Donne: “il sole non nasce per una persona sola”

Care compagne, quest’anno ricorre il 70esimo anniversario della Liberazione, pertanto abbiamo pensato di festeggiare la ricorrenza dell’8 marzo ricordando il ruolo importante svolto dalle Donne durante la Resistenza, da tante donne anche del nostro settore, dalle Donne Bancarie!

Le donne affrontarono tra il 1940 ed il 1945 uno dei periodi più scuri: figli e mariti al fronte, a casa razionamento e bombardamenti. Con la Resistenza la donna diventa protagonista di un avvenimento storico a fianco degli uomini, affronta la guerra sia partecipando ad azioni dirette (sono state oltre 500 le donne cui sono stati dati compiti di comando anche militare) sia partecipando ed organizzando i grandi scioperi del Nord. E la guerra non risparmierà loro alcuna violenza.

Con l’intento di evidenziare il contributo delle donne nella Resistenza, siamo andate a ricercare notizie rispetto all’apporto che le donne del nostro settore hanno dato alla Resistenza e abbiamo trovato notizie interessantissime. In realtà dieci anni fa su questo tema la Fisac Nazionale organizzò un convegno che ancora oggi ci offre molti spunti.

Tra i protagonisti ci fu Nella Marcellino, nata a Torino nel febbraio del 1923, scomparsa nel 2011. Una Donna della Resistenza che possiamo definire anche un po’ nostra, visto che per alcuni anni ha lavorato al San Paolo di Torino. Partigiana, dirigente del PCI, si è dedicata, dopo la Liberazione, ad organizzare i movimenti femminili e a costruire un sindacato (la nostra CGIL) capace di restituire diritti e poteri ai salariati. La sua vita ha attraversato il secolo scorso con intensità: la sua esistenza è stata contrassegnata dalle tappe di una lotta che oggi, in tempi certo meno esaltanti, viene messa in discussione e ricacciata all’indietro.

Figlia di antifascisti militanti (il padre partecipò alla nascita del PCI fu costretto all’esilio per sfuggire alla persecuzione fascista, la madre operaia metallurgica fu anch’essa arrestata), conobbe la clandestinità fin da bambina con l’esilio a Parigi (dove il padre partecipò ad iniziative nel Fronte Popolare, nelle grandi campagne a sostegno della Repubblica spagnola e alla Resistenza francese). A soli sei anni era già esule a Parigi, a otto viveva a Bruxelles sotto false generalità, a quattordici compiva la sua prima missione clandestina, a diciotto rientrava da sola a Torino per combattere il fascismo, a vent’anni era tra gli organizzatori degli scioperi del ’43 e nel ’45 dell’insurrezione dell’aprile. Dopo la guerra divenne parlamentare della Costituente.

Vi proponiamo alcuni estratti dell’intervista fatta in occasione del convegno del 2005 e dalla sua autobiografia:
“Tornata in Italia, un mio zio mi trovò lavoro presso la banca San Paolo. Guadagnavo il doppio al San Paolo, ben 800 lire al mese, che allora erano molte.

(…) andavo abbastanza vicino al sogno dell’italiano medio che cantava”Se potessi avere mille lire al mese…”.

E devo dire che l’ambiente del San Paolo era un ambiente ovattato, nel quale non si sentivano pettegolezzi, nessuno parlava, tutti sembravano ligi al fascismo, anche se nessuno parlava mai del regime.

Ma il San Paolo era una realtà tutta particolare, e in quegli anni era un ambiente nel quale si soffriva molto: in particolare soffrivano le donne che avevano il marito al fronte, in Russia o in altre parti d’Europa, o anche in Africa. E queste donne erano disperate perchè non avevano notizie dei mariti. Una mia collega confessava di arrivare addirittura a ubriacarsi, la sera, per mettere via la tristezza con la quale viveva da mesi e mesi.

Gli uomini erano già di una certa età , silenziosi e discreti , tanto che non ho mai sentito nessuno di loro inneggiare né a Mussolini né a qualcun altro.(…)
Anch’io d’altronde mi guardavo bene dall’addentrarmi in discussioni politiche. Per proteggere il mio lavoro clandestino, evitai anche di collegarmi col padre di Pajetta, Carlo, che lavorava da anni al San Paolo, relegato all’ufficio legale: pur non essendo un militante come la moglie, era
stato emarginato come padre di “pericolosi sovversivi comunisti”. In banca era rispettato da tutti e altamente considerato. Divenne direttore dell’Istituto alla Liberazione.
…..
In quel periodo il partito mi comprò una bella radio (…), con l’incarico di sintonizzarmi su Radio Mosca e stenografare i discorsi che trasmetteva. Passavo parte della notte con una coperta sulla testa, tenendo il volume più basso possibile, e cercando di stenografare le notizie di guerra. (…) L’indomani scrivevo – per lo più a mano – quanto avevo stenografato (…) e passavo il tutto a

Massola (dirigente comunista che durante la lotta di liberazione fu incaricato della redazione e diffusione della propaganda clandestina e dell’organizzazione degli scioperi ndr), il quale decideva quali parti utilizzare per redigere volantini e materiale di propaganda.

