Questo documento, assumendo i contenuti delle elaborazioni del documento confederale proposto dal direttivo nazionale del 31 Maggio u.s. intende dare un contributo di merito al congresso della categoria, a partire dalle esperienze maturate sul territorio toscano negli ultimi anni e che hanno visto la Fisac, protagonista di numerose vertenze e iniziative pubbliche.
Premessa
Dal contrasto alla desertificazione territoriale, alla manifestazione sui diamanti venduti ai risparmiatori Banco BPM con la manifestazione interregionale di Lucca del Maggio 2019, fino alla evoluzione del modello assicurativo, la struttura territoriale ha assunto un ruolo di protagonismo nel dibattito pubblico regionale.
La categoria regionale e territoriale, ha inoltre cercato di fornire organizzativamente, economicamente e politicamente, ogni supporto alle iniziative di lotta che hanno interessato larga parte dei gruppi e delle aziende bancarie e assicurative.
Di fronte alla portata dei processi riorganizzativi in atto, alle dirompenti conseguenze delle innovazioni tecnologiche, l’affermazione sul mercato di nuovi aggressivi player, è necessario a nostro avviso rilanciare su base complessiva nazionale, facendone sintesi, le tante vertenze o “suggestioni” promosse a vario livello nel paese.
Nel documento proposto come contributo al congresso 4 anni fa dalla Fisac Cgil Toscana non potevamo prevedere l’impatto devastante che la pandemia avrebbe avuto sul pianeta con i suoi drammatici effetti sulla salute pubblica e sulle economie, il proliferare di guerre dirette o per procura e l’ ulteriore profonda involuzione di un quadro politico sempre più incapace di visione e pensieri lunghi schiacciato come è su un infinito “presentismo”.
Il documento proposto quattro anni fa, evidenziava con forza tendenze che in questi anni non si sono temperate, ma anzi si sono accentuate, come lo sviluppo dei lavori poveri, una imponente destrutturazione del mercato del lavoro, una frammentazione contrattuale figlia non solo del Jobs Act, ma anche di politiche neoliberiste che negli ultimi 25 anni sono state abbracciate da governi sia nazionali che europei, senza distinzione di colore o di famiglia politica.
Anche per quanto riguarda il settore, il documento faceva riferimento a fenomeni in atto o che stavano prendendo piede, che in questi quattro anni o si sono accentuati o si sono definitivamente affermati.
Il Covid-19, come sottolineato in ultimo anche dal premio Nobel Stiglitz, ha posto fine a decenni di pensiero unico sulle virtù del mercato, gli effetti nefasti dell’intervento pubblico e l’egemonia liberista, quest’ultima caratterizzata da una politica di redistribuzione a favore di imprese e ceti più abbienti. In Italia l’urgenza di questo processo è reso evidente dalla riduzione dei salari reali dal 1990 ad oggi in controtendenza con tutti i paesi del continente.
Tuttavia dopo 2 anni trascorsi a discutere di nuovo ruolo dello stato su sanità, welfare, assistenza, scuola, mobilità sociale, assistiamo negli ultimi mesi alla riproposizione di vecchi concetti pre-pandemia ad opera di rappresentanze di impresa, istituzioni internazionali, paesi “frugali” e forze politiche.
Ciò è particolarmente stridente in relazione all’attuale crescita dell’inflazione non più riducibile a “fiammata” temporanea e ai nuovi scenari nella divisione internazionale del lavoro, nella ricomposizione, rottura e reinternalizzazione delle filiere produttive determinate dal drammatico conflitto in Ucraina e dalla crisi sanitaria che, come primo effetto, ha prodotto l’interruzione delle catene di approvvigionamento delle materie prime.
Inoltre sono stati espunti dal dibattito temi fondamentali come la cancellazione dei contratti pirata attraverso una legge sulla rappresentanza, la contrattazione dell’organizzazione del lavoro come strumento di partecipazione democratica di lavoratrici e lavoratori alla vita dell’impresa, la riduzione degli orari anche come risposta alla crescente digitalizzazione, che il documento congressuale della CGIL ha il merito di riproporre. Il tema dell’espansione delle intelligenze artificiali e dell’azzeramento delle catene di intermediazione nei servizi impatterà pesantemente, in modo particolare sui servizi finanziari.
Sono tematiche, queste, di fondamentale importanza che vanno riprese, approfondite e riaffermate nelle piattaforme e con le controparti: il tema, ad esempio, degli orari e della loro modulazione , non è da riferirsi solo alla gestione dello smart working, o alle nuove di modalità della erogazione della prestazione, ma va anche declinato in chiave di difesa del numero dei posti di lavoro e di una maggiore produttività coniugata al benessere della persona come un sempre maggior numero di positive sperimentazioni in Europa stanno tentando di affermare.
