubblici e i diritti delle persone, e che di conseguenza segni un’evoluzione significativa da un’impostazione prevalentemente economica a una più generale che dia il giusto rilievo alla dimensione sociale, all’integrazione, alla tutela dei consumatori, alla salvaguardia qualificata della salute, a quella dell’ambiente e così via.
A questo dovrebbero essere deputate le Autorità indipendenti, entità amministrative e soggetti pubblici di natura imparziale, slegate dalla politica in senso stretto e dai governi, soggette soltanto alla legge.
Ma è davvero così? Le Autorità sono davvero indipendenti, o almeno è stata rafforzata la loro indipendenza? E’ stato davvero preservato quello che esse rappresentano, e cioè una sorta di luogo franco, mediano tra giurisdizione amministrazione e mercato (il che però non significa certificare una ‘’irresponsabilità’’ delle Autorità, soggette oltre che ai giudici ordinari anche al controllo di istituzioni europee, tramite il sistema delle Autorità amministrative indipendenti europee)? E si può dire che le ingerenze della politica siano state tenute fuori dalla loro porta?
A giudicare anche dai tanti tentativi di riforma messi in campo fin dalla Bicamerale del 1999, tutti con l’intenzione di ovviare a deficit di organicità e autonomia, qualche problema c’è. Nonostante la legge 481 del ’95, come già accennato legge alla base della nascita e del ruolo di Agcom e Aeegsi e all’origine di tutto quanto attiene al comportamento degli operatori di mercato e alla tutela dei diritti degli utenti, sia un’ottima legge, di riferimento anche per la regolazione di altri paesi, il Parlamento negli ultimi tempi ha messo in atto misure legislative che hanno talvolta invaso il campo delle Authority, mischiando legislazione e regolazione, quindi pesando sulla questione dell’indipendenza, sulla distinzione tra legislazione e regolamentazione e quindi tra il ruolo precipuo del Parlamento e quello delle Autorità libere.
Anche i compiti, attribuiti alle Autorità, di sostegno alle attività di alcuni ministeri e di funzioni governative, assieme a quelli di dare informazioni a uffici ministeriali e di eseguire indirizzi indicati da uffici dell’esecutivo, sono compiti lontani da quelli specifici e di conseguenza tolgono alle Authority tempo ed efficienza, correndo il rischio di trasformarle sic et simpliciter in appendici del Governo e di taluni ministeri.
Il tutto mentre la legge 114 del 2014, su cui torneremo, ha deciso l’eliminazione di quegli uffici ministeriali, le cui funzioni sono sovrapposte a quelle delle Autorità amministrative indipendenti e viceversa. Si comprende subito che quel ‘’viceversa’’ rappresenta un problema enorme rispetto all’indipendenza di qualsiasi regolamentazione perché è fin troppo evidente che se si tratta di regolare un determinato ambito, questo deve avvenire in maniera indipendente: uno scambio di direzione, con uffici ministeriali vulnera ogni concetto di indipendenza e autonomia.
Anche sul versante più proprio di quella che possiamo definire invadenza politica, le critiche sorgono quasi da sole. Se come abbiamo visto la ragione distintiva, la ragione d’essere per così dire, delle autorità è l’indipendenza dai soggetti vigilati e dalle altre amministrazioni, la lontananza dalla politica e dai partiti è di sicuro un’importante cartina di tornasole per misurare tale indipendenza. Ebbene, da dati oggettivi, da aggiornare agli ultimi tempi, ma significativi ugualmente, possiamo constatare come, pur senza entrare nel merito della qualità delle persone, su una sessantina di componenti di vertice delle maggiori Authority un trenta per cento circa ha un profilo politico e più del venti per cento ha usato le porte girevoli per transitare in più Authority. Tempo fa in Agcom su nove commissari, cinque erano di provenienza partitica, e la proporzione è ancora peggiore ora che sono ridotti di quattro unità. Nell’omologa Authority britannica un solo commissario, e peraltro di alto profilo tecnico, aveva matrice di partito, in quella francese nessuno.
