Dip. Antifascismo: Il voto al tempo dell’ansia

Viviamo in un tempo nuovo, di ansia per il futuro e per il presente; ma non votare non è la soluzione. Anzi, oggi più che mai, è il problema. Perché è una resa, una rinuncia a un diritto conquistato con fatiche e con lotte in decenni lontani. E anche perché è il rifiuto di un’assunzione di responsabilità, in quanto comporta l’onere di una scelta. Nonostante tutto? Potrebbe obiettare qualcuno. Sì, nonostante tutto. Anzi, proprio perché attraversiamo il momento forse più difficile dell’intera storia repubblicana: una crisi sociale di dimensioni inedite che potrebbe portare alla rovina milioni di famiglie per l’insostenibilità del costo della vita e alla chiusura per un rilevantissimo numero di imprese, con conseguenze devastanti per l’occupazione. E, se non basta, andiamo al voto sotto l’incubo di una guerra che nessuno sembra intenzionato a far cessare e il cui tema è del tutto assente dalla campagna elettorale. Non dimentichiamo la pandemia che, pur ridimensionata, è tutt’altro che scomparsa, e che il riscaldamento globale sta già sferzando il nostro Paese con la recente ondata di siccità e con lo scioglimento dei ghiacciai.

Sta a ciascuno la libera opzione del proprio voto, ma mai come oggi c’è bisogno di spirito costituzionale come comune sentire, come ragione dello stare insieme sulla nostra terra, con la sua storia, le sue tradizioni, le sue possibilità. Infatti è vero, come ha scritto Einstein, che nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità.

Spirito costituzionale non vuol dire solo riconoscersi nel testo della Carta del ’48, ma anche impegnarsi a sua difesa al fine della sua piena applicazione. Il che vuol dire, in altri termini, a difesa delle libertà, della giustizia sociale e della pace.

Per questo non si può condividere, in un Paese con poco meno di sei milioni di poveri, la proposta di abolire il reddito di cittadinanza, oppure di criminalizzare i migranti, oppure di rivoluzionare il sistema fiscale con la cosiddetta flat tax, una riforma per cui chi ha poco pagherebbe, poniamo, il 23%, e chi ha molto pagherebbe la stessa percentuale, in violazione del criterio di progressività previsto dall’art. 53 della Costituzione. Oppure di abrogare l’obbligo vaccinale in un Paese in cui sono decedute per la pandemia fino a oggi più di 175mila persone.

C’è viceversa bisogno, davanti alla tragedia dell’aumento dei prezzi dell’energia e dell’inflazione che ha raggiunto l’8.4%, di interventi immediati a sostegno delle economie familiari, di un programma di salvataggio per le imprese, oltre che di un vero e proprio piano di sviluppo in particolare per le industrie ecocompatibili, di uno stretto coordinamento con l’UE per il pieno utilizzo dei fondi del Pnrr.

Assieme, va difesa e promossa la natura parlamentare, rappresentativa e partecipata delle Istituzioni del nostro Paese, a cominciare dal Parlamento. Invece c’è chi si impegna a trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale, in cui cioè il Presidente della Repubblica sia eletto dal popolo e assuma, in parte e in tutto, i poteri del Presidente del Consiglio. Questo comporterebbe la scomparsa del ruolo del Presidente della Repubblica come rappresentante dell’unità del Paese e arbitro imparziale della dialettica istituzionale, per di più senza i contrappesi che regolano, fra l’altro non sempre con successo, le dinamiche istituzionali nei più importanti Paesi a regime presidenziale, come gli Stati uniti o la Francia. Si compirebbe così quel processo di espropriazione dei poteri del Parlamento iniziato in realtà da decenni, quando viceversa occorre, con tutt’altra legge elettorale, tornare ad un Parlamento veramente rappresentativo, che sia lo specchio delle volontà politiche degli italiani.

E c’è anche chi insiste nel proporre più poteri e più fondi alle regioni ricche del Paese – la cosiddetta autonomia differenziata – differenziando così i diritti dei cittadini: più scuola e più sanità in alcune regioni, meno scuola e meno sanità in altre regioni. Con tanti – e definitivi – saluti al Mezzogiorno.

A ben vedere il filo che connette tutte queste proposte è il tema della diseguaglianza. Se queste proposte, in tutte o in parte, si realizzassero, l’Italia sarebbe irreversibilmente diseguale, in una sorta di gerarchia che dividerebbe il Paese per diritti, per reddito, per dignità sociale, in sostanziale violazione dell’art. 3 della Costituzione.

E infine, attenzione a ogni forma di simpatia, dichiarata o meno, con i fascismi vecchi e nuovi; attenzione a chi vuol riscrivere la storia equiparando fascisti e antifascisti, carnefici e vittime, Salò e Resistenza. Si dice: roba vecchia, i fascisti non ci sono più. Falso. Meno di un anno fa è stata invasa e devastata la sede nazionale della Cgil da uomini di una formazione neofascista, che ancor oggi non è stata messa fuori legge. Non abbiamo dimenticato le parole profetiche di Umberto Eco: “Il fascismo eterno può tornare sotto le spoglie più innocenti”.

E ancora, occhio ai demagoghi! È il caso di ricordare il noto proverbio turco: “E gli alberi votarono ancora per l’ascia, perché l’ascia era furba e li aveva convinti che era una di loro, perché aveva il manico di legno”.

Mai come oggi sono attuali le tre parole simboliche del 1789: libertà, eguaglianza, fraternità. Su queste tre parole il treno dell’Italia può ripartire nel suo viaggio nel tempo e nel mondo. Ma per ripartire occorre avere cura di tutto il convoglio, non solo delle carrozze business e di prima classe, ma specialmente di tutte le carrozze di seconda classe che sono sempre più affollate.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi

Was this article helpful?
YesNo

    Questo articolo ti è stato utile No

    Pulsante per tornare all'inizio
    error: Content is protected !!