E’ stata presentata oggi – 4 giugno – a Ginevra, nel corso della 103^ Conferenza Internazionale del Lavoro, l’indagine annuale della Confederazione Internazionale dei Sindacati, CSI-ITUC, sulle violazioni dei diritti sindacali nel mondo.
Inaugurata nel 1983 dall’allora ICFTU, l’indagine annuale si arricchisce, quest’anno, del “Global Rights Index”, l’indice globale sui diritti, la graduatoria dei 139 paesi esaminati sulla base di 97 indicatori che riguardano le violazioni – in termini di legge e nella pratica – delle libertà civili, del diritto di organizzare sindacati, dell’effettiva libertà di attività sindacale, del diritto alla contrattazione collettiva, del diritto di sciopero.
Come tutti gli indici sintetici, il Global Rigths Index è una misura approssimativa del livello di violazione dei diritti da parte di un paese.
Tuttavia, contribuisce a dare una rappresentazione abbastanza efficace della situazione reale suddividendo i paesi tra quelli dove la legge non garantisce i diritti (punteggio 5+): 8 paesi tra cui Repubblica Centroafricana e Somalia; dove i diritti non sono garantiti nella pratica, anche quando qualche norma è in vigore (punteggio 5): 24 paesi, tra cui Bangladesh, Bielorussia, Colombia e Qatar; dove le violazioni sono sistematiche (punteggio 4): 30 paesi tra cui il Kenya e gli Stati Uniti; dove le violazioni avvengono con regolarità (punteggio 3): 33 paesi, tra cui Cile, Ghana e Gran Bretagna; in cui le violazioni sono ripetute (punteggio 2): 26 paesi, tra cui il Giappone e la Svizzera; e, infine, i paesi con violazioni occasionali (punteggio 1): 18 paesi, tra cui anche l’Italia. (Per l’indagine completa, in inglese, vedi: www.ituc-csi.org/ituc-global-rights-index-2014)
Nella presentazione dell’indagine, l’ITUC ha insistito sulle violazioni, nella legislazione e nella pratica, al diritto di sciopero, anche perché, come noto, gli imprenditori, nella Conferenza Internazionale del Lavoro, continuano il loro ostruzionismo contro le decisioni del Comitato di Esperti e della Commissione sull’Applicazione delle Norme dell’OIL di “sanzionare” i paesi che non rispettano il diritto di sciopero e le convenzioni fondamentali 87 e 98.
Secondo l’indagine, in ben 87 paesi il diritto di sciopero è negato, per legge o in pratica, quantomeno ad alcune categorie di lavoratori, spesso pubblici dipendenti e/o lavoratori delle Zone Speciali di Esportazione nei paesi emergenti e in via di sviluppo.
Negli ultimi 12 mesi considerati dal rapporto, in 37 di questi paesi gli scioperi sono stati repressi con la violenza e anche l’arresto di sindacalisti e lavoratori aderenti, o con pesanti multe nei confronti di sindacati e scioperanti.
Più in generale, l’attività sindacale subisce violenze, minacce, ritorsioni, dalle imprese come dalle autorità, in almeno 53 dei paesi esaminati.
Nel 2013 sono state censite violenze contro 1.951 sindacalisti, mentre altri 629 hanno subito incarcerazioni per le loro azioni sindacali, in almeno 35 paesi.
La Colombia continua ad essere, purtroppo, il paese più pericoloso per gli attivisti e i dirigenti sindacali: 26 sindacalisti sono stati uccisi nel corso dell’anno, continuando una tragica catena che prosegue ininterrotta ormai da 20 anni, con scarsi avanzamenti anche per quanto riguarda la perseguibilità degli assassini.
Ma omicidi di sindacalisti sono avvenuti anche in altri 9 paesi: Cambogia, Bangladesh, Filippine, Messico, Honduras, Guatemala, Mauritania, Egitto e Benin.
L’indagine sottolinea, ancora, le difficoltà e i rischi di sindacalizzazione per il crescente numero di lavoratori precari e per i lavoratori migranti – maggiormente ricattabili e spesso negati del diritto alla contrattazione collettiva.
L’indagine contiene brevi rapporti di sintesi sulle situazioni continentali e altrettanto brevi “fotografie” della situazione di 82 paesi.
Per quanto riguarda l’Italia, l’indagine indica come violazioni quelle dell’ABI e delle associazioni datoriali della ristorazione per la disdetta unilaterale dei rispettivi Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.