Inform@fisac maggio 2015 n.3

Quando in banca a comandare sono gli automi

 

Qui in America quando entrate in un’agenzia di Banca, ne sono sicuro, la prima cosa che mi viene in mente è: ”Ora sto per incontrare un povero”. Lo dicono gli ultimi rilevamenti sulla povertà a New York. Tra coloro che cadono sotto la soglia del reddito di sussistenza ci sono molti lavoratori dipendenti. Compresa una quota di addetti alle agenzie di banca. Vigilantes privati, personale delle pulizie, certo. Ma anche bancari veri e propri. Mentre gli stipendi dei loro chief executive schizzano verso la stratosfera, mentre guadagnano milioni anche le star che operano come trader, operatori della finanza speculativa, chi sta allo sportello non ce la fa più a mantenere una famiglia, con i costi della vita di Manhattan. Eppure, vi confesso, questo non attenua la mia esasperazione nei loro confronti. Non quando il bancomat si mangia per la seconda volta consecutiva un assegno circolare.

La prima, era stato l’assegno con lo stipendio di mia moglie. Pochi giorni dopo è toccato un assegno dell’Internal Revenue Service, L’agenzia delle entrate Usa, un rimborso per alcune centinaia di dollari di tasse pagate in eccesso. Stesso bancomat, stesso di servizio. La macchina che normalmente legge gli assegni mi risponde che ”non è in grado” di farlo. Neppure è in grado di restituirmelo, però. Che fine faranno i nostri soldi? Vado a reclamare dall’essere umano che sta dietro lo sportello. Mi risponde come sono addestrate rispondere questi derelitti. Che lui non ha potere sulle macchine. Non ha neppure, il poveretto, l’autorità per disattivare il bancomat, metterlo fuori servizio, perché almeno non infligga lo stesso scherzo ad altri clienti. Il bancario dello sportello mi allunga un numero. È il numero verde del servizio clienti. Ahi.

Il servizio clienti è una replica grande dell’agenzia bancaria. Anche il servizio clienti comandano le macchine. Al telefono mi risponde una automa, chiamatelo computer parlante o robot. Ma non usiamo l’espressione intelligenza artificiale, che è eccessiva. Mi elenca un’infinita serie di opzioni. Devo digitare il numero, inserire informazioni, conto corrente, codice fiscale, data di nascita, la tipologia della mia chiamata, insomma la ragione per cui sto perdendo il mio tempo a parlare con questo idiota di automa. Alla fine di questa trafila arrivo a un essere umano. Un altro derelitto come il bancario dell’agenzia. Si fa ripetere – vi assicuro – tutte le informazioni che mi aveva chiesto un automa (e che, non si parlano tra loro? Si tengono il muso? ) mi chiede se ricordo a memoria l’esatta cifra dell’assegno, centesimi inclusi. No, rispondo, perché ci avete addestrato a credere nei vostri bancomat, sicché non imparo a memoria fino all’ultimo centesimo l’ammontare di un assegno prestampato dal fisco. Infine l’essere umano inserisce dentro un computer il mio reclamo sull’assegno sottratto. Sarò contattato, mi dice, quando avranno recuperato quel pezzetto di carta. Contattato da chi? Da un automa, o da un umano sottopagato, in un call center delle Filippine o del Bangladesh?

Avendo perso un paio d’ore del mio tempo tra l’agenzia e la telefonata, provo un’irrefrenabile voglia di sfogarmi. E ho un’idea. Un’idea moderna, cioè balorda. Mi dico che nell’era dei social media anche la mia Bank of America avrà la sua pagina Facebook. E infatti ce l’ha. Mi butto a raccontare lì la mia disavventura, lamentando i disservizi. Che ingenuo. Una volta concluso il mio sfogo, comincio a scorrere i vari messaggi sulla pagina Facebook the Bank of America. Sono tutti simili al mio. Clienti furibondi, inviperiti, esasperati, avviliti. Proteste vibrate, alcune sconfinano negli insulti. Chissà quanto turbano i sogni del Chief executive… Questa dei social media e la beffa finale, la ciliegina sulla torta. Ci lasciano sfogare in una sorta di discarica del malcontento, che lascia il tempo che trova. E in fondo noi siamo solo utenti vittime di errori, inefficienze, disservizi.

Depositata la mia inutile protesta su Facebook, la mia giornata prosegue per fortuna in altro modo. La storia più triste a me sembra quella del bancario allo sportello. Relegato un gradino sotto la macchina, e una macchina stupida, per di più.

Articolo di Federico Rampini su Repubblica

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