Poi ci sono fatti di non difficile interpretazione, che investono la credibilità di questi istituti: uno, l’ISVAP, è stato soppresso di forza perché il suo presidente Giannini fu accusato di non avere vigilato per anni su Fondiaria Sai in cambio di una poltrona all’Antitrust; la Consob dell’uscente Vegas, viceministro dell’Economia con Berlusconi, è stata più volte al centro delle polemiche per episodi che ne hanno svelato una certa pigrizia nell’operato, come nel caso Rai way, quando ha lasciato che una società targata Mediaset lanciasse un’Opa su una società non contendibile e Antitrust ha dovuto supplire nel fare le domande scomode che l’operazione richiedeva. In un altro caso la stessa Consob ha dato modo all’opinione pubblica di fare cattivi pensieri quando ha di fatto escluso gli scenari probabilistici dai prospetti informativi sui prodotti finanziari. In un altro ancora Vegas è finito sotto inchiesta per assunzioni e nomine fatte in spregio di ogni regola. E’ appena il caso di ricordare che grazie anche all’azione di CGIL e Fisac è stata incalzata la presidenza Vegas su tutte le irregolarità e ripristinata la misura della governance di Consob, dopo anni di inosservanza.
La Banca d’Italia stessa negli anni appena passati, oltre a dare l’impressione di assistere alquanto inerme alla crisi ormai conclamata del sistema bancario nazionale – Montepaschi su tutti -, ha permesso di mettere in discussione la propria sacralità quando ad esempio ha scelto di cedere la sede di Vicenza per 9 milioni di euro, dopo che in 5 anni non era riuscita a perfezionarne la vendita a nessun altro, alla Popolare di Vicenza dell’ex Zonin, sul quale è inutile aggiungere parole.
Anche il tentativo di minare i poteri di Anac e di non riconoscere ai dipendenti uno status riconducibile a quello delle Authority, tentativo rientrato, sia pure in una misura da verificare, anche grazie alla nostra pressante iniziativa esercitata a tutti i livelli assieme ai sindacati confederali unitari, ha concorso ad alimentare posizioni negative verso le Authority in una parte dell’opinione pubblica, che spesso le percepisce come troppo numerose (ma sono in una quantità pressoché uguale a quelle degli altri stati europei), autoreferenziali, costose e troppo sensibili alle richieste della politica.
Senza dimenticare il tentativo, in parte rientrato, di superare il precetto del legislatore originario in merito al decentramento sul territorio italiano dei nuovi organismi pubblici, che in realtà rappresentava e rappresenta il giusto proposito di allontanarli da Roma. Infatti lo scopo era chiaro: decentrare pezzi pregiati dello Stato, e tentare così di neutralizzare l’interferenza della politica, cosa più facile da attuarsi se le Autorità fossero state insediate tutte a Roma. Il distacco delle autorità dalla capitale significava, in concreto, rafforzarne l’ “indipendenza di giudizio e di valutazione” prescritta dalla legge, non solo, com’è ovvio, dalle entità da regolare, ma anche dal potere politico e dai partiti. Riportarle tutte a Roma avrebbe rischiato di ridurre questa indipendenza senza migliorare alcunché e nel caso di Agcom, sempre in bilico tra Roma e Napoli, avrebbe significato l’espropriazione di uno dei pochi centri di eccellenza e decisionali situati nel territorio del Mezzogiorno.
Sulla base di queste premesse, sembra pacifico invocare una svolta, perché il ruolo delle Authority è troppo vitale per un paese come l’Italia per lasciare che non esercitino fino in fondo la propria preziosa funzione, ma l’ultima riforma della P.A. che ha interessato anche le Autorità non sembra andare in quella direzione.
Il dl 90/14 e la Legge 114 già citata – e qui siamo, ma per la verità lo siamo già da un po’, nel pieno del tema del seminario riguardante l’evoluzione della contrattazione nel comparto -, non hanno sciolto i nodi dell’architettura delle Autorità e non evitano perciò i conflitti di interesse. L’attacco più pesante all’autonomia delle Autorità è avvenuto nel momento in cui il Parlamento ha accettato che la loro riorganizzazione fosse collocata all’interno della legge delega sulla Pubblica Amministrazione, così ne ha di fatto cambiato l’identità forzandola all’interno di un comparto che dipende direttamente dal Governo.
La 114 dispone, tra l’altro, la possibilità del reclutamento unitario del personale delle Autorità e il ruolo unico della dirigenza delle varie Autorità, poi attuato ponendolo sotto l’egida della Presidenza del Consiglio.