Restano poi drammaticamente attuali le previsioni che svolgevamo 4 anni fa sull’incremento delle pressioni commerciali sulle quali la categoria deve aprire una riflessione rispetto all’inefficacia delle azioni poste a contrasto del fenomeno sugli accordi connessi, non escludendo – in caso di reiterati comportamenti – interventi sanzionatori, e sulla improrogabile necessità di elaborazione di una nuova strategia sindacale anche in previsione del rinnovo del CCNL ABI. Di certo, come per il generale tema dell’intermediazione creditizia nel nostro paese, rileva la necessità di una maggiore responsabilizzazione dell’attività dell’impresa bancaria, nei confronti di tutti i soggetti in campo, in primis lavoratori e cittadinanza.
LE TRASFORMAZIONI DI CREDITO E FINANZA
Il settore del credito, e della finanza più in generale, si sta avviando ad una nuova decisa trasformazione e riorganizzazione determinata, soprattutto, dalla digitalizzazione, dall’evoluzione della concorrenza con ingresso di nuovi player, dagli effetti delle crisi di natura economica e (come detto) crisi pandemica, in ultimo dagli eventi bellici succedutesi negli ultimi mesi e anni.
Si tratta di un radicale cambiamento per il sistema bancario italiano . Mentre nel secolo scorso abbiamo assistito in primis alla banca specializzata temporalmente per funzione, per passare poi – dal 1993 – al modello di banca universale, adesso siamo alla vigilia di una nuova evoluzione, verso la open bank: progressivamente il prodotto bancario non viene più sviluppato e distribuito esclusivamente dall’azienda del credito che lo colloca ma viene sempre più disarticolato in vari step, anche al di fuori della banca stessa; in proposito, l’ingresso nel mercato finanziario, a cominciare dal sistema dei pagamenti, di nuovi soggetti specializzati ne è testimonianza.
L’industria bancaria italiana ha attraversato gli ultimi decenni varie difficoltà, anche per la scarsa redditività aziendale specie in rapporto con le altre concorrenti europee. Sul fenomeno, oltre ai bassi tassi di interesse, ha sicuramente influito la gestione “tradizionale” dell’intermediazione creditizia nel nostro paese. A differenza, ad esempio, delle esperienze nord europee, il bilancio di una banca italiana, in media, è sempre stato più incentrato sui finanziamenti alle imprese, che in Italia significa soprattutto micro o piccole realtà. Se questo ha consentito, durante l’ultima crisi economica, di effettuare salvataggi pubblici di relativa entità in confronto ad altre esperienze nazionali, c’è comunque da dire che la crescita asfittica della produttività dell’economia reale si è riversata anche sui bilanci delle banche che hanno realizzato performance insoddisfacenti.
Per far fronte a questa situazione, anche sotto la spinta dei regolatori pubblici, le nostre banche hanno avviato processi di accorpamento, di outsourcing, di riduzione del personale, di chiusura di sportelli in specie nelle aree più marginali. A questo proposito, si ricorda che in Toscana circa il 56% del territorio viene classificata come “area interna” e che è proprio in questa parte della regione, che già sconta maggiori difficoltà in termini di servizi pubblici e collegamento internet, che si concentra il calo degli sportelli.
La forte spinta alla digitalizzazione sta inoltre facilitando questi processi; basti pensare che mentre circa 10 anni fa poco meno del 15% della banche consentiva ai propri clienti l’effettuazione di pagamenti tramite dispositivi mobili, adesso oltre il 70% fornisce questo servizio. Questa evoluzione presenta non pochi aspetti controversi se, ad esempio, da una parte non tiene conto del fenomeno di digital divide e di tutte quelle zone non coperte da rete internet, dall’altra l’utilizzo del remote banking richiede una conoscenza almeno basilare di concetti finanziari anche per la gestione dei risparmi individuali e, al riguardo, secondo l’Ocse il nostro paese si trova agli ultimi posti in Europa.
Occorre poi sottolineare che l’esperienza della crisi economica iniziata oltre 10 anni fa negli Stati Uniti non ha fatto venire meno alcuni problemi endemici del modo di fare banca. Seppur si è data una maggiore attenzione alla patrimonializzazione, anche attraverso fusioni, non si è debellata la malattia dello short termism. La pervicacia con cui i manager delle grandi banche hanno continuato ad operare con orizzonti temporali a carattere annuale o, ancor peggio, semestrale o trimestrale, al fine di massimizzare i profitti da distribuire agli azionisti e, contestualmente, le proprie retribuzioni (variabili), ha spesso da una parte fatto venire meno il ruolo sociale della banca con effetti deleteri sulle comunità, specie quelle al di fuori delle aree metropolitane, dall’altra ha alimentato politiche di reddito aggressive, da cui derivano le asfissianti pressioni commerciali verso le lavoratrici e i lavoratori del credito.
