In barba all’attuale papa che non fa che predicare misericordia, pare che siano tornati di moda gli inquisitori, di fronte ai quali i sospettati raramente osano difendersi. Non serve avere gradi elevati o una lunga e onesta carriera: quando la voce possente del Capo si eleva sovrana, l’inquisito trema e gli è concesso solo di ammettere le sue mancanze.
I “convocati” si ritrovano per quello che una volta si chiamava Autodafé: alla pubblica piazza si è sostituita una più confortevole sala riunioni per l’esame degli inquisiti, obbligati a dare conto pubblicamente del proprio operato.
Di ognuno è indagata la stretta osservanza della Top ten, l’ardore profuso nel compiere gli atti di vendita quotidiani necessari a raggiungere il paradiso del budget. Per dimostrare l’attaccamento alla Fede nel conto economico, è ammessa e incoraggiata la delazione dei sottoposti. Non viene comminata sanzione, ma, solo di sfuggita, “timide” insinuazioni su trasferimenti e demansionamenti, finora…
Sembra cosa certa che il rito debba ripetersi periodicamente, affinché lo zelo non si affievolisca.
Si tratta di cose che suscitano sgomento, che fanno strame di qualsiasi codice etico. In quale secolo credono di vivere questi tristi personaggi, pagati fior di quattrini per vessare chi porta faticosamente l’acqua al mulino? Ormai è saltata ogni forma di creanza e rispetto per la dignità delle persone, prioritaria a quella dovuta a norma di legge e di contratto.
Viterbo, 13 marzo 2015 La segreteria