LE DONNE AL VOTO
Il voto delle donne, che oggi sembra ovvio ed è quasi dato per scontato, non lo era affatto fino a qualche anno fa. Se oggi in Italia e in nella maggior parte degli Stati del mondo le donne possono votare è merito delle battaglie femministe, ed è bene ricordarlo in occasione di ogni appuntamento elettorale.
In Arabia Saudita, ad esempio, questo diritto non è stato garantito fino al 2011 (e ancora oggi ha delle forti restrizioni). Al polo opposto troviamo la Nuova Zelanda, il primo Paese a promuovere il suffragio femminile. Il secondo Paese al mondo a dare il diritto di voto alle donne, in ordine cronologico, fu l’Australia, ma escludendo uomini e donne aborigeni. Lo stesso accadde in Norvegia (1907), dove veniva richiesto il rispetto di alcuni requisiti relativi alla propria posizione sociale per votare (mentre nella vicina Finlandia, un anno prima, la misura era stata adottata senza alcun veto). Negli anni successivi il resto dei Paesi nordici si unì al voto per l’intera popolazione: avvenne nel 1915 in Danimarca e Islanda , mentre in una parte del resto d’ Europa (Austria, Germania, Polonia, Lituania, Regno Unito e Irlanda) la legge fu implementata un po’ più tardi, nel 1918. Un anno dopo, le donne di altri territori britannici, come l’Isola di Man, acquisirono questo diritto. Il caso di questo luogo è curioso, poiché già nel 1881 era stata approvata una legge che garantiva il voto alle donne single e alle vedove che avevano un certificato di proprietà, rendendolo di fatto il primo territorio a fare qualcosa del genere in tutto il mondo. Curioso scoprire che Paesi come l’ Armenia, l’Estonia, la Georgia, l’Azerbaigian, il Kirghizistan, lo Zimbabwe o il Kenya approvarono il diritto di voto per le donne negli anni ’10, ben prima di Paesi che ora consideriamo più “avanzati”, come il Portogallo (1931), Monaco (1962) ) o Andorra (1970). Pensate che le donne della Svizzera acquisirono questo diritto solo nel 1971! Curiosamente, in Grecia, culla della democrazia, le donne non poterono votare fino al 1952.
E IN ITALIA?
30 gennaio 1945: allora fu mosso il primo passo verso il suffragio femminile. Quel giorno di 76 anni fa, il Consiglio dei ministri deliberò la “concessione” del diritto di elettorato attivo e passivo, che avrebbe poi portato al Decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio dello stesso anno. Una svolta che, in ogni caso, era dettata da un momento storico in cui una Nazione come la nostra non poteva più sottrarsi ai richiami di una certa modernità. Nel mese di settembre del 1944, grazie al Partito comunista, a Roma fu fondata l’Unione Donne Italiane, nella quale vennero inseriti i Gruppi di Difesa della Donna e dalla quale poi prese corpo una nuova organizzazione, il Centro Italiano Femminile, di ispirazione più destrorsa e cattolica.
Nell’ottobre 1944 la Commissione per il voto alle donne dell’UDI e altre associazioni presentarono al governo Bonomi un documento nel quale parlavano della necessità di concedere il suffragio universale e verso la fine del mese sorse il Comitato Pro Voto, volto a far conquistare il diritto di voto alle donne.
Nel gennaio del 1945, Togliatti inviò una lettera a De Gasperi nella quale affermava come inevitabile la questione del voto alle donne nell’imminente Consiglio dei ministri e fu così che il 30 gennaio 1945, nella riunione del consiglio, come ultimo argomento, si discutesse proprio del voto alle donne. La maggioranza dei partiti (si esclusero liberali, azionisti e repubblicani) si dimostrò favorevole all’estensione. Il 1 febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni, secondo il quale le uniche donne a essere escluse erano le prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era loro concesso di esercitare la professione (le cosiddette “vaganti”, citate all’art. 3). Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero a partire dal 10 marzo 1946 in 5 turni, mentre le prime elezioni politiche (svolte assieme al Referendum istituzionale monarchia-repubblica) si tennero il 2 giugno 1946. Alla base di questa (assurda) discriminazione perpetrata per anni ed anni molteplici “ragioni”: alle donne era vietato votare perché emotivamente instabili, isteriche, troppo sentimentali o semplicemente a causa della convinzione, errata, che al genere femminile non interessasse il mondo politico e istituzionale. I pregiudizi sul voto alle donne tra gli italiani erano ancora molti. Basti pensare che su un articolo del 2 giugno del 1946 il Corriere della Sera invitava le donne a recarsi al seggio elettorale “senza rossetto sulle labbra”. Il motivo? Il rossetto avrebbe potuto macchiare la scheda e quindi rende il voto nullo. L’articolo poi invitava le donne ad applicare il rossetto fuori dal seggio dopo aver votato.