In Italia, servono 1,7 milioni di posti di lavoro solo per ritornare al livello pre-crisi
Il “Rapporto sul mondo del lavoro 2013: ristabilire il tessuto economico e sociale” (World of Work Report 2013:Repairing the economic and social fabric), presentato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organisation, ILO) alla vigilia dell’apertura della Conferenza Internazionale del Lavoro, traccia uno scenario preoccupante su scala globale, pur evidenziando una serie di importanti differenze a livello locale e nelle prospettive.
Il contesto generale conferma l’aumento della disoccupazione mondiale, di cui si prevede una crescita ulteriore dagli attuali 200 milioni a circa 208 milioni entro la fine del 2014. Il numero di quanti cercano lavoro senza trovarlo è stimato a 214 milioni entro il 2018.
Per riportare l’occupazione ai livelli pre-crisi secondo l’ILO sono necessari oltre 30 milioni di posti di lavoro.
Il tasso di occupazione globale nel quarto trimestre 2012 era al 55,7%, lo 0,9% in meno rispetto al quarto trimestre 2007, il che comporta un deficit globale netto di circa 14 milioni di posti di lavoro rispetto all’ante-crisi. Servono poi altri 16,7 milioni di posti per i giovani che raggiungeranno l’età lavorativa quest’anno, il che porta dunque a 30,7 milioni lo squilibrio lavorativo globale.
Per l’Unione europea il “gap” complessivo è di ben 6 milioni. Secondo il rapporto, nei paesi avanzati i livelli occupazionali dovrebbero rivedere i livelli pre-crisi solo nel 2018.
Mentre l’economia globale si riprende lentamente dalla crisi finanziaria, nella maggior parte dei paesi emergenti e in via di sviluppo si registra un aumento dell’occupazione e una riduzione delle disuguaglianze, contrariamente a quanto sta accadendo nei paesi ad alto reddito, nella maggior parte dei quali le diseguaglianze sono addirittura più elevate di quanto fossero prima della crisi. Tuttavia, nella maggioranza dei paesi a reddito medio-basso la differenza tra ricchi e poveri rimane ampia. Molte famiglie che erano riuscite a superare la soglia di povertà, rischiano di ripiombare nella miseria assoluta.
La maggior parte delle grandi imprese ha nuovamente accesso ai mercati finanziari, ma le imprese più piccole sono invece colpite in maniera sproporzionata dalle condizioni di credito bancario e registrano un ritardo dal punto di vista del profitto e degli investimenti produttivi. Questo costituisce un problema per la ripresa dell’occupazione e pregiudica le prospettive economiche di lungo termine.
«I dati indicano una evoluzione positiva in numerose regioni del mondo in via di sviluppo, ma dipingono un quadro inquietante in molti paesi ad alto reddito, nonostante la ripresa economica. In alcuni paesi europei, in particolare, la situazione comincia a mettere a dura prova il tessuto economico e sociale. Abbiamo bisogno di un ripresa globale incentrata sull’occupazione e sull’investimento produttivo, combinati ad una migliore protezione sociale per i più poveri e i più vulnerabili. Dobbiamo prestare la massima attenzione alla riduzione di queste disparità che vanno peggiorando in molte regioni del mondo», ha dichiarato il Direttore Generale dell’ILO, Guy Ryder.
Il Rapporto mostra che, in molte economie avanzate, la classe media è sempre meno numerosa, un fenomeno dovuto anche al deterioramento della qualità dell’occupazione e all’uscita dei lavoratori dal mercato del lavoro. In queste aree la retribuzione degli amministratori delegati è tornata ad aumentare, dopo un breve rallentamento all’inizio della crisi mondiale.
In Spagna, la classe media è diminuita dal 50% nel 2007 al 46% nel 2010. Negli Stati Uniti, il 7% più ricco della popolazione ha registrato un incremento del reddito netto medio dal 56% nel 2009 al 63% nel 2011. Il rimanente 93% degli americani ha registrato una diminuzione del reddito netto.
