[articolo apparso su Repubblica.it Economia & Finanza il 7 febbraio 2015]
Roma – Sarà a causa della crisi, sarà per un vento nuovo che soffia sull’economia, sarà perché i tempi stanno lentamente cambiando (l’economista Edward Freeman teorizza che “per le imprese non è più tempo di fare solo soldi, ma di condividere il valore”), eppure il tema dei comportamenti socialmente responsabili, dell’attenzione alle risorse umane e materiali, della necessità di uno sviluppo sostenibile, sta conquistando spazio non solo tra le aziende, ma anche nel non profit, nelle università e, quel che più interessa, nei Governi.
Una consultazione pubblica avviata il 30 aprile, conclusa il 15 agosto 2014 e orientata a ricevere stimoli per identificare il ruolo che la Commissione Europea dovrebbe avere nella promozione della CSR, ha consentito alla stessa Commissione di presentare a Bruxelles i risultati dell’indagine durante il Multistakeholders Forum on Corporate Social Responsibility (3 e 4 febbraio 2015), insieme a numerosi attori impegnati sul fronte della CSR in Europa: da loro è emersa la necessità di focalizzare l’attenzione sulla finanza responsabile, di incoraggiare gli investimenti sostenibili di lungo termine e di educare i consumatori alla sostenibilità; inoltre, un accento è stato più volte posto sul bisogno di supportare la creazione di piattaforme per la condivisione delle best practice e sulla necessità di fornire alle imprese delle linee guida chiare per l’implementazione dei principi guida dell’ONU in materia di Business and Human Rights. Si è parlato di competitività e di innovazione, anche sociale nonché di partnership pubblico-privato e terzo settore, specie in previsione del recepimento delle Direttive appalti; di diritti umani, di public procurement e di finanza.
Per la cronaca la Commissione ha ricevuto 525 risposte al questionario che aveva lanciato on line; di queste 139 dalla Francia, 135 dalla Germania, 109 dall’Italia, 103 dalla Spagna e 101 dalla Gran Bretagna. Il gruppo più numeroso dei rispondenti appartiene all’industria (44%), il 30% delle risposte proviene dalla società civile, l’8% dalle istituzioni pubbliche, il rimanente 18% suddiviso tra fondazioni non profit, consulenti e docenti di CSR.
L’80% dei rispondenti ha dichiarato che lo sviluppo della CSR può avere un impatto significativo per la sostenibilità dell’economia europea. In particolare alla domanda “Perché credi che la CSR sia importante per le imprese?” hanno detto:
1. le imprese coinvolte in una politica di CSR di lungo periodo sono in grado di identificare meglio rischi e opportunità
2. le imprese che adottano linee guida trasparenti creano una vera e propria cultura al proprio interno funzionale ad attrarre e trattenere le migliori risorse professionali
3. le imprese che ascoltano e comprendono le aspettative dei propri stakeholders hanno maggiori possibilità di immettere sul mercato prodotti e servizi che possono contribuire alla soluzione di problemi globali
4. la responsabilità sociale d’impresa aiuta ad anticipare rischi ambientali e sociali
5. un comportamento socialmente responsabile consegna alle imprese una “licenza sociale” ad operare sul mercato
6. la CSR aiuta a far crescere il valore dell’impresa
Alla domanda “Perché credi che la CSR sia importante per la società?” hanno risposto:
1. la CSR fa crescere indistintamente tutti gli stakeholder dell’impresa
2. la CSR aiuta a ridurre le disuguaglianze e accresce il benessere collettivo
3. la CSR crea un circolo virtuoso che attraverso una produzione sostenibile sostiene la crescita della società civile.
A noi il compito di dire che poiché i comportamenti responsabili delle imprese fanno bene all’economia, all’ambiente e allo sviluppo della società, ciascun Governo (quello italiano sembra particolarmente convinto) naturalmente può subito:
– studiare e applicare un sistema di incentivi fiscali per le imprese impegnate
– promuovere campagne di informazione efficaci verso i consumatori
– premiare gli atenei che nell’offerta didattica prevedano corsi e seminari sulla CSR intesa come strumento di crescita culturale.
Che la CSR produca vantaggi concreti è d’altra parte un fatto assodato, e anche al Forum di Bruxelles non sono mancate molte testimonianze di buone pratiche: l’Olanda e la Danimarca (con politiche locali molto favorevoli alle imprese sostenibili); la Bulgaria, con una sorta di rating devoluto a imprese responsabili previo controllo da parte dei sindacati, nonché un programma di formazione in materia molto esteso; l’Italia, con la piattaforma interregionale e interministeriale-INAIL sulle condotte di impresa responsabile; la Polonia, con un programma di imminente applicazione della Uni ISO 26000 nella PA; Malta, con una piattaforma nazionale governativa per imprese etiche e sostenibili dal punto di vista socio-ambientale.
“A fronte di criteri di esclusione di taluni settori dai target degli investitori ESG (ambiente, sociale e governance) – ha spiegato Giovanni Lombardo, docente di responsabilità sociale presso l’Università di Genova – alcune buone pratiche hanno descritto l’approccio che prevede anche il calcolo di rating più attinente all’impatto sociale, con la considerazione, a fianco di aspetti economico finanziari, anche dell’uso dell’energia, del capitale umano, delle modalità di assunzione dei dipendenti, della catena di fornitura, delle procedure anticorruzione, delle modalità di sorveglianza dei CdA, della qualità dei manager e struttura degli incentivi e benefit. E ciò, pronunciato da grandi imprese, mi pare un elemento che i Governi degli Stati membri e la stessa CE debbano tenere in alta considerazione, specie in un momento in cui si discute anche dell’accordo TTIP (Trattato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti) che, se non adeguatamente implementato, potrebbe vanificare taluni nostri sforzi odierni”.
A partire dai prossimi giorni, le varie DG, dalla DG Sviluppo, a Commercio, a Giustizia coordinate dalla DG Crescita, procederanno ad un’analisi dettagliata dei contributi per dare forma alla strategia UE 2015-2020 in materia di responsabilità sociale d’impresa.
( di Roberto Orsi – La Repubblica del 7 febbraio 2015 )