Dal «Rapporto sull’Economia della Campania» di Banca d’Italia emerge con chiarezza, se vogliamo semplificare, un dato lampante: la crisi economica del 2008, divenuta virulenta un anno dopo in Europa, si è propagata con crescente intensità in Italia, nel Mezzogiorno e in Campania, aumentando il suo carattere recessivo man mano che dava luogo a elementi di redistribuzione, più forti proprio in quest’ultima regione, sia tra classi dimensionali di imprese che tra finanza da un lato e famiglie e imprese dall’altro, con un crollo dell’erogazione del credito che sembra non avere precedenti. Tutto ciò con un Pil che nella regione si è ancora contratto nel 2012 del 2,6%, contro la media italiana del -2,4% e a fronte di quella dell’area euro dello 0,6%. Non solo, messa in ginocchio da quasi cinque anni di recessione, la Campania continua, dal 2008, a perdere, per fallimenti o liquidazioni volontarie, 8.400 imprese l’anno, che pesano per il 10% sul fatturato globale delle imprese regionali. Si tratta per lo più di società che, in termini di redditività e indebitamento, mostravano fragilità finanziaria anche negli anni precedenti la crisi.
Il quadro generale della situazione occupazionale resta drammatico: con un tasso di occupazione che ha raggiunto il 40%, rimanendo al livello più basso tra le regioni italiane e inferiore alla media nazionale di ben 17 punti. «Nel 2012 si registra una lieve crescita che se continuasse allo stesso ritmo impiegherebbe ben 31 anni a raggiungere la media nazionale del rapporto tra occupati e popolazione». Insomma, c’è ben poco da rallegrarsi: nel 2012 cresce il tasso di disoccupazione dal 15,5 del 2011 al 19,3% del 2012, e le persone in cerca di lavoro crescono di 91mila unità (+31,5%). Il quadro resta critico. Soffrono sempre più le costruzioni e il mercato immobiliare. Mentre mostrano scarsi segnali di recupero automotive e cantieristica. Soffrono insomma le attività più legate alla domanda interna.
Banca d’Italia registra, altresì, una ulteriore riduzione del credito nella seconda metà del 2012. Cala anche la domanda: le imprese rinunciano a investire, in molti casi soffocate da un fisco che nella regione è anche più pesante. In tale contesto il Sistema Bancario non ha certamente dispiegato un’azione anticiclica. Banca d’Italia registra, infatti, una riduzione del credito che addirittura si è accentuata nel secondo semestre del 2012 anche per effetto dell’irrigidimento della offerta.
I prestiti totali erogati alla clientela residente in Regione sono diminuiti del 2,3% nel 2012 rispetto al 2011. I prestiti erogati dalle Banche appartenenti ai primi 5 Gruppi bancari nazionali sono calati del 2,5%, quelli delle altre Banche del 2%.Il credito alle imprese manifatturiere si è ridotto del 3,5%; a soffrire maggiormente sono stati i comparti della fabbricazione di autoveicoli e altri mezzi di trasporto (8,8%), metallurgia (-4,1%), tessile e abbigliamento (- 3,7%) e alimentare (-3,4%). A marzo 2013 si registra una ulteriore contrazione del 2,8%.
Le erogazioni di mutui alle famiglie campane per l’acquisto di abitazione hanno registrato, rispetto al 2011, un vero e proprio crollo (-43,6%) nel 2012. Il quadro risulta aggravato dall’aumento del costo del denaro sia per le imprese, sia per le famiglie. I tassi di interesse sui prestiti a breve termine a clientela residente in Campania sono aumentati al 7,6% a fine 2012, con un incremento di 30 b.p., circa 1,7 p.p. superiore alla media nazionale. Per le imprese, indipendentemente dalla classe dimensionale e di rischiosità, il tasso d’interesse ha raggiunto il 7,9% sugli impieghi a breve, mentre sulle operazioni a scadenza si è attestato al 5,9%, quasi 1.2 p.p. al di sopra della media nazionale, il che dimostra un fatto preoccupante: che i rubinetti delle banche non si aprono né per le aziende zoppicanti né per quelle sane. Il TAEG sui nuovi prestiti a M/L alle famiglie per acquisto casa si è attestato, a dicembre 2012, al 4,5%, un livello di quasi 60 centesimi superiore al dato italiano Tutto questo si è verificato in una fase in cui le Banche italiane hanno goduto della favorevole condizione di poter conseguire fin troppo facili profitti derivanti dal potersi indebitare a tassi vicino allo zero e acquistare titoli di Stato.
Se non sono riuscite a trasformare in crediti l’enorme pioggia di liquidità di cui hanno beneficiato finora, come potranno sostenere la ripresa economica che continua ad allontanarsi?
Viene naturale pensare che al solito la loro unica missione sia ridurre il costo del lavoro e le condizioni di lavoro (e di vita) dei bancari per conseguire una redditività che non sono capaci a costruire e continuare a remunerare il top management con stipendi, stock option e bonus scandalosi e del tutto amorali. Ma oltre a questo il sospetto che pure può sorgere è che i grandi gruppi bancari di questo Paese possano illudersi di risanare i propri bilanci con la soppressione del credito al Sud e quindi sacrificando questo territorio. Tale e quale a quel tizio che credeva di salvarsi tagliando il ramo sul quale era seduto.