Il ruolo unico può rappresentare un problema, perché non appare come il tentativo di sviluppare una visione organica delle Autorità, sembra piuttosto un modo per produrre un effetto sensibile solo su certi lavoratori di vertice, e il fatto che sia costituito in capo alla Presidenza del Consiglio rafforza le preoccupazioni circa la salvaguardia del campo effettivo di intervento delle Autorità. Potrebbe avere un senso assumere un criterio unico per le funzioni orizzontali che sono identiche in ciascuna istituzione, tenendo conto che naturalmente i criteri omogenei riguarderebbero il futuro e non quanto già acquisito, ma perché questo senso sia compiuto bisognerebbe in definitiva dimostrare di possedere un progetto chiaro e complessivo da condividere con tutti. Nel merito invece rimangono tutte le perplessità rispetto all’obiettivo di garantire l’indipendenza.
Anche la questione della riduzione dei costi rappresenta un nodo che se non sciolto può ridurre l’indipendenza delle Autorità: una riduzione di spese relative all’attività di vigilanza e controllo corre infatti il rischio di restringere in maniera pericolosa il ruolo e le capacità dell’Autorità. Ciò non significa che le Autorità non debbano concorrere al contenimento della spesa pubblica, ma piuttosto che questo non arrivi a mettere in secondo piano principi e diritti stabiliti dalle competenti istituzioni comunitarie, né a trascurare il fatto che vi siano Autorità e organismi indipendenti in piena autonomia finanziaria, che non pesano quindi sul Bilancio dello Stato.
Anzi, su questo tema sarebbe opportuna una chiara presa di posizione che vada nella direzione di uniformare la logica di finanziamento delle Autorità, partendo anche dal presupposto di tenere nel giusto conto tutto il valore professionale delle lavoratrici e dei lavoratori di questi organismi, in massima parte tecnici eccellenti e vincitori di seri e severi pubblici concorsi.
Finora, invece, il legislatore è sembrato pensare a questi istituti come semplici centri di spesa e di potere autoreferenziale. Alcune norme della legge su citata, relative ai risparmi di spesa conseguibili a seguito della riduzione del trattamento economico accessorio almeno del 20%, non considerano la diversa struttura retributiva di ogni Autorità, colpendo quella porzione esistente di retribuzione uniforme e orizzontale, col risultato di produrre tagli più marcati a carico dei livelli retributivi più bassi.
La questione dei tagli alla spesa pubblica e la non omogeneità esistente tra Autorità auto-finanziate e Autorità non auto-finanziate concernono anche il problema di una definizione unitaria del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti delle Autorità. Il problema della contrattazione per quanto riguarda le Authority è innanzitutto questo.
I lavoratori e le lavoratrici delle Autorità, circa 2500 persone distribuite nelle nove authority, tolti quelli che lavorano in Banca d’Italia, non sono tutelati e coperti da un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, considerato che in ciascuna delle Autorità è in vigore un diverso Regolamento per il trattamento giuridico ed economico del personale. Questi regolamenti, o almeno la quasi totalità di essi, fanno solo riferimento, direttamente o indirettamente, al contratto di Banca d’Italia, mentre sulla base delle relative leggi istitutive vi dovrebbero fare capo.
L’intenzione del legislatore in tutta evidenza è stata quella di distinguere il personale delle Authority da quello delle Pubbliche Amministrazioni, destinatario di un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, che alla fine è emanazione di funzioni e organi governativi, sia in ragione della maggiore idoneità e professionalità pretesa, sia per rispettare la libera attività dei tecnici di queste strutture, la cui indipendenza dal potere esecutivo, come abbiamo ripetuto più e più volte, è fondamentale per la loro stessa esistenza.
La realtà è che ogni Autorità agisce in modo autonomo sui trattamenti normativi ed economici del personale, specificamente per quanto riguarda il salario accessorio e i livelli dell’inquadramento e non è presente un preciso ambito di riferimento poiché manca un sistema ordinato e articolato di relazioni sindacali. Troppo spesso l’eventualità di arrivare a soluzioni anche concordate di problemi sindacali si assoggetta alla disponibilità dei consigli o di questo o quel presidente delle Autorità, anche perché altrettanto spesso le delegazioni trattanti definite dalle Autorità sono prive di autonomia e rimandano proprio al consiglio o al presidente le decisioni finali.
