Protagoniste della protesta

Dopo il corteo dei 30mila a Bologna di sabato scorso, i sindacati confederali si preparano a una nuova manifestazione unitaria per il 13 maggio a Milano, a cui seguirà la protesta di Napoli per il sabato successivo.
Il governo si sta sempre più caratterizzando come governo di parte, che spacca il Paese, a partire dalle ricorrenze più importanti della nostra Repubblica, il 25 aprile e il 1° maggio.
Di contro il sindacato cerca l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici con una piattaforma rivendicativa condivisa, nonostante le differenti sfumature della protesta, che pure ci caratterizzano.
Per i sindacati le priorità del Paese sono queste:
Tutela di redditi e pensioni dall’inflazione e rinnovo dei contratti collettivi nazionali;
Riforma del fisco con tassazione degli extraprofitti e delle rendite finanziarie;
Investimenti per garantire il diritto alla salute, all’istruzione e alla formazione;
Piena occupazione,  per un lavoro dignitoso, sicuro e stabile;
Transizione digitale sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.
E le donne su questi argomenti sono tra le più penalizzate:
hanno salari più bassi e carriere bloccate e discontinue, che comportano pensioni povere; sono più colpite da disoccupazione e precarietà; il diritto alla salute è ulteriormente inficiato dall’assenza di una medicina di genere e dall’attacco al diritto all’autodeterminazione delle donne; il diritto alla formazione minacciato dalle maggiori esigenze di conciliazione vita e lavoro; la trasformazione digitale potrebbe tradursi in un nuovo fattore di marginalizzazione ed esclusione dal lavoro.
Senza interventi specifici a tutela, le donne rischiano di più e per questo è importante che siano protagoniste della mobilitazione di piazza, per non essere rigettate indietro rispetto al percorso di emancipazione finora compiuto.
E allora il nostro appello è: tutte in piazza protagoniste della protesta.

L’articolo da: www.collettiva.it

Le donne scendono in piazza, protagoniste di una storia nuova

Contro l’esplicita regressione culturale del governo Meloni orientato a stabilire un preciso ruolo delle donne all’interno della società e della famiglia.

di Lara Ghiglione

È evidente quanto il Governo Meloni, in rete con le altre destre internazionali, stia cercando di promuovere una esplicita regressione culturale orientata a stabilire un preciso ruolo delle donne all’interno della società e della famiglia. In questi mesi sono state assunti alcuni provvedimenti che penalizzano le donne, aumentando la loro segregazione e mettendo a repentaglio anche la libertà di scelta sul proprio corpo.

Il governo Meloni non intende superare l’emergenza occupazionale femminile caratterizzata da alto tasso di precarietà, discontinuità, part time involontario e da un persistente gap salariale, ma, anzi, attraverso le novità introdotte dal dl lavoro l’accresce ulteriormente. Prospetta inoltre un progetto di riforma fiscale basato sul quoziente familiare che rischia di penalizzare le donne che lavorano e che percepiscono redditi inferiori al coniuge, incoraggiandole a dare le dimissioni.

Le numerose deroghe concesse alle clausole di condizionalità del 30% per donne e giovani, previste nel Pnrr per cercare di sostenere l’occupazione femminile e giovanile, rischiano di determinare un ulteriore aumento dei tassi di disoccupazione e di inattività. Tollerando la rinuncia al lavoro, la precarietà e i bassi salari, si favorisce la dipendenza economica delle donne rendendole più ricattabili e quindi più esposte a molestie e violenze dentro i contesti famigliari e nei luoghi di lavoro.

Le donne scendono in piazza per rivendicare un piano straordinario per l’occupazione femminile con norme mirate a contrastare i part time involontari, il lavoro povero, le dimissioni post maternità, la discriminazione in ingresso nelle tipologie contrattuali di assunzione e nei percorsi di carriera. Per chiedere di ripristinare e rinforzare sia le clausole di condizionalità, estendendo la riserva anche a tutti i finanziamenti pubblici e privati, che gli strumenti di certificazione della qualità e quantità del lavoro delle donne nelle aziende.

Già penalizzate da carriere discontinue e retribuzioni più basse, le donne hanno mediamente assegni pensionistici più bassi e raggiungono più tardivamente i criteri d’accesso alla pensione. Peggiorando i criteri di “opzione donna”, rendendola ancora più penalizzante e discriminante tra chi ha figli e chi no, e non recependo le richieste formulate nella piattaforma unitaria sulla previdenza, a partire dal riconoscimento del lavoro di cura ai fini previdenziali, il Governo Meloni aggrava la condizione.

Le donne scendono in piazza per superare la Legge Fornero e introdurre il riconoscimento del lavoro di cura e misure di riequilibrio per tutte le penalizzazioni che le riguardano.

Il Governo Meloni colpisce l’autodeterminazione delle donne anche attraverso alcuni disegni di legge per riconoscere i diritti civili all’embrione, che noti esponenti di partiti di maggioranza hanno scelto di incardinare nella discussione al Senato.

Le donne scendono in piazza per garantire la libera scelta di ognuna, per limitare il fenomeno dell’obiezione di coscienza e l’accesso all’IVG sicura, anche con il metodo farmacologico, nel pieno rispetto delle linee guida del Ministero del 2020.

Il Governo Meloni taglia la sanità, indebolendo ulteriormente quella di prossimità e i consultori e, di conseguenza, vanifica la Medicina di genere che si pone l’obiettivo di prevenire e curare le diffuse patologie che colpiscono le donne, nonché di migliorare la salute riproduttiva.

Le donne scendono in piazza per chiedere maggiori investimenti in sanità e per l’assunzione del personale, drammaticamente sottodimensionato.

Il Governo Meloni non investe adeguatamente sul welfare per favorire la condivisione delle responsabilità famigliari e la conciliazione tra tempi di vita e lavoro: in particolare su asili nido, servizi educativi e di assistenza alle persone non autosufficienti.

Le donne scendono in piazza per chiedere investimenti mirati perché, senza adeguati servizi pubblici, le donne continueranno a rinunciare al lavoro e a essere discriminate nell’accesso e nei percorsi di valorizzazione.

Il Governo Meloni decide di discriminare ulteriormente le donne del Mezzogiorno, già penalizzate dal punto di vista delle opportunità, attraverso l’autonomia differenziata.

Le donne scendono in piazza per chiedere investimenti adeguati a superare i troppi divari esistenti.

Il Governo Meloni discrimina ulteriormente le donne migranti, spesso vittime di violenze, gravi forme di sfruttamento e tratta, attraverso normative che si qualificano per il loro intento persecutorio nei confronti di chi fugge da condizioni di grave pericolo e privazioni; un esempio è il nuovo “decreto Cutro”.

Le donne scendono in piazza per chiedere di superare queste norme incivili e barbare.

Queste sono solo alcune delle ragioni per le quali le donne unite, consapevoli e determinate, scenderanno in piazza, in questa nuova stagione di mobilitazione, per il lavoro e i diritti. Per essere davvero “Protagoniste di una storia nuova”.

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