Megale: Modello tedesco per le popolari

da Milano Finanza – Dopo la partita per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, i sindacati nazionali del credito si preparano oggi a un’altra prova impegnativa da affrontare, se possibile, unitariamente. La trasformazione in spa delle dieci maggiori banche popolari italiane pone infatti precisi interrogativi sulla governance futura degli istituti e sul ruolo che potranno giocarvi i dipendenti. Dopo mesi di incontri e contatti, i segretari nazionali sono pronti
a mettere nero su bianco una proposta da condividere con banchieri e autorità di vigilanza. Agostino Megale, numero uno della Fisac-Cgil, lo chiama «modello tedesco» per la sua affinità con la cultura d’impresa di quel Paese. Dando per scontato che dalle fusioni in arrivo nasceranno prevalentemente sistemi di governance duali, la proposta prevede che i dipendenti abbiano una rappresentanza minoritaria nei consigli di sorveglianza dei nuovi gruppi.
«Deve essere ben chiaro che i nostri rappresentanti non svolgeranno funzioni di gestione, ma solo di monitoraggio e controllo. Una funzione, per così dire, di natura anti-speculativa con un occhio di riguardo per le garanzie occupazionali», spiega Megale. Ma chi entrerà nei board in rappresentanza dei dipendenti? Non necessariamente dei sindacalisti, ma «figure con un alto grado di eticità e di trasparenza, che saranno selezionate da un albo d’oro appositamente compilato e aggiornato per dare la massima credibilità possibile all’iniziativa», puntualizza Megale che in questo si trova sulla stessa lunghezza d’onda di Lando Sileoni, segretario della Fabi. Parlando al consiglio nazionale di fine aprile, Sileoni aveva infatti proposto di concordare con i vertici degli istituti e con gli organi di vigilanza l’inserimento di un rappresentante dei lavoratori (ma non un sindacalista) nei consiglio di amministrazione delle banche.

Resta poi da capire se la nomina di rappresentanti nei board sarà accompagnata dall’ingresso nel capitale delle nuove spa. Su questo punto la situazione è ancora abbastanza fluida. Se da un lato la Fabi di Sileoni appare fredda sul tema, la Uilca di Massimo Masi lo cavalca con decisione. Megale sceglie una posizione intermedia, forse di mediazione tra i differenti punti di vista: «Qui non vincono singoli progetti, ma i percorsi unitari. Non mi pare che l’ingresso nel capitale sia la parte dominante del progetto, ma non vedo preclusioni. Se si decidesse di dar vita a un contenitore, partecipato dai dipendenti e socio della banca, si può farlo purché gli si dia la forma giuridica di una cooperativa. In questo modo riusciremo a mantenere in vita la dimensione cooperativa anche nel mutato scenario di governance», conclude Megale. Al progetto manca
insomma solo qualche ritocco e l’obiettivo resta quello di ottenere la piena unità sindacale su tutti i punti per poi avviare il confronto con i banchieri e con l’autorità di Vigilanza. Difficile prevedere l’esito della trattativa. Finora alcuni banchieri si sono mostrati abbastanza freddi sull’idea di una partecipazione dei dipendenti al capitale. «Sono scettico sull’ipotesi di avere dei dipendenti-azionisti», aveva dichiarato per esempio il presidente del Credito Valtellinese, Giovanni De Censi, in una recente intervista a MF-Milano Finanza. È pur vero però che il clima politico potrebbe essere favorevole al progetto dei sindacati. Il disegno di legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese (recentemente adottato dalla commissione Lavoro del Senato su iniziativa dell’ex ministro Maurizio Sacconi) prevede infatti che il coinvolgimento dei dipendenti nella governance sia legato alla contrattazione aziendale. Se il provvedimento entrasse in vigore, i lavoratori delle popolari riceverebbero un assist di non poco conto.

Modello tedesco per le popolari

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