La nuova Direttiva europea sulla rendicontazione non finanziaria: un’opportunità per il sindacato?

 

Cilonadi Ornella Cilona – La concreta attuazione della nuova Direttiva comunitaria sulla rendicontazione non finanziaria sarà al centro delle iniziative dei governi nazionali e delle grandi imprese europee per tutto il 2015. Il 22 ottobre dello scorso anno è stata, infatti, pubblicata la Direttiva 2014/95/UE, che impone alle società di pubblico interesse (quotate, banche, assicurazioni) con più di 500 dipendenti, con un attivo superiore ai 20 milioni di euro e/o 40 milioni di euro di ricavi, di rendere pubblici dati e notizie sulle conseguenze delle proprie azioni e decisioni sulla società e sull’ambiente. Le grandi aziende dovranno divulgare informazioni e cifre sull’occupazione, su quanto fanno per difendere i diritti umani nelle proprie filiali situate nei Paesi in via di sviluppo, sulle iniziative di lotta alla corruzione, sulle attività di difesa dell’ambiente e sul proprio impegno a favore delle pari opportunità e del dialogo sociale, nonché sull’attuazione delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del Lavoro. Sono, inoltre, tenuti a presentare dati e notizie sulle condizioni di lavoro nei propri stabilimenti e uffici, a dimostrare che rispettano i diritti di informazione e consultazione e di associazione sindacale per i propri dipendenti, a comunicare quanto fanno per migliorare la salute e sicurezza al lavoro e in difesa delle comunità locali. Anche i subfornitori dei grandi gruppi sono coinvolti dall’applicazione della Direttiva, perché le informazioni non finanziarie da divulgare non riguarderanno solo la casa madre ma tutte le sue filiali e l’intera catena del valore. La Direttiva, inoltre, insiste sull’importante principio della “necessaria diligenza” (due diligence). Tale principio indica un processo per identificare gli impatti negativi, reali e potenziali, di tipo sociale, ambientale ed economico, delle decisioni e delle attività di un’organizzazione, con lo scopo di evitare, o quantomeno di mitigare, tali impatti negativi. La Direttiva specifica che per ottemperare agli obblighi previsti le società europee possono contare su importanti strumenti internazionali intergovernativi come le Linee Guida Ocse sulle multinazionali, la Dichiarazione tripartita dell’Organizzazione internazionale del Lavoro dei principi sulle multinazionali e i Principi Guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, nonché su altri importanti strumenti internazionali nel campo della responsabilità sociale come le Linee Guida Iso 26000, le Linee Guida G4 del Global Reporting Initiative per la redazione dei bilanci di sostenibilità e il Global Compact dell’Onu.

La nuova Direttiva comunitaria è il frutto di anni di pressioni sulla Commissione Ue da parte delle ONG e dei sindacati, che hanno potuto contare sull’alleanza fondamentale di una parte del Parlamento europeo. Essa riveste una particolare importanza perché per la prima volta i grandi gruppi dell’Ue sono obbligati a presentare un bilancio di sostenibilità o ad aggiungere rilevanti notizie in campo sociale e ambientale nei propri bilanci finanziari. Si tratta di un ulteriore passo in avanti verso un nuovo approccio ai temi della sostenibilità, che unisce l’impegno volontario delle imprese a una regolamentazione attuata attraverso importanti strumenti internazionali, come i Principi guida dell’Onu su Imprese e diritti umani. La Direttiva 2014/95 ha, inoltre, molti aspetti in comune con la normativa francese in materia di rendicontazione non finanziaria. La prima legge francese, approvata il 15 maggio 2001, pur non imponendo obblighi, aveva per la prima volta favorito la divulgazione da parte delle imprese di informazioni sull’occupazione, la difesa dell’ambiente e le politiche per la diversità. Dal 2012, grazie a una nuova legge, tutte le società francesi con oltre 500 dipendenti e più di 100 milioni di euro di vendite sono tenute a pubblicare all’interno del bilancio finanziario – e non nel tradizionale bilancio sociale – una serie di informazioni sociali, ambientali e di governance.

Si calcola che circa seimila imprese nell’Ue saranno toccate dalla Direttiva comunitaria, la metà delle quali già pubblica bilanci di sostenibilità. Secondo alcuni esperti, la nuova normativa comunitaria avrà importanti conseguenze non tanto per i grandi gruppi europei, che già da tempo pubblicano propri bilanci di sostenibilità, ma per le medie imprese, che hanno una minore sensibilità ai temi della responsabilità sociale. Non è ancora chiaro quante saranno le aziende italiane interessate dalla Direttiva. E’ certo, tuttavia, che il modo in cui questa sarà recepita nell’ordinamento italiano influenzerà in modo determinante la qualità delle informazioni sociali e ambientali divulgate dalle imprese. Il termine ultimo per il recepimento è il 6 dicembre 2016, perché la Direttiva si applicherà a partire dai bilanci relativi al 2017. Il governo italiano potrà in quell’occasione scegliere se attuare la normativa comunitaria così com’è o se allargarne il campo d’azione, abbassando, a esempio, la soglia minima di fatturato o di occupati a partire dal quale scatta l’obbligo di pubblicare le informazioni. Per agevolare il recepimento da parte degli Stati nazionali, la Commissione Ue si è impegnata a elaborare nei prossimi mesi degli orientamenti su come comunicare le informazioni non finanziarie. Finora, il governo italiano non ha, però, dato alcun peso a questa Direttiva, sminuendone l’importanza che può ricoprire per il sindacato e le altre parti interessate. Inoltre, da alcuni segnali, emerge chiaramente che le imprese italiane non hanno alcuna intenzione di confrontarsi con il sindacato sull’attuazione della Direttiva 2014/95. Il 23 gennaio, a esempio, l’Enel e il Global Compact delle Nazioni Unite hanno organizzato un seminario su questo argomento, chiamando docenti internazionali, revisori dei conti e associazioni imprenditoriali, senza però invitare alcun rappresentante delle organizzazioni dei lavoratori o delle ONG.

A fine gennaio, la Confederazione europea dei sindacati ha fatto il punto sulla Direttiva europea in materia di rendicontazione non finanziaria e, più in generale, sulle strategie comunitarie in materia di responsabilità sociale, organizzando una conferenza alla quale hanno partecipato circa cinquanta sindacalisti, provenienti da 17 Stati membri. Partrick Itschert, vice segretario della Ces, ha sottolineato nel suo intervento introduttivo che la Direttiva 2014/95 è stata l’ultimo atto dei vecchi vertici comunitari. La nuova Commissione Ue appena insediatasi appare, invece, molto più sensibile alle istanze delle imprese, timorose di ogni regolamentazione comunitaria sulla responsabilità sociale, tenendo ai margini della discussione sindacati e ONG. Itschert ha poi notato che la Direttiva comunitaria sulla rendicontazione non finanziaria, pur avendo dei limiti – primo fra tutti, il fatto che non prevede alcuna sanzione per le società che non ne rispettano gli obblighi previsti – , è comunque una conquista importante. La tragedia di Rana Plaza ha dimostrato – ha concluso il vice segretario della Ces – quanto siano ancora lenti i progressi nell’applicazione dei diritti del lavoro in molti Paesi extraeuropei. Per questo è importante che il sindacato continui a spingere sui grandi gruppi dell’Ue affinché siano maggiormente responsabili nei confronti dei propri subfornitori.

Ornella Cilona (CGIL Nazionale)

 

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