Le stesse operazioni di esternalizzazione di interi pezzi del processo produttivo bancario avviate da alcuni anni, trovano spiegazione nella necessità di “liberare” risorse di bilancio e di portare al di fuori del perimetro del contratto dei bancari molte lavoratrici e lavoratori anche per obbiettivi di puro risparmio (e quindi di massimizzazione dei profitti).
Pressioni commerciali, riorganizzazioni, esternalizzazioni, costituiscono tutti aspetti che ineriscono il benessere lavorativo delle colleghe e dei colleghi che rappresentiamo. Per questo occorre un’azione più incisiva da parte del sindacato, che parta da una precisa e puntuale analisi della situazione del settore al fine di mettere in campo le opportune ed efficaci iniziative negoziali e non solo.
LE PICCOLE BANCHE E LE BCC
I sommovimenti in atto stanno interessando anche le banche di dimensioni più piccole e in parti-colar modo il credito cooperativo. La messa a terra ancora lacunosa della riforma di settore, sta rivoluzionando non solo le dinamiche di lavoro storiche delle BCC, ma anche il loro assetto contrattuale e di relazione sindacale.
Il fatto che a distanza di anni dall’avvio di questa “riforma”, non siano stati definiti in maniera chiara ruoli e funzioni specifici, quali le attività accentrate, fanno comprendere in parte senza giustificarlo, il temporeggiare dei consigli di amministrazione delle BCC che si ostinano a mantenere organici ridotti all’osso.
Particolare preoccupazione desta la precaria situazione della BCC di Pisa e Fornacette che ci auguriamo il gruppo mantenga sul territorio e ne salvaguardi la tenuta occupazionale
Per quanto riguarda la Toscana è finita l’era elle fusioni “preventive”, quelle cioè fatte all’inizio del percorso che seguì alla riforma Renzi sulle Banche Popolari, realizzate per patrimonializzarsi e per accrescere il proprio potere “politico”; oggi siamo in una fase ibrida dove il cambio delle regole contrattuali di secondo livello (e quindi il passaggio da contratti regionali a contratti di Gruppo di carattere nazionale ancora da definire) porta a fare i conti con le capogruppo di riferimento stesse, eliminando sul nascere tutta una serie di rapporti e dinamiche locali, anche di carattere sindacale, che contraddistinguevano il sistema del credito cooperativo.
Le nuove dinamiche di capogruppo hanno invece favorito alcune fusioni per “incorporazione” (di fatto) di alcune BCC in difficoltà con altre ben disposte ad inglobarle, e ciò anche grazie al contributo economico consistente della capogruppo stessa che ne assume poi di fatto il controllo. Nuove dinamiche queste che mutano nell’essenza il Movimento del credito cooperativo che nasce e può resistere in un contesto di mercato sempre più spietato ed aggressivo solo se ben radicato sul territorio, offrendo servizi sicuri e specifici in base alle necessità.
Il settore del credito cooperativo è essenziale ed insostituibile nel suo ruolo, ed è innanzitutto quel ruolo di microcredito e di supporto locale ai piccoli risparmiatori ed alle piccole aziende poco interessanti per le grandi banche d’affari che va mantenuto; ecco perché sarebbe pericolosissimo immaginare da parte della Governance di settore, banche di credito cooperativo più o meno grandi, ridotte a mere filiale di collocamento di prodotti standardizzati da una capogruppo nazionale completamente slegata dai territori stessi.
Una nota positiva emerge dalla recente sottoscrizione, da parte della Fisac e delle altre OO.SS. del tavolo sindacale, del rinnovo del CCNL scaduto nel dicembre 2019 che, oltre ad ottenere un buon recupero salariale, norma il lavoro agile ed apporta miglioramenti alla previdenza integrativa e complementare.