Obiettivo principale del sindacato quindi deve essere il mantenimento del contratto Banca Italia come riferimento ineludibile, ovviamente nel rispetto delle specifiche esigenze, per tutte le Autorità indipendenti.
Non è facile riuscirci, anche in considerazione del fatto che il panorama dei rapporti sindacali, è complicato, anche solo in chiave unitaria, e che l’attività sindacale in pratica è affidata alle sole RSA, le quali in molti casi nella loro attività ricorrono ai legali o chiedono ai sindacati territoriali di assisterli nei ricorsi contro le amministrazioni per comportamento antisindacale della controparte e per di più operano in una sorta di geometria variabile in quanto a unità sindacale: questo perché i regolamenti che disciplinano i rapporti interni delle Autorità sono degli atti amministrativi, cioè strumenti che nei fatti negano le relazioni sindacali, e perciò si sarebbe indotti a pensare come necessaria l’introduzione di una disciplina privatistica.
Ciò nonostante abbiamo promosso e firmato buoni accordi, ad esempio in Agcom, in Antitrust e in Covip, in cui, oltre alla stabilizzazione di precari laddove possibile e il rafforzamento di istituti del welfare interno, è ripresa una buona dinamica retributiva, modulata anche per aggirare resistenze strumentali con parti di salario legate a risultati concordati, e mirata anche a un riequilibrio per i più giovani, penalizzati da salari d’entrata bassi rispetto ai colleghi più anziani.
Una strategia valida per la contrattazione nelle Authority dovrebbe quindi ripartire da una visione unitaria delle questioni, ed esplicitare e attuare una logica di comparto, unificando le linee e i trattamenti generali ma salvaguardando ed esaltando le differenze e le specificità, oltre che valorizzare con criteri condivisi l’alta professionalità degli addetti e preordinare scenari contrattuali di miglioramento anche formativo per i più giovani. Naturalmente meglio sarebbe perseguire questi obiettivi assieme alle sigle unitarie, e a questo proposito un primo passo è il documento che abbiamo firmato la settimana scorsa insieme a First e Uilca sui problemi delle Authority. Dobbiamo continuare su questa strada e, ripeto, non sarò facile, ma cosa è facile nel nostro lavoro?
In conclusione, la questione delle Autorità nel nostro Paese rimane una questione di estrema e vitale importanza. Organismi e istituzioni, in collegamento con analoghe e sovraordinanti autorità europee, che facciano da contrappeso ai variegati poteri di una società complessa come quella attuale sono indispensabili e da difendere senza riserve. Ma questo in una logica di una loro vera riforma, non marginale a quella della Pubblica Amministrazione, ma esclusiva e chirurgica.
Una tale riforma, più che alla riduzione delle spese, argomento fin troppo facile, dovrebbe puntare ad aumentare l’efficacia dell’ azione delle Authority, allargandone i poteri ispettivi e sanzionatori, obbligandole a una maggiore accountability (rendicontazione) del loro lavoro (anche per quanto riguarda le spese di gestione) e infine rafforzando ancora di più l’incompatibilità dei suoi componenti di vertice al termine del mandato. Finora, come abbiamo visto, nei provvedimenti del Governo c’è ben poco riguardo a questo. Si intravedono piuttosto rischi di diminuire l’indipendenza e di circoscrivere gli ambiti di competenza delle Autorità, come avvenuto in tempi nemmeno troppo lontani. Questo non sarebbe positivo per il paese. Sarebbe un male per la collettività, per i cittadini consumatori e per le imprese, che forse potrebbero essere tentate per i propri interessi di frequentare gli uffici dei ministeri piuttosto che in trasparenza le stanze dei regolatori, e questa sarebbe per loro una scelta alla fine perdente data la volubilità e l’inaffidabilità della politica. Per le lavoratrici e i lavoratori delle Authority, ben consci che la questione è anche confederale, la prospettiva deve rimanere, all’interno di una dialettica unitaria, quella di una loro valorizzazione complessiva, in una cornice contrattuale comune dove la convergenza degli assetti non mortifichi le particolarità di ciascuna Autorità e di ciascun addetto.
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