Salita è dire poco. Il rinnovo del contratto dei bancari è alle prime schermaglie ma una cosa è già chiara: è sui fondamentali che sindacati e Abi, l’associazione dei banchieri, proprio non si intendono. Un incontro c’è stato l’altroieri. I prossimi saranno il 23 e il 30 giugno.
Nel merito delle questioni si entrerà solo dopo l’assemblea dell’Abi del 10 luglio. Sul tavolo c’è anche la possibilità che Francesco Micheli, alla guida del Casl, il comitato per gli affari sindacali dell’associazione, lasci il posto. Ma un punto è già evidente a tutti: le posizioni sono distanti anni luce. Tanto che l’Abi ieri ha consegnato al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan un documento in cui, tra le altre cose, si mette nero su bianco che il passaggio contrattuale sarà difficile e si prevedono ricadute sul piano sociale.
Morale: le banche mettono le mani avanti, avvertono che si arriverà ai ferri corti e perciò si aspettano attenzione da parte del governo. Quando nell’incontro dell’altro ieri i sindacati hanno illustrato il documento dal titolo «Nuovo modello di banca al servizio dell’occupazione e del Paese» qualcuno tra i rappresentanti della controparte ha accolto il testo con sufficienza. Le sette sigle presenti alla trattativa non l’hanno presa bene.
E non solo per una questione di orgoglio offeso. A criticare il documento, infatti, era uno dei papabili alla guida del Casl, Camillo Venesio, ceo della banca del Piemonte. Il punto di distanza tra le parti è principalmente uno. Il sindacato propone un rinnovo del contratto sullo schema di quanto avvenuto in passato. Chiede 175 euro lordi in più in busta paga. E elenca una serie di proposte per il settore che fanno perno su attività ad alta intensità di lavoro.
I sindacati hanno capito bene che la banca online fa sparire i clienti allo sportello. E allora propongono orari più lunghi e la riconversione delle professionalità su attività “sorelle” come la consulenza. L’Abi, invece, semplicemente non intende trattare sulle vecchie basi. Parla di distanze abissali, punti di vista inconciliabili e mette in discussione il sistema della contrattazione fondato sui due livelli. Non ritiene sostenibile alcun aumento a livello nazionale.
Per la parte normativa, Abi non considera più sostenibile il fatto che il 43% del personale abbia una qualifica di quadro direttivo. E anche il numero degli occupati totali è messo in discussione: per le banche le risorse per gli aumenti si potrebbero trovare solo tagliando il numero dei posti di lavoro.
Il sindacato vede le difficoltà. «Ci opponiamo con ogni forza a una gestione delle banche che punta solo sul taglio dei costi del personale per aumentare la redditività del settore. Non fa bene ai dipendenti. E non fa bene al Paese», contesta Lando Sileoni (foto) a capo della Fabi, il principale sindacato dei colletti bianchi allo sportello. «Le banche devono uscire da una posizione puramente difensiva per mettersi in gioco con i propri dipendenti al servizio del Paese. E la relazione tra aumenti e tagli al personale è del tutto inaccettabile. Senza contare che i banchieri europei guadagnano la metà di quelli italiani, ma negli ultimi cinque anni hanno rilanciato le loro attività». «Presenteremo il nostro progetto di banca a tutti: governo e associazioni delle imprese», promette Massimo Masi leader dei bancari Uil.
Per Agostino Megale, della Fisac Cgil «l’Abi si sta costruendo alibi per non confrontarsi sul merito della nostra proposta».
E anche Giulio Romani della Fiba Cisl è sulla stessa lunghezza d’onda: «Questo atteggiamento sprezzante lascia il tempo che trova. L’Abi non deve confrontarsi solo con noi ma con il Paese». I 4 miliardi che le banche hanno messo sul piatto del governo con la legge di Stabilità (2,2) e il decreto Irpef (1,8) non fanno che irrigidire la posizione dell’Abi. Il risultato è che la trattativa scalda i motori. Ma la macchina pare destinata a fermarsi al primo tornante.
Corriere della Sera Sindacati bancari aumenti e orari lunghi 20 06 14
Unità Banche contratto in salito 20 06 14