GLI SCENARI FUTURI
Nel prossimo futuro, quindi, il sistema del credito in Italia (e in Europa) ha davanti a sé importanti sfide da gestire e da superare. La ristrutturazione del mercato sta determinando, almeno in questa fase, una progressiva concentrazione in poche grandi imprese del settore: fino a che punto si continuerà ad alimentare questa sorta di gigantismo? Seppur da una parte si stanno creando imprese più grandi e più solide, dall’altra emergono indubbi interrogativi rispetto a possibili conseguenze negative. Ad esempio, il perseguimento di politiche di breve periodo sospinte da una veloce digitalizzazione può contribuire ad una progressiva desertificazione della presenza bancaria sul territorio nazionale. Ancora, il tipo di attività che svolge la banca, specie in paesi come l’Italia, ha per forza di cose connotazioni sociali e politiche, ma suggerisce anche una sorta di azzardo morale: se la banca è troppo grande per fallire – per gli evidenti effetti sull’economia nazionale – la stessa può spingersi verso politiche molto rischiose proprio per l’esistenza di una sorta di “garanzia pubblica” che ne impedirebbe il dissesto.
L’arrivo sul mercato, poi, di aziende fintech molto specializzate, mette in discussione lo stesso modo di fare banca, così come conosciuto finora. Queste imprese, ad alto tasso tecnologico e spesso facenti parte di grandi conglomerati internazionali, stanno acquisendo quote crescenti di mercato in specie nell’ambito del sistema dei pagamenti. Questo fenomeno spinge l’azienda di credito ad investire massicciamente nella digitalizzazione, ma anche a frazionare il processo di produzione, anche al fine di mantenere o incrementare i profitti.
Infine, un accenno importante riveste la sfida ecologica a cui la banca, come il resto delle imprese, deve fare i conti. L’intermediazione creditizia può essere coinvolta sotto vari aspetti: da quelli diretti, in caso ad esempio di cataclisma nel territorio in cui è insediata la banca, ad altri più impliciti, che possono inficiare la stessa politica del credito, come ad esempio il rischio crescente nel finanziamento di aziende inquinanti o energivore.
Queste trasformazioni, brevemente delineate, si dispiegheranno compiutamente nei prossimi anni. La portata dei cambiamenti, visto anche l’importanza che riveste il credito nel nostro paese, deve essere oggetto di attenta riflessione non soltanto da parte sindacale. Per questo, sarebbe opportuna – come anche in altri settori – una regia pubblica che esca dalla solita logica emergenziale di mero salvataggio dal dissesto aziendale, ma che contribuisca a delineare un nuovo modello di sviluppo del credito rispettoso delle necessità dei cittadini.
Infine, a latere dei processi appena descritti, rilevano le riflessioni in atto a livello di Banca Centrale Europea in tema di possibile introduzione, in un orizzonte di medio termine, dell’Euro digitale, anche in risposta ad analoga iniziativa posta in essere dall’Autorità monetaria cinese. Seppur il dibattito, anche per le possibili connotazioni sui lavoratori bancari, risulti al momento piuttosto “acerbo”, c’è da dire che l’introduzione di una moneta totalmente slegata da qualsiasi materialità e che vedrebbe come primo garante e (forse) unico gestore il Sebc, rivoluzionerebbe tutto il sistema del credito, bypassando interi processi, attinenti non soltanto il sistema dei pagamenti, adesso in mano pressochè esclusiva delle banche.
IL SISTEMA ASSICURATIVO
Il Settore Assicurativo ha mostrato un andamento anticiclico, mantenendo redditività anche nei momenti bui della pandemia e confermando la sua importanza nell’economia reale del Paese: è un fondamentale investitore istituzionale (detiene oltre il 15% di titoli pubblici), riveste un ruolo centrale nell’allocazione del risparmio degli italiani (dal 10,7% del 2009 si è passati al 18,2% del 2019), offre prodotti alle Imprese contro i rischi di attacchi cyber, eventi meteorologici ecc.) e consente di migliorare il merito creditizio delle Imprese stesse; per quanto riguarda le risorse del PNRR sono diversi gli ambiti in cui l’industria assicurativa può dare un fondamentale contributo (digitalizzazione, innovazione, transizione ecologica, investimenti in salute e infrastrutture).
Come quello del credito, anche il settore assicurativo è attraversato da grandi fattori di cambiamento determinati dall’innovazione tecnologica/digitalizzazione (vedi l’insuretch), dal contesto competitivo, con l’ingresso di nuovi operatori che si aggiungono a banche e poste, dalla pressione regolativa (Solvency II), dal risiko assicurativo/bancario, dalla trasformazione del cliente in cliente ibrido. Sullo sfondo di tutto questo ci sono i temi dell’occupazione, dell’organizzazione del lavoro, delle competenze, della tenuta delle sedi nei territori e delle piccole e medie e imprese, del nuovo modello che si va delineando; la vicenda della Compagnia Diretta Verti (Gruppo Mapfre), con la dichiarazione di 325 esuberi e l’esternalizzazione di tutto il contact center, è paradigmatica.
