[da Adnkronos.com del 25/02/2016] Nel nostro Paese, solo il 47% dei lavoratori ha la percezione che la propria organizzazione adotti un Codice Etico contro l’86% nel Regno Unito, ed è diminuita negli ultimi tre anni la consapevolezza dell’esistenza di programmi formali di etica aziendale (-21%). E ancora: solo 4 lavoratori su 10 si preoccupano delle conseguenze prodotte dalle condotte improprie praticate. Sono questi, in sintesi, i dati emersi dalla Ricerca “Ethics at Work” che l’Ibe-Institute of Business Ethics (UK), fondato nel 1986 per promuovere l’etica nel mondo degli affari, ha presentato nel corso dell’evento organizzato a Milano da Fondazione Sodalitas.
La ricerca è stata realizzata intervistando un campione pesato di 750 lavoratori appartenenti a organizzazioni di vario tipo, in ognuno dei seguenti 5 Paesi: UK, Francia, Germania, Spagna e Italia. In generale, secondo la ricerca, l’Italia, per diffusione, applicazione ed efficacia percepita degli strumenti di Business Ethics è allineata ai Paesi dell’Europa continentale ma il divario nei confronti del Regno Unito è molto accentuato.
Inoltre, nel nostro Paese, gli ultimi tre anni (tra 2012 e 2015) hanno visto un crollo dei principali indicatori sulla Business Ethics, in termini di risorse e strumenti dedicati al suo sviluppo. In calo la percentuale di dipendenti convinti che l’onestà sia praticata sempre o frequentemente nella propria azienda (73% nel 2015 contro l’86% del 2012), mentre aumentano i dipendenti consapevoli dell’esistenza di condotte improprie nella propria organizzazione (32% contro il 27% del 2012).
Il 15% dei lavoratori italiani intervistati avverte pressione a violare gli standard etici della propria organizzazione: il dato è significativamente più alto rispetto a quelli degli altri Paesi analizzati. Ed i lavoratori della Pubblica amministrazione e del Terzo settore percepiscono l’esistenza di comportamenti non etici più frequentemente rispetto ai lavoratori delle imprese private.
La seconda ricerca internazionale presentata da Ibe-Institute of Business Ethics, a cui Fondazione Sodalitas ha contribuito per l’Italia, riguarda la diffusione del Whistleblowing in 5 Paesi europei. Il 46% delle imprese europee (in UK questa percentuale sale all’86%) ha infatti introdotto sistemi di “Whistleblowing” (o Speak up) che permettono ai dipendenti aziendali di segnalare, con la garanzia della protezione della fonte, comportamenti interni all’organizzazione che non siano coerenti con i valori aziendali.
L’Italia, dove lo strumento è decisamente meno diffuso, aspetta l’approvazione definitiva della proposta di legge sul Whistleblowing (n. 1751/2013). La ricerca indica una correlazione diretta tra la disponibilità e l’utilizzo di strumenti a supporto dei comportamenti etici (come il Whistleblowing, appunto) e la percezione positiva dei lavoratori rispetto all’impegno etico dell’organizzazione di appartenenza a incentivare comportamenti corretti e sanzionare quelli impropri.
Tra le violazioni che i sistemi di Whistleblowing permettono di segnalare più di frequente, a livello dei 5 Paesi, figurano le molestie (51%), le questioni legate alla gestione delle risorse umane (41%), le frodi e i furti (37%), situazioni legate a salute, sicurezza, ambiente e prevenzione (20%), corruzione e conflitto d’interessi (15%).
I sistemi di Whistleblowing sono gestiti internamente all’azienda nel 53% dei casi, e per il 63% delle situazioni sono accessibili anche a persone diverse dai dipendenti aziendali (ovvero stakeholder esterni quali fornitori, contractor, clienti, advisor, finanziatori). In Italia questa percentuale scende al 33,3%. Il 72% dei sistemi adottati garantisce l’anonimato delle segnalazioni (in Italia ci si assesta al 66,7%).
I sistemi di Whistleblowing prevedono quasi sempre policy anti-rappresaglie per chi fa segnalazioni (90%); quelli più evoluti prevedono anche processi di monitoraggio dell’assenza di rappresaglie (in Italia questo non è mai rilevato).