(fonte: https://www.icbpi.it) A NOVEMBRE DEL 2014 IL DECRETO SBLOCCA ITALIA HA INTRODOTTO IL BARATTO AMMINISTRATIVO (LEGGE N. 164 DEL 2014), ORA ALLO STUDIO DEI COMUNI (A VASTO SONO GIÀ PARTITI, ALCUNI COMUNI DELLA SARDEGNA STANNO DELIBERANDO IN MERITO). IN PRATICA, I CITTADINI ITALIANI IN DEBITO CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE LOCALE POSSONO CONCORDARE LA RESTITUZIONE EFFETTUANDO LAVORI SOCIALMENTE UTILI.
Si diffonde così nel nostro paese, anche in questo modo, lo scambio di beni e servizi che non prevede nessuna forma di pagamento, e dunque di circolazione di denaro. Senza scomodare gli uomini primitivi, il primo modello di baratto aziendale a cui si ispirano i tanti intermediari che stanno nascendo, anche in Italia, è quello della banca svizzera Wir fondata nel 1934 a seguito della crisi economica del 1929.
Il baratto, soprattutto tra aziende, è già diffuso da qualche anno nel resto del mondo e, secondo i dati forniti dal sito Barter News Weekly, circa un terzo delle piccole aziende americane utilizzano già una qualsiasi forma di baratto, così fanno il 65% delle aziende quotate alla Borsa americana e il 65% delle top 500 di Fortune al punto che il Dipartimento del Commercio americano calcola che questo mercato valga il 30% del business mondiale.
Ancora, i dati della IRTA (International Reciprocal Trade Association) riportati da un articolo esaustivo pubblicato da Bloomberg parlano di un mercato da 12 miliardi di dollari all’anno in transazioni che non prevedono lo scambio di valuta.
Nascono e proliferano, inoltre, dei veri e propri marketplace, perlopiù virtuali, in cui il bene da cambiare viene valutato in “barter dollars” e viene proposto in cambio di una offerta equivalente. Fino a che, Bartercard, azienda australiana che supporta le aziende nella valutazione dei beni da proporre al mercato del baratto, ha deciso di quotarsi alla Borsa australiana.
I motivi della crescita di questo mercato parallelo, che negli Stati Uniti è regolamentato da una precisa norma, sono facili da intuire: la riduzione del contante, la volatilità dei cambi internazionali e l’impossibilità di accedere al credito bancario sono i più evidenti.
Spinti dalla crescita degli scambi tra privati, anche le aziende iniziano a proporre i loro beni, di produzione propria o asset non più strategici di cui ci si vuole liberare in cambio di qualcosa di più utile.
In Italia è attivo a Torino dal 2011 il circuito iBarter, prima piattaforma italiana per il baratto multilaterale online, a oggi conta circa 700 aziende iscritte e l’idea è di arrivare a un migliaio entro la fine dell’anno e un controvalore in scambi di oltre 3 milioni di euro.
Anche in questo caso il valore del bene viene misurato in una moneta virtuale, l’iBcredit che per semplicità viene equiparato all’euro. Il marketplace, oltre a consentire lo scambio di beni e servizi, si sta dimostrando utile e interessante anche in termini di networking.
In particolare, un’azienda che aderisce al circuito iBarter apre un conto in crediti, ha a disposizione un fido commerciale in modo da poter acquistare ancor prima di vendere e paga una fee di ingresso al circuito.
Non attingendo alla liquidità aziendale e, soprattutto, non richiedendo la necessità di ricorrere al credito bancario, il sistema si dimostra anche un utile canale complementare di marketing con cui l’azienda ha la possibilità di promuovere la propria produzione all’interno del network.
Il pagamento in crediti, inoltre, sostengono i manager di iBarter, riduce il rischio di insolvenza perché è la piattaforma stessa che autorizza la transazione e trasferisce in tempo reale i crediti da un cliente all’altro.
Altra realtà italiana con la stessa filosofia è Cambiomerci.com, un circuito che raggruppa 450 imprese e che ha recentemente ottenuto un investimento del 12% del suo valore da parte del noto incubatore Digital Metrics.
Esempio diverso ma non troppo è Markagain, piattaforma milanese online di gestione e vendita di beni di lusso usati derivanti da crediti e leasing problematici. In questo caso la moneta circola, almeno per ora, ma non si esclude che nel prossimo futuro il modello di business si apra anche al baratto.
In definitiva, qualsiasi realtà per cui lo scambio di valuta rappresenti il core del proprio business non può più permettersi di sottovalutare la diffusione di un mercato parallelo come il barter market che, al pari delle valute virtuali, si sta dimostrando un’alternativa vincente all’economia tradizionale.