IL TIMORE DI LILIANA SEGRE E IL BOMBARDAMENTO di HIROSHIMA.
Kiyoshi Tanimoto era un pastore metodista che il 6 agosto del 1945 si trovò sotto la bomba atomica sganciata su Hiroshima e sopravvisse. Racconta che mentre cercava di aiutare una donna, ancora viva e cosciente, mentre la afferrava “… enormi pezzi di pelle scivolarono via come un guanto… ”.
Anche grazie al suo lavoro di testimonianza, il 6 agosto è diventata la “giornata di Hiroshima”, la data simbolo della memoria dell’olocausto nucleare, con un unico obiettivo: mai dimenticare, non deve più succedere.
La figura del “sopravvissuto”, colui che c’era davvero, è fondamentale: il ricordo ancora vivido di quell’orrore contribuì in modo determinante, per esempio, a scongiurare un conflitto nucleare durante la crisi di Cuba del 1962. Ma la memoria sta cedendo e i testimoni diretti hanno voci sempre più fioche, i traumi, con il passare del tempo si affievoliscono e con essi anche gli insegnamenti che se ne possono trarre.
Oggi un testimone diretto di quella orribile pagina di storia dovrebbe avere almeno 86 anni, il più anziano dei leader Nato è Joe Biden che nel 1945 aveva solo due anni; la guerra in Ucraina ha riaperto la bocca a comandanti militari e rappresentanti di Stato che osano essere possibilisti di fronte all’utilizzo di bombe tattiche nucleari, dimostrando quanto sia pericoloso lasciar uscire dalla memoria collettiva gli eventi di fronte ai quali gli esseri umani si erano ripromessi: non dobbiamo più dimenticare, non deve più succedere.
Per questo è molto preoccupante il timore espresso sulla memoria dello sterminio da Liliana Segre, una delle poche testimoni dirette rimaste in vita della Shoà: “una come me è pessimista, una come me ritiene che tra qualche anno ci sarà una riga su un libro di storia e che poi non ci sarà più neanche quella”.
Una parte della comunità ebraica guarda alla Giornata della Memoria con un certo distacco, se non con aperto fastidio, “noi ci abbiamo messo i morti ora è affar vostro fare i conti con ciò che avete fatto o permesso che fosse fatto, non potete cavarvela solo con candeline accese e noiosi discorsi di circostanza”.
Non sono voci isolate quelle che si levano contro una memoria di vuota formalità, in contrasto a chi, come i grandi testimoni, non cessa di raccontare e testimoniare l’orrore vissuto, o come Gunter Demnigche continua a dedicare tutta la sua vita e la sua opera di artista alla memoria, creando le Stolperstein, le Pietre d’inciampo, posandone senza sosta anno dopo anno oltre 75.000, ben poca cosa di fronte agli oltre 6 milioni di ebrei sterminati nei campi.
Il timore espresso apertamente da Liliana Segre e le voci di guerra nucleare che stiamo ascoltando oggi, proprio in questi giorni, sono simili e molto angosciosi, dovrebbero farci riflettere sull’importanza di tenere viva la memoria, scartando sia quella sbiadita che quella retorica di circostanza, perché salvando la memoria vera, ricordandone l’insegnamento, forse riusciremo a salvare noi stessi e i nostri figli.
Gli accadimenti atroci di cui la civiltà moderna si è macchiata meno di un secolo fa ci hanno fatto esclamare NON DIMENTICHIAMO MAI PIU’, NON DEVE PIU’ SUCCEDERE, ma sembra che l’insegnamento sottostante a quegli eventi traumatici si stia perdendo e che, ancora, noi si celebri il 27 gennaio senza accorgerci di essere dietro un filo spinato, ancora intrappolati dentro Auschwitz, come se quei cancelli non si fossero mai aperti: lo sterminio continua.