Il Sud ai tempi del “problema” dello Statuto dei Lavoratori

Lo scenario politico italiano presenta davvero degli aspetti che a un osservatore eventualmente alieno sembrerebbero di stampo …marziano. In questo momento tutta la forza del dibattito politico sociale va a dispiegare la propria vociante energia su un tema quale quello dei diritti di chi lavora, con un governo che, a caccia di nemici ad ogni costo, mira dividere il Paese, mette nel mirino lavoratori e sindacati e cerca scalpi da portare in pegno a settori di destra che lo supportano e alle miopi politiche di Commissione europea e BCE, istituti le cui politiche pervicacemente neoliberiste hanno finora indubitalmente portato addirittura a una recessione aggravata dalla deflazione in Italia, e all’azzeramento della ripresa nel resto d’Europa fatta eccezione per qualche paese ridotto talmente male da aver ormai raschiato il fondo del barile!
Dal nostro punto di vista più pratico dobbiamo registrare che, in questo quadro già poco rassicurante, la situazione delle Regioni meridionali del nostro Paese volge sempre più al peggio sotto tutti gli aspetti, nella sostanziale indifferenza di tutte le forze politiche, mentre la voce di quelle sociali sembra debole e appare piuttosto “clamantis in deserto”. Il Governo, più occupato a regolare conti rischiando conflitti sociali e a sostenere mediaticamente la scena, si mostra a sua volta fondamentalmente impotente di fronte a un permanente dualismo
territoriale – che nei dati della produzione industriale, della disoccupazione e della povertà assoluta e relativa trova una drammatica rappresentazione – e sembra addirittura incline, nella spasmodica ricerca di una quadratura dei conti, a sacrificare ancora di più le Regioni del Sud: non è di troppo tempo0 fa la notizia che, per aprire la strada a una maggiore flessibilità dei conti pubblici a partire dal 2015, il Governo stia pensando all’ipotesi di dimezzare la quota di cofinanziamento italiano ai fondi europei, realizzando eventualmente un “risparmio” di 10/12 miliardi. Inutile dire, al di là di vedere quello che poi ne penserà l’Europa, che tale operazione penalizzerebbe innanzitutto le Regioni del Sud.
Di contro, all’annuncio dei ventiquattro contratti di sviluppo per 1,4 miliardi di investimenti firmati dal Governo (tutto da vedere l’impatto reale sull’occupazione, specie al Sud) si è arrivati solo perché si correva il rischio di perdere risorse europee -700 milioni- che andavano utilizzate entro il 2013, cosa che non si è saputo fare in tempo come in tante altre circostanze.
L’orizzonte è dunque fosco, e lo è ancora di più se si va a leggere l’ultimo studio di Banca Italia sulle economie regionali (luglio scorso) relativo al 2013. La Banca centrale ci dice che nello scorso anno il calo del prodotto interno lordo è stato molto disomogeneo. Più limitato nel Nord-Ovest (-0,6% dal -2,3% del 2012) e al Centro (-1,8% dal 2,5%) e più forte nel Meridione, dove la flessione è stata superiore rispetto all’anno precedente (-4% contro il -2,9% dell’anno precedente). I segnali “moderatissimi” di ripresa che sembravano segnare un’inversione di tendenza per il 2014 ma che non hanno trovato poi altri riscontri risultavano comunque trainati esclusivamente dell’economia del Centro-Nord. Un dislivello che si registra soprattutto sul fronte delle esportazioni in crescita nelle regioni settentrionali, rimaste stabili al Centro e in forte calo al Sud. Secondo Banca Italia “il riavvio dell’attività delle regioni
centro-settentrionali non si è ancora esteso a quelle meridionali, meno aperte agli scambi internazionali”. Anche sul lavoro, con o senza l’articolo 18, i dati fotografano un quadro del Paese spezzato. Il tasso di disoccupazione è cresciuto che continuano però a ridursi, risentendo anche del debole quadro congiunturale mentre il costo del credito per le società non finanziarie è in calo, ma resta superiore a quello dell’area dell’euro di circa 70 punti base (Bollettino Economico Banca d’Italia 3 lug 2014) – . E’ evidente, da queste note, che il settore creditizio risente fortemente della crisi e contemporaneamente non riesce ad essere un fattore di risoluzione della stessa. Come è evidente che all’interno del nostro Paese, nonostante le dichiarazioni di ABI (vedi suo comunicato stampa del 16 aprile scorso in cui si “stupiva” di una lamentela di Confindustria circa un razionamento del credito nel Meridione), le banche non fanno sforzi particolari per contribuire alla riduzione del gap territoriale Nord-Sud. Resta ovvio, se vogliamo rimanere realisticamente con i piedi per terra, che il motore primo di una epocale inversione di tendenza sul tema di un divario frutto di una questione meridionale da mettere necessariamente e di nuovo al primo posto di un’agenda pubblica, è e rimane lo Stato, incapace da tempo, e finora, non solo di affermare pienamente la legalità in una parte rilevante del proprio territorio ma anche di ritrovare quella “logica industriale” che ha ispirato le politiche di intervento straordinario per il Mezzogiorno negli anni cinquanta del secolo scorso.
Ma questo non significa che il sistema creditizio, anche attraverso la valorizzazione delle specificità dei suoi addetti e lavoratori/trici del Meridione d’Italia e con una ripresa forte dell’erogazione del credito al Sud, possa chiamarsi fuori da una responsabilità eccezionale e straordinaria al riguardo. Anzi, esse devono prendere coscienza – e dare conto – del fatto che la loro attività, pur nell’ambito di una necessaria autosostenibilità, non è come quella di tutte le altre aziende e ha delle implicazioni sociali e di carattere sistemico di importanza capitale.
In relazione al sostegno all’economia, per esempio, le aziende bancarie non possono nascondersi dietro l’alibi che la debolezza delle imprese meridionali spiegherebbe la propria severità e parsimonia nel concedere credito. E’ vero invece che più le banche sono avverse al rischio e praticano alti tassi di interesse, più le imprese possono andare in sofferenza. Bisogna che le banche considerino rilevante nel business aziendale il contesto territoriale e che il sistema delle imprese e le famiglie del Meridione ritrovino sul posto interlocutori finanziari preparati e degni di fiducia.
Questo nella speranza che l’Esecutivo trovi il tempo e il modo di guarire dall’”annuncite” e soprattutto avvii una politica di investimenti che dia alle persone che lavorano e a quelle che aspettano un lavoro in questo Paese una speranza di un’attività da espletare con la dignità che si conviene, senza essere esposti ad arbitrii, così come finora lo Statuto dei lavoratori ha saputo perfettamente assicurare.

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