Sempre più si fa ricorso al fondo di solidarietà e sostegno al reddito di settore, ma le uscite per ricambio generazionale rischiano di concentrare l’occupazione, pattuita negli accordi aziendali a fronte delle uscite, solo in una parte del Paese, configurando anche nel settore assicurativo la cosiddetta “desertificazione”, a scapito del servizio alla clientela e penalizzando l’occupazione in territori già svantaggiati. Per questo sarebbe opportuno ragionare in prospettiva su un meccanismo di assunzioni che tenga conto, anche se non in modo ragionieristico, di tutti i siti impattati dall’apertura del fondo di settore nei vari gruppi e aziende.
Dal punto di vista contrattuale, con visione abbiamo posto un caposaldo, sollecitando e sottoscrivendo con ANIA il protocollo di settore sul lavoro agile, già declinato in molti gruppi in accordi aziendali, e praticando la contrattazione inclusiva, comprese le partite Iva come nel CCNL ALLEANZA (società del Gruppo Generali) e l’accordo regionale tra FISAC e ASSICOOP Toscana. L’obiettivo strategico, tema centrale nella negoziazione per il rinnovo del CCNL di settore, é porre sempre più il Contratto nazionale ANIA come contratto di riferimento per l’intera filiera assicurativa. Lo stesso dovrà porre particolare attenzione ai soggetti deboli della filiera: al rafforzamento delle protezioni per le lavoratrici e i lavoratori dell’appalto assicurativo, ai necessari adeguamenti in riferimento a funzioni, mansioni e condizioni salariali per i produttori – insieme ad una previsione di tutela contro le pressioni commerciali – ai contact center, alle lavoratrici e ai lavoratori degli appalti di servizi che gravitano nei gruppi assicurativi, alle partite Iva; il tutto in coerenza con la carta universale dei diritti della cgil.
Per quanto riguarda l’appalto assicurativo, la nostra battaglia politica, contrattuale e vertenziale si intreccia anche con la necessità di una legge sulla rappresentanza; auspicabile anche un approccio, a tutti i livelli dell’organizzazione e unitamente alle altre sigle, finalizzato a recuperare un dialogo con SNA, per tentare una seppur complessa riunificazione dei due CCNL presenti nel settore. Dal punto di vista organizzativo, si pone invece per la categoria un problema indifferibile sulla necessità di reperire RSA tra chi lavora nelle agenzie in gestione libera creando soluzioni di agibilità in modo da affiancare e dare sostegno individuale e collettivo in modo più incisivo alle iscritte e iscritti dell’appalto assicurativo.
IL SETTORE DELLE RISCOSSIONI
Il settore delle riscossioni è investito da ipotesi di riforma radicale che ne mettono in discussione il profilo contrattuale, la permanenza nella categoria e in generale lo espone a cambiamenti che è dubitabile possano fargli assumere un ruolo di maggiore garanzia e tutela del lavoro e di efficienza dello svolgimento delle funzioni.
Le sedi toscane sono spesso sotto organico, senza investimenti e in generale risulta necessaria una nuova consapevolezza da parte della politica del ruolo del settore. In Toscana, l’attività svolta in questi 4 anni nell’Agenzia di riscossione del comune di Pisa (SEPI) ha visto la Fisac protagonista e artefice della stabilizzazione di un gran numero di lavoratori precari e del conseguente consolidamento di iscritti.
ALCUNE PROPOSTE
L’evoluzione del settore finanziario nel suo complesso quindi, come sopra richiamato, sarà progressivamente investito – come tutto il sistema dei servizi – da un processo di gigantesca riorganizzazione con l’affermazione sul mercato di nuovi player, la modifica delle attività “core” delle imprese, il forte investimento sui processi digitali, l’alterazione e la riduzione dei perimetri contrattuali, la concentrazione esasperata incoraggiata dagli organismi politici e regolatori: tali processi impongono al sindacato interrogativi seri sulla sua strategia contrattuale e politica.
Ciò propone una profonda riflessione sull’adeguatezza degli strumenti atti alla tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e al governo dei modelli organizzativi a partire dal CCNL che oggi appare “tarato” su un modello superato. Appare paradigmatica rispetto a questo la questione degli inquadramenti. Più in generale viene da interrogarsi se la poderosa crescita dei settori para ed extra bancari, sostenuta da giganti finanziari internazionali con l’applicazione di 4-5 differenti CCNL, sia gestibile solo attraverso una riorganizzazione verticale delle connesse categorie oppure attraverso una maggior e più coraggiosa riforma dei modelli anche della rappresentanza. Oltre che naturalmente attraverso una ridislocazione di “forze” sindacali sul territorio.
