Dimissioni in bianco: fenomeno barbaro di un paese che si definisce civile

Con il termine “dimissioni in bianco” ci si riferisce alla pratica illegale, che obbliga i neoassunti a firmare una lettera di dimissioni priva di data, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro. Per porre fine a tale pratica, nel 2007 il Parlamento italiano approvò una legge, meglio conosciuta come Legge 188, che imponeva l’obbligo di redigere le
dimissioni su apposito modello informatico, predisposto e reso disponibile da uffici autorizzati.
In sostanza, la procedura per le dimissioni andava eseguita obbligatoriamente on line sul sito del Ministero del Lavoro, pena la nullità delle dimissioni. I moduli erano gratuiti, contrassegnati da un codice di identificazione progressiva, ed avevano una durata limitata di quindici giorni.
Nell’80% dei casi resta un reato impunito e taciuto, una prassi illegale che coinvolge in percentuale il 60% delle lavoratrici donne e il 40% dei lavoratori maschi.
Tuttavia, grazie alle iniziative promosse da tante donne, in questi ultimi anni la gravità delle dimissioni in bianco è diventata senso comune, ed è difficile ormai chiudere gli occhi di fronte alla consapevolezza diffusa che un fenomeno così aberrante ed inaccettabile possa essere consentito in un paese civile.
Nasce per questo, il comitato “188 donne per la Legge 188”: si riassume così il lavoro di 188 donne che hanno scritto al Ministro alle Pari opportunità, Elsa Fornero. Le lettera è stata sottoscritta da donne del mondo politico, sindacale, della cultura e dello spettacolo, giornaliste, seguita dall’attivazione di raccolte firme ed altre iniziative su tutto il territorio nazionale. Donne e uomini che, responsabilmente ed insieme a tutte noi, dicono BASTA AL LAVORO SOTTO RICATTO!
La Ministra Fornero, dopo promesse sbandierate, ha deluso ancora le aspettative con l’articolo 55 contenuto nella Riforma del lavoro, sul contrasto al fenomeno: “il Governo” scrive la Fornero al Corriere della Sera, “ha tenuto conto prioritariamente della tutela dei lavoratori senza però dimenticare le esigenze dei datori di lavoro”,
prevedendo cioè “una soluzione per dare corso a dimissioni volontarie annunciate dal lavoratore, ma dallo stesso successivamente confermate”. Un giro di parole che non ci piace, per coprire l’inefficacia della proposta nel contrastare quella pratica illegale, il più delle volte utilizzata per colpire proprio le donne.
Cosa c’è che non va nell’art.55: – E’ un articolo diviso in 8 commi di difficilissima lettura, interpretazione e, conseguentemente, della relativa applicazione.
– Le procedure individuate sono volte a correggere l’eventuale abuso della firma in bianco, non a prevenirlo come invece sanciva la Legge 188/2007, che vincolava peraltro le dimissioni
volontarie alla compilazione di un modulo dotato di codice alfanumerico progressivo di identificazione,quindi non retrodatabile.
-L’onere della prova è a carico della lavoratrice e del lavoratore: sono loro a dover dimostrare che, pur essendo autografa, la firma della lettera di dimissioni è stata richiesta al momento dell’assunzione (comma 6 art.55).
-Nel caso di abuso appurato, la sanzione ha soltanto carattere amministrativo (comma 8 art.55).
L’ha chiesto il “Comitato 188” con una lettera aperta alla Ministra e alle Commissioni Lavoro di Senato e Camera, l’hanno chiesto molte parlamentari, l’hanno chiesto molte memorie consegnate alle Commissioni parlamentari. Lo pretende il buon senso: UNA NORMA DI CIVILTÀ NON PUÒ ESSERE OGGETTO DELLA MEDIAZIONE TRA INTERESSI.
Per le dimissioni in bianco, quindi, ancora un nulla di fatto. A noi ancora il compito di tenere alta l’attenzione su una battaglia di civiltà.

tratto da numero di giu/lug 2012 di ” Nuvola Rossa”

Anna Maria Romano
Segretaria Generale FISAC CGIL TOSCANA
Responsabile Coordinamento Donne

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