L’UE vota l’obbligo (debole) di Csr. Eurosif deluso, in Parlamento una norma svuotata

By: Mimmo Arnesano – All Rights Reserved
Il Parlamento Europeo compie un passo storico per la Csr. Ma, secondo Eurosif, l’organizzazione che rappresenta i forum della finanza sostenibile dei vari Paesi, si tratta di un passo a metà che «delude le aspettative degli investitori». Il Parlamento di Strasburgo ha dato il via libera, ieri mattina, rispettando le previsioni di Sergio Cofferati intervistato in marzo da Eticanews, alla proposta di direttiva che prevede la cosiddetta «disclosure delle informazioni non finanziarie e della diversity» da parte di una certa tipologia di aziende. Si tratta, in sostanza, di rendere obbligatorie le informazioni proprie della corporate social responsibility, ossia le attività e i risultati in campo sociale, ambientale e di governance. «Una volta approvata dal Consiglio, che formalmente dovrebbe votare la legge entro questo mese, e divenuta ‘legge’ – si legge nella nota di Eurosif – la normativa rappresenterà una importante pietra miliare nel processo dell’Europa verso una maggiore trasparenza societaria. Per la prima volta saranno richieste esplicitamente nei bilanci informazioni sull’ambiente, il sociale, i dipendenti, i diritti umani, la corruzione e i problemi di tangenti». Questo passaggio, sottolinea ancora Eurosif, è un’evoluzione dell’approccio “comply or explain” (ossia, “rispetta le indicazioni oppure spiega perché non lo fai”).

Tuttavia, Eurosif parla esplicitamente di delusione («Eurosif is disappointed») perché il testo della proposta originaria, cui aveva contribuito un’ampia rappresentanza di organizzazioni degli stakeholder, «si è notevolmente indebolito nel corso dei negoziati». L’organizzazione punta il dito contro «alcuni Stati membri e alcune organizzazioni imprenditoriali» che non hanno supportato gli sforzi.

In particolare, Eurosif denuncia quattro punti deboli della normativa finale.

1) Si applicherà solo a quelle che sono indicate come “grandi imprese di pubblico interesse”. Questo significa che riguarderà solo circa 6.000 aziende (le quotate in via primaria), e quindi un numero significativamente inferiore rispetto alle 18.000 società quotate e non quotate della proposta originaria della Commissione. In questo modo, la legislazione non “livella il campo di gioco” quanto Eurosif ritiene necessario.

2) Non contiene nessuna misura di garanzia dell’effettiva applicazione della norma. La decisione di verifiche della effettiva veridicità dei dati viene rimandata ai singoli Stati membri.

3) Consente (in alcune circostanze) di rimandare la pubblicazione delle informazioni non-finanziarie fino a sei mesi dalla pubblicazione del bilancio ordinario. Un periodo di tempo assai rilevante per un investitore.

4) Non prescrive l’utilizzo di key performance indicators che renderebbero più semplice la comparazione tra i risultati delle diverse società. In ogni caso, il problema dovrebbe essere affrontato a breve, in quanto la normativa richiede alla Commissione di sviluppare una guidance in questo senso.

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