«La riduzione della classe media nelle economie avanzate è preoccupante, non solo per la tenuta dell’inclusione sociale in queste società, ma anche per ragioni economiche. Gli investimenti a lungo termine da parte delle imprese vengono anche decisi in funzione dell’esistenza di una ampia e stabile classe media che sia propensa al consumo», afferma Raymond Torres, Direttore dell’Istituto Internazionale di Studi Sociali, l’istituto di ricerca dell’ILO, autore del rapporto, e sottolinea ancora che «ci vogliono posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità per una ripartizione più equilibrata del reddito, sia nelle economie avanzate, sia in quelle in via di sviluppo».
Nelle economie in via di sviluppo e in quelle emergenti, la classe media è aumentata da 263 milioni nel 1999 a 694 milioni nel 2010. È un aumento significativo per un numero crescente di paesi latino americani e asiatici, registrato recentemente anche in alcuni paesi africani e arabi.
Tuttavia, il gruppo definito «fluttuante» e vulnerabile — cioè di coloro che sono appena al disopra del livello di povertà — è aumentato da 1.117 milioni nel 1999 a 1.925 milioni nel 2010, soprattutto nelle economie a reddito basso e medio-basso. Questo gruppo vulnerabile è quasi tre volte più grande di quello appartenente alla classe media. «Nei paesi in via di sviluppo, la sfida più importante è quella di consolidare i progressi recenti nel campo della riduzione della povertà e delle disuguaglianze», afferma Torres. Il rapporto evidenzia come investimenti produttivi, salari minimi e protezione sociale siano stati di aiuto in paesi come Brasile, Costarica, India, Indonesia, Turchia e Vietnam.
Il Rapporto formula una serie di raccomandazioni, a partire dalla necessità di coniugare politiche macroeconomiche e occupazionali, ovvero: laddove necessario, applicare le misure di risanamento fiscale ad un ritmo sostenibile; prestare maggiore attenzione alle conseguenze occupazionali e sociali delle politiche macroeconomiche; trovare una soluzione rapida alle inefficienze che esistono nel sistema finanziario.
Il Rapporto raccoglie più di 30 esempi di politiche in materia di mercato del lavoro, di investimenti produttivi e di protezione sociale, capaci di raggiungere obiettivi sia sociali che economici. Sottolinea l’esigenza di rimuovere gli ostacoli che impediscono di collocare l’occupazione in cima all’agenda delle riforme, come la convinzione radicata dell’impatto negativo degli interventi pubblici sulla competitività e sulla crescita economica; l’idea che affrontare il problema della ripartizione del reddito e rafforzare i diritti dei lavoratori possano rallentare gli investimenti produttivi e la creazione di posti di lavoro; il coordinamento internazionale insufficiente, che è particolarmente importante in materie come la fiscalità, e in periodi di debolezza della domanda aggregata globale.
L’intero Rapporto, in inglese, può essere scaricato cliccando qui
Un capitolo è dedicato all’Italia. “All’Italia servono circa 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi”, dicono gli autori del Rapporto, dopo avere sommato gli impieghi persi negli ultimi anni e l’aumento della popolazione in età attiva rispetto al periodo pre-crisi.
Il nostro Paese figura tra quelli dove la disoccupazione continua ad aumentare (era al 6,1% nel 2007) e dove sono cresciute le disparità di reddito a causa della recessione, segnando anzi “uno degli aumenti più brutali” dell’Unione europea tra il 2007 e il 2012.
“La sfida della ricerca di un posto di lavoro è particolarmente difficile per i giovani tra 15 e 24 anni: il tasso di disoccupazione di questa fascia di età è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012”.
Lo studio sottolinea anche il diffondersi dell’occupazione precaria (contratti involontari a tempo determinato o part-time): a partire dal 2007 il numero dei lavoratori precari è aumentato di 5,7 punti percentuali e ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012. Secondo il Rapporto, la percentuale dei contratti a tempo determinato sull’insieme dei contratti precari è probabilmente aumentata a seguito della riforma Fornero.
Per risollevare il mercato del lavoro italiano il Rapporto suggerisce di puntare più su investimenti e innovazione (incentivandoli con sgravi fiscali) che su austerità e riduzione del costo unitario del lavoro; approva con riserva la staffetta “intergenerazionale” (ma i giovani non devono togliere il lavoro agli adulti, sottolinea l’ILO e suggerisce di trovare altre vie per rilanciare l’occupazione giovanile, come gli incentivi all’assunzione e un sistema di formazione che favorisca lo “skills matching”).
Il capitolo sull’Italia può essere scaricato cliccando qui