NO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Cos’è l’autonomia differenziata?
Per autonomia differenziata si intende la possibilità, prevista dall’art. 116 e 117 della Costituzione, che le Regioni a statuto ordinario possano richiedere forme e condizioni particolari di autonomia in tante materie fra cui: sanità, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione e distribuzione dell’energia, previdenza complementare ed integrativa, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, casse di risparmio, casse rurali, commercio con l’estero.
Poiché le Regioni possono richiedere l’autonomia in una o più materie differenti (perciò autonomia differenziata), noi avremmo un Paese arlecchino, con diritti dei cittadini e prestazioni diverse dei servizi a seconda delle regioni e con una babele di norme.
Il trasferimento delle competenze statali alle Regioni avverrebbe sulla base di un accordo tra Stato e Regione con legge da approvare dalle Camere a maggioranza assoluta.
Cosa dice il disegno di legge Calderoli attualmente in discussione in Parlamento?
Il disegno di legge Calderoli definisce le procedure per l’attuazione delle richieste di autonomia delle Regioni, procedure che non prevedono un intervento di merito del Parlamento, le cui commissioni possono solo esprimere un atto di indirizzo. Le Camere approvano o respingono la legge di recepimento dell’intesa avvenuta tra lo Stato e la Regione interessata, senza poter intervenire nel merito dell’accordo: materie rilevanti per la vita dei cittadini vengono sottratte al controllo di chi li rappresenta. Il disegno di legge inoltre stabilisce che tali intese possono essere attuate solo dopo la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da garantire a tutti i cittadini e il cui finanziamento va concordato da una apposita commissione paritetica Stato-Regione. Prevede però che dalle intese non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Già oggi esistono grandi differenze di spesa pubblica tra Nord e Sud del Paese; è evidente che senza investimenti economici nelle regioni più svantaggiate non ci sarà nessuna possibilità di colmare le diseguaglianze sociali e territoriali, che anzi tenderanno ad aumentare.
Perché opporsi a questo disegno di legge sull’autonomia differenziata?
La modifica degli articoli 116 e 117 della Costituzione avvenne nel 2001 sotto la spinta delle Regioni del Nord, che ambivano a competere sul mercato europeo con maggiore libertà e senza vincoli di solidarietà con il resto del Paese. Si teorizzava che le regioni più dinamiche avrebbero potuto crescere meglio e questa crescita sarebbe andata a vantaggio anche delle regioni meno ricche. È invece certo che aumenterebbero le disuguaglianze e la frammentazione sociale e politica, mentre crescerebbe l’impoverimento delle regioni più deboli.
Inoltre questo progetto di autonomia differenziata contrasta con i principi valoriali della Costituzione, in particolare con l’art. 2 (adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale), l’art. 3 (uguaglianza dei cittadini) art. 5 (la Repubblica una e indivisibile). La stessa Costituzione prevede che l’autonomia differenziata sia una possibilità e non un obbligo.
NO alla frammentazione politica, sociale ed economica dell’Italia
Sì ad un regionalismo solidale e non competitivo, rispettoso dell’art. 5 della Costituzione
NO ALL’ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DELLO STATO O DEL GOVERNO
Fin dagli anni 90 si è aperta in Italia una discussione sulla necessità di superare il sistema parlamentare, che non garantirebbe efficienza e stabilità di Governo. E’ stato proposto il passaggio a un sistema presidenziale (elezione diretta del Presidente che è contemporaneamente Capo dello Stato e Capo del Governo) o semipresidenziale (elezione diretta del Capo dello Stato che ha il potere di nominare il Capo del Governo) o addirittura ad un sistema di elezione diretta del Capo del Governo (il Sindaco d’Italia) che non è presente in nessun altro Paese al mondo.
Perché queste proposte sono pericolose?
Ciascuna delle tre proposte avanzate scardina l’assetto istituzionale previsto dalla Costituzione antifascista costruita su un equilibrio di poteri in grado di scongiurare il ritorno ad un Governo autoritario. Nell’attuale ordinamento il Presidente della Repubblica è una figura di garanzia, sopra le parti, eletta dal Parlamento a larga maggioranza. Qualora il Presidente fosse eletto direttamente dai cittadini, esso sarebbe il rappresentante della parte vincente e non di tutti gli elettori, che sono invece rappresentati in Parlamento. Gli esempi di Trump negli Stati Uniti e quello di Macron in Francia dicono che nell’attuale società neoliberista i Presidenti eletti sono soggetti divisivi e non rappresentativi dell’unità nazionale.
In queste condizioni non è detto che stabilità di Governo corrisponda ad efficacia di Governo.
La democrazia si regge sull’equilibrio dei poteri; rompere questo equilibrio rappresenta un rischio di deriva autoritaria; per scongiurarla sarebbe necessario rivedere profondamente la nostra Costituzione, che si regge sul Governo del popolo, rappresentato nel Parlamento, e non sul potere presidenziale. La crisi della democrazia, che si manifesta nel crescente astensionismo elettorale, potrebbe essere affrontata consegnando agli elettori il potere di eleggere il Capo del Governo? Assolutamente no!
È esattamente il contrario. L’astensionismo è altissimo anche nelle elezioni comunali e regionali dove il Sindaco e il Presidente di Regione sono eletti direttamente.
Per ridare alle cittadine e ai cittadini la voglia di partecipare al governo dei beni comuni non servono riforme istituzionali, ma è necessario riconnettere cittadini ed istituzioni, affinché gli elettori si sentano pienamente rappresentati dal Parlamento e partecipino alla vita pubblica. Serve un lavoro politico che ridia centralità al Parlamento e una legge elettorale che permetta agli elettori di scegliere i propri rappresentanti.
Serve ripartire da quell’etica della democrazia partecipata presente nella prima parte della Costituzione che non può essere contraddetta da uno stravolgimento della nostra attuale forma di Governo.
NO al presidenzialismo che divide gli italiani e può comportare una deriva autoritaria
Sì al diritto degli elettori di scegliere i parlamentari.
Sì a un Parlamento davvero rappresentativo e nella pienezza dei suoi poteri
Prodotto dall’Ufficio stampa e comunicazione ANPI giugno 2023