I fondi negoziali e i fondi aperti hanno reso in media rispettivamente il 7,3% e il 7,5% al netto dei costi e tasse, mentre le polizze previdenziali (Pip) di ramo III (ovvero le unit linked) hanno guadagnato il 7,2% al netto dei costi (ma al lordo degli oneri fiscali, poiché la loro disciplina tributaria prevede l’imputazione degli oneri fiscali direttamente sulla posizione individuale degli iscritti). Nello stesso periodo il Tfr si è rivalutato dell’1,3% netto.
Risultati brillanti che devono essere tenuti in considerazione dai lavoratori in dubbio se incassare il Tfr mese per mese nello stipendio, compreso quello che oggi viene destinato ai fondi pensione. Dal prossimo primo marzo infatti parte l’operazione, in via sperimentale per tre anni, del Tfr in busta paga voluta dal premier Matteo Renzi per rilanciare i consumi.
La Covip ha anche esteso l’analisi dei rendimenti al periodo che va dall’inizio del 2000 alla fine del 2014, caratterizzato da ripetute turbolenze dei mercati finanziari. E anche in questo caso i comparti previdenziali hanno superato il rendimento del Tfr.
In questi 15 anni il rendimento cumulato dei fondi negoziali si è attestato al 59,5% contro il 48% del Tfr. In generale, ribadisce Massicci, “in un periodo di mercati finanziari perturbati il sistema dei fondi pensione ha dimostrato capacità di tenuta. Hanno contribuito le regole di settore, l’avversione al rischio degli operatori e gli interventi dell’Autorità di vigilanza”.
Il patrimonio intanto continua a crescere. In termini di masse gestite le forme complementari dispongono alla fine del 2014 di circa 126 miliardi, circa il 9% in più rispetto alla fine del 2013. La quota maggiore di risorse, circa 50 miliardi, è detenuta dai fondi preesistenti, i fondi negoziali amministrano 39,6 miliardi, mentre le risorse gestite dai fondi aperti si attestano a 13,9 miliardi. Le risorse accumulate dai Pip ammontano a 22,3 miliardi.
Alla fine dell’anno appena trascorso, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari sono circa l’8% del Pil e il 3 per cento delle attività finanziarie delle famiglie italiane; a fine 2006, prima dell’avvio della riforma, tali percentuali erano, rispettivamente, il 3,5 e l’1,5%.
“Pur se ancora contenute nel confronto internazionale, le dimensioni delle forme pensionistiche sono di tutto rispetto specie nel contesto di alcune esperienze di tipo negoziale”, conclude Massicci.
E’ però ancora scarso l’investimento in azioni italiane. I dati a fine 2013 sulla composizione dei portafogli mostrano che gli investimenti indirizzati all’Italia ammontano a 30,3 miliardi di euro (34,9% del patrimonio complessivo), di cui ben 23,9 costituiti da titoli di Stato (circa l’1,1% dello stock di debito pubblico in circolazione).
L’investimento in titoli emessi da imprese italiane è pari a 2,1 miliardi di euro (il 2,5% del totale): di questi, 1,4 miliardi si riferisce a obbligazioni e solo 716 milioni ad azioni.
A tal proposito la Covip cita l’indagine annuale condotta dall’Ocse su di un gruppo di grandi fondi pensione internazionali alla quale partecipano già da alcuni anni anche i tre fondi negoziali italiani più grandi. Pur con un’elevata dispersione tra i diversi fondi presi in esame, in media gli investimenti in attività domestiche costituiscono il 64% del portafoglio. Per i fondi italiani, invece, tale percentuale è compresa fra l’11 e il 50% ed è in larga prevalenza costituita da titoli di Stato.