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Oppure mi ritrovavo con i miei “compagni del ciclostile” per la preparazione del nostro materiale di propaganda. L’inverno, oltre che essere duro per per la scarsità di cibo, la mancanza di medicine, l’ansia per la sicurezza, portava la morsa del freddo che fu una vera e propria persecuzione per la preparazione dei nostri scritti. (…) Col freddo, infatti, l’inchiostro gela e il ciclostile non “tira”. (…) Quando l’inchiostro gelava, scaldavamo un po’ d’acqua su una grande cucina economica facendo bruciare della carta, perchè l’erogazione del gas era interrotta. Poichè la stufa normalmente non aspirava e non potevamo aprire le finestre, ci intossicavamo senza riuscire peraltro a riscaldarci. Mettevamo i tubi dell’inchiostro nell’acqua tiepida, il più delle volte, diventava troppo fluido , e ci imbrattavamo da capo a piedi. Insomma: la mattina eravamo distrutti. E invece di un bel letto, ci aspettava il lavoro. Io, in particolare, dovevo presentarmi in ufficio con un abbigliamento consono a un’impiegata di banca, ed ero costretta a passare da casa per rendermi più presentabile.

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I mesi passavano e la situazione divenne terribile verso la fine del 1942, al momento dei drammatici fatti di Stalingrado, perchè è allora che cominciarono i bombardamenti su Torino. Fu una cosa veramente terribile. Tutte le notti c’erano i bombardamenti. Si bombardava sia il centro della città, sia la periferia; la gente era costretta a sfollare e lo sfollamento era atroce. La mobilità era un dramma: si stava delle ore nelle stazioni, partendo all’alba per arrivare comunque tardi; i treni si fermavano di continuo e gli operai erano disperati.

In quel periodo anche al San Paolo la vita divenne molto più difficile, tanto che a un certo punto la direzione ci autorizzò a dormire nel caveau. Portavamo il materasso e dormivamo sotto tutto quel cemento dove era scavato il caveau del San Paolo in Via Monte di Pietà. Una notte però, in via Garibaldi, proprio alle spalle del caveau, ci fu un bombardamento di tale violenza che nessuno di noi pensò più di dormire lì in quanto la situazione era diventata drammatica. Inoltre, quando uscimmo trovammo che tutta la città era in fiamme. Attraversai piazza San Carlo con le scarpe che mi bruciavano, e da tutti i palazzi della piazza si levavano alte lingue di fuoco.”

Devo dire che alla banca San Paolo la situazione continuava a sembrare felpata. Una manifestazione curiosa si verificò con l’arrivo del re a Torino: quasi spontaneamente gli uffici si vuotarono, non solo quelli del San Paolo, ma tutti gli uffici delle banche e degli altri istituti, e una folla enorme, festeggiante, si recò in piazza Castello a inneggiare al re. E in questo inneggiare vi era evidentemente un antifascismo che veniva fuori, quasi nella speranza che questo re, che aveva peraltro condiviso tutte le colpe di Mussolini, potesse cambiare le cose, potesse modificarle.

(…)Anche se tra gli impiegati nessuno si pronunciava, l’odio contro il fascismo covava e tutti erano ormai contro la guerra.

I mesi passavano e, in banca, il silenzio degli impiegati diventava ancora più pesante; non si riusciva quasi più a parlare, la gente era cupa, era triste, si sentiva che la guerra pesava sulle spalle di tutti, che la situazione era drammatica. A un certo punto anche altri uomini furono mandati al fronte, e contestualmente tutte le donne della banca, una mattina, all’improvviso, furono mandate agli sportelli. Era un fatto nuovo, perchè dalla sera alla mattina ci trovammo agli sportelli.

Successivamente in banca avvenne una cosa molto, molto interessante. C’era stato intanto il grande sciopero del marzo 1943, a cui succedettero mesi terribili di bombardamenti, di sfollamento e anche di lotte, di molte lotte in molte fabbriche. Poi arrivammo al 25 luglio del 1943: (…) quel giorno, quando arrivò la notizia della caduta di Mussolini, nessuno lavorò. Il capoufficio dal suo gabbiotto di vetro controllava il lungo salone dell’ufficio fondiario, ma gli impiegati, anziché stare ai loro tavoli, facevano capannello – c’erano addirittura persone provenienti da altri uffici. (…) A un certo momento, con mia grande meraviglia, vidi formarsi un falò nella parte piastrellata del salone . Gli impiegati tiravano fuori la tessera del fascio dal portafoglio e la buttavano nel rogo (…) aleggiava un senso di liberazione. La gente di disfava di tessere che erano state loro imposte. Con la caduta del fascismo tutti speravano nella fine della guerra.

Brani tratti da “ Storie di Resistenza” – Fondazione Giuseppe Di Vittorio “Nella Marcellino – Le tre vite di Nella “– Edizioni Sipiel Milano

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