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Come sapete, il 5 Giugno u.s. il tentativo di conciliazione presso l’ABI si è chiuso con esito negativo e con l’impegno delle parti a incontrarsi il 6 e 7 giugno. Purtroppo, per l’ennesima volta, la disponibilità dell’Azienda si è rivelata ‘puramente formale’: ci ha riproposto, nella sostanza, le stesse posizioni che sta sostenendo da 1 mese a questa parte su VAP, Fondo Pensione, Welfare, Turni, Buoni pasto.
L’Azienda giustifica la sua rigidità con la presunta sostenibilità economica, l’equità (!?) tra colleghi e la finalità ultima del bene dei dipendenti.
Troviamo i concetti di sostenibilità, equità e ‘bene dei dipendenti’ quanto meno curiosi rispetto ai ‘legittimi’ compensi elargiti al Top Management: nel 2019 l’AD e il CFO di NEXI erano al 1° posto (+ di 43 ml) ed al 4° posto (+ di 17 ml) degli stipendi tra i manager delle società italiane quotate in borsa (fonte Sole24ore). Nel 2022 AD e DIRIGENTI CON RESPONSABILITA’ STRATEGICHE hanno avuto compensi nell’ordine dei ml di EURO (fonte ‘Politiche di remunerazione’ redatto da NEXI e pubblicato per gli investitori). Nel 2023 c’è un programma LTI che prevede 5 ml di premio aggiuntivo per un numero ristretto di ‘beneficiari’ (fonte Borsa Italiana.it). Il bene c’è ma non è certo equamente distribuito a tutti: INACCETTABILE!
E che dire del clima che si respira in Azienda: un clima pesante e di diffuso malessere che coinvolge in modo trasversale tutti i lavoratori. La mancata erogazione Bonus energetico, mancata possibilità di lavorare 100% in smart working per genitori di U14, schede di valutazione professionali ‘discutibili’, solo per citarne alcune, rappresentano, a nostro avviso, scelte consapevoli del management dell’Azienda. La leadership ed il processo decisionale vengono interpretati in modo verticistico e si rappresentano come chi ha in tasca la ‘soluzione migliore per tutti’. Sicuramente questa soluzione è sempre in direzione favorevole agli azionisti di riferimento e al Top Management, ma non permette di cogliere l’opportunità di un accordo ‘veramente equo’ che sarebbe un investimento per il futuro di tutti.
Concludiamo informandovi che le iniziative di sciopero/agitazione saranno collocate tra il 20 giugno e la metà luglio.
Nei prossimi giorni vi manderemo il calendario di dettaglio.
SOLO TUTTI UNITI SI PUO’ VINCERE!!!!
Le OO.SS. del GRUPPO NEXI 13 giugno 2023
Dalla stampa
Milano – Le conseguenze più pesanti dell’inflazione e dell’aumento dei prezzi si sono scaricate, a Milano, sulle spalle degli operai che lavorano nel settore dei servizi. Da gennaio 2020 allo scorso aprile il loro salario reale è calato addirittura dell’11,62%. Per un impiegato o un quadro dello stesso settore il calo è stato invece dell’11,21%. Nell’industria, invece, la media fra operai e impiegati è un -10,36%.
Significa, in sostanza, che chi percepiva mille euro al mese prima della pandemia adesso, considerando l’impennata dei prezzi, subisce un’erosione dello stipendio superiore a 100 euro, vedendo crollare quindi il suo potere d’acquisto.
Considerando tutto il sistema economico, il salario reale di un operaio milanese è calato del 10,78%, mentre quello di un quadro o di un impiegato è sceso del 10,40%. Il calo sul totale dei dipendenti, al netto dei dirigenti, è del 10,55%.
La media lombarda si attesa invece sul -9,90%, a dimostrazione dell’incidenza maggiore del carovita nella Città metropolitana di Milano rispetto ad altri territori lombardi. Conseguenze evidenti di due effetti combinati che hanno creato una “tempesta perfetta“. Gli stipendi dal 2020 sono rimasti stagnanti, mentre l’indice dei prezzi (Nic) ha registrato una variazione del 15,95% a Milano e del 15,18% in Lombardia.
L’approfondimento sull’inflazione
Una fotografia che emerge dai dati analizzati da Matteo Gaddi, ricercatore della Fondazione Sabattini e coautore (con Giacomo Cucignatto, Lorenzo Esposito, Demostenes Floros, Nadia Garbellini, Roberto Lampa, Gianmarco Oro, Stan De Spiegelaere, con introduzione di Joseph Halevi) del libro collettivo “L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo”, utilizzato anche per i corsi di formazione della Fiom Cgil.
Una lettura di un fenomeno che si traduce in stipendi insufficienti per arrivare alla fine del mese, per riempire il carrello della spesa, per pagare le bollette e sostenere i costi della casa. E i primi a pagarne le conseguenze sono i lavoratori inquadrati con contratti precari e con bassi salari. Le imprese, invece, continuano a macinare profitti, anche grazie all’aumento dei prezzi che è proseguito nonostante la frenata dei costi dell’energia e delle materie prime.
“L’ultimo quinquennio, nonostante includa anche il crollo della produzione dovuto al lockdown del 2020, mostra un forte recupero della redditività delle aziende, con il risultato operativo che aumenta del 35% a fronte di un aumento del valore della produzione di meno del 14%”, analizzano Matteo Gaddi e Nadia Garbellini, che hanno messo sotto la lente gli ultimi bilanci disponibili delle maggiori imprese.
La forchetta
“Si consideri che nel medesimo quinquennio il Pil è cresciuto di appena il 2,6% – proseguono – quindi, a un’economia sostanzialmente stagnante, si contrappone un aumento degli utili aziendali del 77,5%. Nello stesso periodo, i redditi da lavoro dipendente aumentano solo del 7%, segno di una forte redistribuzione a favore delle imprese. Il costo del lavoro scende, mentre i profitti salgono”. In sostanza, quindi, “le politiche economiche impostate nel periodo precedente nei principali Paesi avanzati hanno permesso un forte aumento della profittabilità delle imprese”, scaricando le conseguenze della crisi sui lavoratori dipendenti. E così, per effetto di un sistema improntato a una ‘profonda iniquità’, crescono le disuguaglianze, con effetti ancora più evidenti in una città come Milano.
Articolo - Il Giorno