La velocità dei processi di riorganizzazione, infatti, impone una riflessione anche sul modello fortemente verticalizzato assunto anche dalla FISAC sotto la spinta dei processi, del sindacato autonomo e delle controparti, in special modo ABI.
Il modello non risponde più alle necessità, non solo per ciò che concerne ruolo e funzioni delle RSA in rapporto ai coordinamenti nazionali e alla normale dialettica aziendale, ma soprattutto non risponde più alle esigenze di riorganizzazione territoriale se è vero che i processi di outsourcing che investono i grandi gruppi, ma anche le residue piccole Casse di Risparmio, (ad esempio CR Volterra), hanno un denominatore comune: attribuire attività di back office o attività non commerciali a soggetti terzi, prevalentemente grandi gruppi multinazionali applicanti una molteplicità di contratti. Nascono nuove realtà in cui il sindacato deve costruire una propria rappresentanza ed è per questo imprescindibile un’adeguata struttura territoriale che abbia competenze e necessarie agibilità (cedolari e finanziarie). Per non parlare delle iniziative a tutela dei lavoratori ma soprattutto delle lavoratrici dell’appalto assicurativo che solo una rinnovata presenza sui territori (come già sottolineato) può, in termini contrattuali o puramente vertenziali, garantire. In toscana, in questi anni, abbiamo operato alcuni accorpamenti funzionali tra Fisac provinciali, che – complessivamente – hanno prodotto risposte positive in termini di efficienza ed efficacia dell’azione sindacale; tali esperienze incoraggiano un ulteriore sviluppo dell’esperienza.
Abbiamo di fronte un quadro quindi in rapida e accelerata evoluzione che investe principalmente il sistema del credito, delle assicurazioni e del sistema finanziario che amplia la dimensione delle imprese ai margini o al di fuori del perimetro contrattuale ed è per questo che sono necessarie anche le relative forti discontinuità organizzative.
Inoltre per dare risposte a tematiche come pressioni commerciali, lo sviluppo di figure ”ibride” del mercato del lavoro, la rappresentanza del settore parabancario-assicurativo, la smaterializzazione forzosa e non contrattata del luogo di lavoro, serve investire in formazione, comunicazione, ridisegnare il ruolo delle RSA. E’ su questi obiettivi che si devono costruire i nuovi paradigmi della FISAC. Se appare velleitario, infatti, pensare di rimettere all’indietro l’orologio a quello che eravamo , non lo è mettere in discussione il modello organizzativo proposto dalle aziende, non lo è mettere in discussione un modello esclusivamente centralizzato e verticalizzato di relazioni e di democrazia sindacale.
In modo particolare, mettiamo in evidenza le seguenti necessità sul lato organizzativo:
- E’ necessario dotarsi di risorse sia a livello regionale sia per progetti nazionali al fine di facilitare l’inserimento nei percorsi formativi dei nuovi quadri sindacali. In proposito, è importante la formulazione di un piano di formazione di carattere “storico politico” che contribuisca a fornire elementi di contesto dei processi socio politici con le annesse competenze di gestione extra aziendale di determinate vertenze. Occorre affiancare ad esso una serie di iniziative a carattere prettamente tecnico al fine di fornire alle RSA tutti gli strumenti informativi in grado di rispondere, prontamente ed efficacemente, alle richieste e necessità delle colleghe e dei colleghi sui posti di lavoro, giornalmente.
- Lanciare una campagna di lunga durata, non episodica, organicamente concertata tra centro nazionale e territorio, che abbia come riferimento la condizione del lavoro a partire dagli accentuati processi di mobilità e l’abbandono del territorio ormai non limitata alle aree interne scarsamente abitate come evidenziato dai piani industriali di alcuni gruppi e come l’esperienza quotidiana ci ricorda. Una battaglia strettamente confederale sulla quale la distinzione verso il sindacalismo autonomo deve essere esplicita e sulla quale la Fisac Cgil sta accentuando la sua azione, ma su cui ancor più deve insistere .
- Una campagna nazionale di lunga durata sulle pressioni commerciali e su forme di organizzazione del lavoro esasperate dalla digitalizzazione che possono riproporre forme di cottimo moderno. Naturalmente, coniugata con la necessaria rivendicazione contrattuale che adegui quanto fin qui pattuito fra le parti.
