Un doppio colpo al Mezzogiorno

In queste ore si stanno consumando due eventi che avranno effetti duraturi sulle condizioni dei lavoratori e dei pensionati: la manovra del prof. Monti e la firma separata all’accordo Fiat.

La manovra, doveva essere rigorosa, equa e di crescita. Invece nonostante le pressioni e gli scioperi unitari fatti e in corso, poco o nulla finora è cambiato. Pagheranno le classi più povere, quelle su cui è più semplice e certo il prelievo, mentre ancora una volta ricchi ed evasori saranno toccati solo di striscio. E pagheranno gli stessi soliti noti che negli ultimi due anni hanno sopportato manovre per un totale di 230 miliardi di euro tra tagli e nuove tasse, di cui 160 miliardi nel solo 2011.

Una cura da cavallo che, secondo la Corte dei Conti e la stessa Banca d’Italia, causerà un’ ulteriore ondata recessiva. Mentre salari e pensioni restano sostanzialmente fermi, l’inflazione viaggia intorno al 3,4% . E con il fulmineo aumento delle accise sui carburanti, questo dato non potrà che crescere ulteriormente. Contemporaneamente, la pressione fiscale, già intorno al 45%, continuerà a salire grazie al combinato disposto dell’introduzione dell’Imposta Municipale anche sulla prima casa, degli aumenti delle addizionali irpef, dei ticket sanitari, delle tariffe per i trasporti che si sommano al profondo taglio di servizi sociali.

Insomma una manovra che peggiorerà le condizioni dei pensionati e dei lavoratori senza dare alcuna certezza per la crescita. Basti pensare alla vicenda previdenziale: si colpiscono gli attuali pensionati – negando la rivalutazione a chi percepisce una pensione di 1200 euro mensili – contemporaneamente si allunga notevolmente l’età pensionabile, al solo scopo di fare cassa; infatti la manovra, per il miglioramento delle pensioni dei giovani, non ha previsto alcun intervento. Insomma si toglie ai padri per non dare ai figli. Così come si continua ad applicare la pratica dei due tempi: subito i sacrifici a carico delle fasce più deboli e poi…

L’impatto delle manovre governative attuate quest’anno costerà mediamente 3.250 euro famiglia, mentre l’ultima manovra, da sola, avrà un maggior costo di circa 1.100 euro (dati della Federconsumatori). Ma il peso sarà diverso da territorio a territorio: minori spese e maggiori entrate incideranno nel Sud per il 6% del Pil e al Centro-Nord per il 4,7% (fonte Svimez). Così, ancora una volta, i sacrifici maggiori ricadranno su quella parte del Paese che già vive una condizione più difficile. Il Mezzogiorno, che registra salari inferiori del 21% e un reddito dimezzato rispetto alla media nazionale, sarà il territorio più penalizzato dalla manovra.

La firma dell’accordo separato in Fiat, che segue la disdetta del contratto nazionale di categoria, è l’ultimo strappo che Marchionne compie ai danni dei lavoratori metalmeccanici e più in generale della contrattazione di tutte le categorie. Negare il contratto nazionale a 86.000 lavoratori del comparto Fiat vuol dire indicare la strada della rottura a tutto il mondo dell’imprenditoria, poiché se lo fa la Fiat…

L’accordo separato cancella il diritto allo sciopero, alla scelta democratica della propria rappresentanza sindacale, il diritto alla salute e alla contrattazione degli straordinari e dell’organizzazione del lavoro. Una scelta che disegna un modo di fare relazioni sindacali “antico”, in cui le difficoltà di mercato vengono scaricate totalmente e autoritariamente sulla forza lavoro e sulla sua rappresentanza. Un attacco che ha preso il via a Pomigliano, agitando lo scambio tra diritti e occupazione, in una realtà dove il lavoro è scarso, e che ora è la condizione di tutti i dipendenti Fiat in tutta Italia. E con meno diritti e meno occupazione per tutti.

Ancora una volta si è usato il bisogno e le difficoltà, che al Sud sono più pressanti, per cancellare la contrattazione, la rappresentanza e i diritti di tutti.

La pesante iniquità sociale e territoriale della manovra e la grave politica della Fiat sono purtroppo figlie della stessa logica di “mercato”; entrambe negano la democrazia e il confronto, mentre scaricano sul lavoro il peso della crisi di un intero modello di sviluppo ormai arrivato al capolinea.

Un nuovo e più forte protagonismo dei lavoratori e del Mezzogiorno, a partire dagli scioperi in atto, può e deve fermare la deriva in atto.

Perciò lavoro, sviluppo ed equità vera devono tornare ad essere centrali in un Paese sempre più povero e diviso.

Dicembre 2011

Fisac CGIL

Dipartimento Mezzogiorno

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