- Ridefinire un ruolo di maggiore protagonismo delle RSA (uno dei punti centrali proposti dall’Assemblea Organizzativa della CGIL) attraverso un nuovo accordo con le controparti a partire dalla riduzione dei numeri necessari alla elezione degli organismi di rappresentanza e dall’estensione dell’unità produttiva che deve riguardare una più ampia dimensione territoriale, in un quadro di riduzioni delle filiali e degli addetti per filiale. Richiamare il valore delle delegate e dei delegati, come solennemente affermato dall’Assemblea organizzativa CGIL, in un quadro di progressiva rapida riduzione degli stessi, rischia di essere priva di senso riferita alla nostra categoria. Questo processo, peraltro, rende molto più difficile la selezione di una nuova classe dirigente non solo per la oggettiva riduzione della platea, ma anche perché – stante la riduzione delle funzioni – senza partecipazione attiva ai processi negoziali o alla costruzione del conflitto, difficilmente l’organizzazione avrà strumenti di valutazione diversi dalla cooptazione arbitraria dei gruppi dirigenti nei successivi percorsi di carriera.
- Le difficoltà crescenti nell’attività di proselitismo, causate anche dalla riduzione della platea dei colleghi, impongono l’avvio di una riflessione rispetto a come favorire la crescita e la partecipazione di nuovi quadri non solo in categoria; in proposito, è da valutare un uso più frequente dell’aspettativa ex L. 300.
- Una messa a fattor comune delle “buone pratiche” sulle P.IVA (non solo giovani) e sulle nuove figure spurie moltiplicatesi in questi anni, attraverso una rappresentanza diretta della FISAC. La recente esperienza sfociata in un accordo tra FISAC Toscana, ASSICOOP e coord.to partite IVA iscritte alla CGIL dimostra che c’è una strada possibile.
- Mappatura e coordinamento dei delegati nelle attività non strettamente afferenti ad aziende bancarie (a partire da alcuni gruppi multinazionali) fuori da logiche di volontarismo e con un forte coordinamento della segreteria nazionale e della stessa Confederazione.
- Contrasto dei processi di smaterializzazione del lavoro non contrattati con campagne massive di comunicazione, processi esasperati dalla pandemia e unilateralmente decisi che hanno investito sia le banche che le assicurazioni che le aziende di servizio alle stesse.
- Istituzione di polizze riferite ai neo-iscritti che ne garantisca la gratuità per un periodo attraverso il concorso economico di tutti i livelli della categoria. Questo intervento è reso possibile dalla situazione finanziaria determinatasi a seguito della riduzione delle attività conseguenti la pandemia. Più in generale, occorre favorire progetti di reinsediamento e proselitismo nelle aziende e nei territori che siano strutturati e che producano un feedback per la verifica dei risultati ottenuti. E’ necessario inoltre predisporre un’offerta di servizi anche sfruttando le possibilità del lavoro da remoto (ad. es. servizi online Inca) e ripensare il sistema di convenzioni offerte dalla CGIL agli iscritti, per le quali la solidità finanziaria della categoria può essere di supporto.
- Rilancio di una comunicazione esterna attraverso una policy più aggressiva e “corsara”che tenga insieme il rigore delle nostre posizioni con il radicalismo dei concetti espressi. L’assenza drammatica di presenza sui media tradizionali rispetto non solo al sindacato autonomo, continua ad essere un problema non risolvibile da una supplenza territoriale o dalla comunicazione proveniente dai gruppi. Questa situazione è apparsa più evidente in alcune grandi vertenze nell’ultimo anno. Si tratta di individuare alcuni filoni di iniziativa e su questo condurre una martellante campagna di opinione.
- E’ necessario aumentare formazione e consapevolezza nell’uso dei social per la comunicazione sindacale che deve riprogrammarsi e aggiornarsi, nei tempi e nei linguaggi, alle esigenze poste dai nuovi media. E’ necessario sperimentare e “occupare”tutti i media in quanto possono rappresentare utili veicoli per i nostri contenuti e le nostre battaglie politiche.
- Visto l’esperienza effettuata durante la crisi pandemica, prevedere e rendere strutturale – anche a livello nazionale – l’effettuazione di un certo numero di riunioni sindacali – anche di Comitato Direttivo- tramite video conferenza, al fine di facilitare la partecipazione e di risparmiare, per quanto possibile, risorse cedolari.
- Favorire un non più rinviabile processo di rinnovamento della Fisac che consenta all’Organizzazione di affrontare, attraverso nuovi gruppi dirigenti, una nuova fase di tumultuoso cambiamento, l’immissione di nuove culture politiche e l’arricchimento delle elaborazioni. A questo fine sarebbe utile, anche in termini di risparmi cedolari oltre che di coerenza politica con gli accordi via via sottoscritti, favorire per compagni e le compagne (quando in possesso dei necessari requisiti) l’adesione al Fondo di categoria e ancor più al regime pensionistico. Ciò non farebbe venir meno in termini automatici il contributo politico soggettivo che potrà continuare ad esercitarsi nelle forme previste dallo statuto e dalle regole interne della CGIL
I GRUPPI
Le vicende internazionali hanno segnato in modo importante questa stagione; la perdita di capitalizzazione di alcuni tra i più importanti gruppi bancari italiani dopo aver sfiorato in Gennaio il 40% si è attestata in maggio tra il 10 e il 25%. Alcune tra le maggiori banche europee hanno hanno rinviato la presentazione dei loro piani industriali. Emergono incertezze riferite ai mercati, alle politiche dei tassi, all’internazionalizzazione di alcuni istituti.
Rimane una linea guida uniforme, rintracciabile (con maggiori o minori evidenze) in tutti i piani industriali fin qui presentati dalle aziende del credito italiane: taglio massivo di filiali, ritiro dal territorio, riduzione degli addetti, outsourcing, contratti di rete come nuovo strumento, cambio del modello e anche delle professionalità richieste. E’ pertanto improrogabile mirare, fin dal prossimo rinnovo del CCNL, ad ampliare le attività comprese nell’area contrattuale e, al contempo, a contrastare le nuove modalità organizzative, sopra ricordate, con cui le aziende tendono ad espellere dal settore migliaia di lavoratori.
Inoltre, ancora in tema di rinnovo contrattuale, è necessario superare la previsione dell’art. 4 del CCNL che indica – in caso insourcing – l’applicazione ai lavoratori interessati di un trattamento economico significativamente inferiore rispetto alle tabelle retributive in vigore e un orario settimanale di 40 ore.
Resta da domandarsi, confrontando il processo di riorganizzazione italiano a confronto con altri modelli in Europa, se il processo va assecondato, sulla base della rivendicazione di un (a nostro giudizio) rapporto 2 a 1 tra uscite e ingressi nei vari accordi aziendali e di gruppo o maggiormente contrastato.
Per quanto riguarda la nostra regione, Banca Monte dei Paschi di Siena rappresenta una vicenda, sul piano delle dimensioni, della storia e del legame col territorio, cui bisogna prestare la massima attenzione. Il piano industriale, presentato lo scorso 23 giugno, mira al rilancio della Banca ed al ritorno ad una piena competitività sui mercati; la conferma dell’impegno dello Stato nel capitale e la volontà di non operare esternalizzazioni e di preservare il perimetro aziendale, deve trovare un coerente equilibrio con le sostenute uscite di personale in esodo ed una nuova organizzazione del lavoro che permetta il mantenimento di un clima sereno e sostenibile per i 17.000 dipendenti che rimarranno. Di certo, in questa vicenda, le strutture aziendali della Fisac dovranno trovare pieno supporto anche da parte della Confederazione, visti l’importanza sistemica del Monte dei Paschi ed il ruolo dell’azionista pubblico.
LA CATEGORIA CHE VERRÀ
Il Congresso deve produrre il necessario sforzo per quell’opera di ricomposizione e di unità pur con le necessarie articolazioni del dibattito, che la categoria ha perduto da molti anni. Questo lavoro, fino ad oggi fallito, è l’unica strategia che può consentirci di arginare efficacemente la straripante forza lobbistica finanziaria e comunicativa del sindacato autonomo e operare il necessario rilancio dell’unità confederale, obiettivo ad oggi fallito.
Le recenti posizioni assunte da alcune organizzazioni, rendono ancor più complessa la costituzione di quel “cartello” confederale in grado di proporre visioni generali, come più volte richiamato anche al momento dell’elezione del nuovo gruppo dirigente obiettivo al quale comunque, come Fisac siamo condannati a puntare.
Far vivere le proprie posizioni in una logica di partecipazione alla definizione di una linea strategica, non rinchiudersi in ambiti ristretti e autoreferenziali, rifiutare la logica della autosufficienza o del minoritarismo, non ripetere gli errori compiuti a più riprese nel 2018 e nel 2020, sono gli obiettivi minimi a cui ancorare la categoria nei prossimi anni. Allo stesso modo, è necessario incrementare e rafforzare i rapporti tra la Fisac e la politica, soprattutto quella di natura istituzionale: la portata delle trasformazioni in atto nel sistema del credito, e l’importanza di queste per il futuro del paese, la rappresenta come una necessità ineludibile.
Dalla volontà di perseguire con rigore e tenacia questi obiettivi si misurerà a nostro avviso la capacità o meno della FISAC di rilanciare la propria iniziativa politica e contrattuale, di portare un contributo fattivo al congresso della Confederazione, di costruire il proprio rinnovamento in un equilibrio tra vecchie e nuove competenze in grado di produrre, però, quelle innovazioni senza le quali la categoria è condannata ad un rapido declino.
Firenze, 30 giugno 2022