IL PRIMO NUMERO DI NOVEMBRE 2015 Istruzioni per uscire prima dal lavoro senza farsi guardare male Il Fight Club dei banchieri esiste davvero: è a Ginevra BPER guarda a BPM e banche Valtellina, MPS fuori portata Guida FISAC CGIL alla Previdenza 2015 Istruzioni per uscire prima dal lavoro senza farsi guardare male Come salvare vita sana e reputazione in ufficio? Come evitare di restare ore in più solo perché "così mi si nota"? Ecco tutte le risposte che servono Finito il lavoro, si resta al lavoro. Dov’è l’errore? Nello sguardo di capi e colleghi che osservano con rimprovero il dipendente che, alle sei, quando i compiti della giornata sono finiti, se ne va. Come si permette? Come osa? Molto meglio, allora, restare qualche ora in più, così “vedono che lavoro tanto”, così “si fa una bella figura”. Molto bene. Anzi, molto male. Ore buttate, tempo sprecato. In nome di una reputazione del tutto discutibile. In Germania, Paese che ad esempio funziona meglio dell’Italia, se un lavoratore resta più a lungo del dovuto significa che c’è un problema. E il problema è o dell’azienda (“non siamo in grado di organizzare il lavoro dei dipendenti?”) o del lavoratore (“non sei in grado di fare quello che ti chiediamo nel tempo previsto?”). Nel secondo caso l’esito (i.e. il licenziamento) è scontato. In Italia no, in Italia si fa ammuina. Si finge, si prolunga, si rimane, prigionieri di un campo magnetico fatto di strane convinzioni e di sguardi severi. Di partite a solitario, di scroll su Facebook, di letture di email (quello va bene!) Come fare per uscire da questo labirinto? La strada è complicata. Art Markman, psicologo contattato da Fastcompany, siamo tutti vittime di un concetto sbagliato di produttività. Esistono tipi di lavoro diversi, spiega. In alcuni casi, come ad esempio il cassiere, il tempo speso al lavoro coincide in modo perfetto con il lavoro svolto. Più si sta alla cassa, o alla linea di produzione di una fabbrica, più si lavora: più scontrini, più pezzi montati e così via. Più lavorano, più fanno. In altri tipi di lavoro, di tipo creativo o – per non esagerare – concettuale, il tempo passato al lavoro non coincide con il lavoro svolto. È un tipo di attività che prevede pause, riflessioni, ritmi discontinui. Insomma, non è quantificabile. Per cui, la soluzione prevede tre passi: 1) Parlarne con i superiori: chiarire se ci sono lamentele o riserve sulla produttività, o sul tipo di lavoro svolto. Risolto questo passaggio, si può accennare al fatto che restare al lavoro oltre il tempo necessario è un tipo di pressione cui si può fare a meno. Ne converranno. 2) Dopodiché, serve trovare altri modi per rendersi “visibili” durante le ore in ufficio. Svolgere presentazioni, accollarsi compiti specifici renderà meno stridente la fuga anticipata dal desk. 3) Infine, visto che il mondo è imperfetto, i capi non sempre illuminati e i colleghi spesso delle bestie, meglio fregarsene. Vi guardano male? Pazienza. È solo invidia. Vivere la propria vita come pare meglio è la ricetta più intelligente. Poi vedrete che vi imiteranno. Fonte: linkiesta Il Fight club dei banchieri esiste davvero: è a Ginevra Imprenditori, dirigenti e avvocati si ritrovano nella palestra di Vincent Barro per picchiarsi chiusi dentro una gabbia praticando la Mixed Martial Art, miscuglio di boxe e di arti marziali, ritenuta una disciplina per palati molto duri: “Lo fanno per una questione di equilibrio mentale” LUGANO – Banchiere e gladiatore contro lo stress. Se ai tempi del Carosello televisivo, per combattere il logorio della vita moderna, ci si accontentava di bere un amaro, oggi c’è gente che ha bisogno di ben altro e non esita a chiudersi in una gabbia, facendo a botte senza esclusione di colpi. Questi emuli del Brad Pitt di “Fight club” si ritrovano, diverse sere alla settimana, in uno stanzone anonimo di Carouge, un quartiere popolare di Ginevra, che ospita la Cage Academy di Vincent Barro, dove si pratica la Mixed Martial Art, miscuglio di boxe e di arti marziali, ritenuta una disciplina per palati molto duri. Judoka, boxeur, bodyguard di personalità internazionali, Barro allena un centinaio di appassionati, oltre la metà dei quali sono dirigenti d’azienda, medici, architetti, avvocati, oppure funzionari di banca. Ma chi è disposto a sudare come il Rocky cinematografico, per poi scendere e incrociare i guantoni con un avversario, nella gabbia di Vincent Barro, lo fa per tenersi in forma fisicamente o per altri motivi? “Direi che lo fa, soprattutto, per una questione di equilibrio mentale”, dice a Repubblica il fondatore della Cage Academy. È il caso del banchiere 40enne Bertrand Clavien, responsabile della gestione patrimoniale per Bordier & Cie, uno degli istituti di credito più antichi di Ginevra. Quando entra nella gabbia, Clavien confida al quotidiano Le Temps di sentirsi “come un topo in trappola”. Eppure, a quanto pare, é proprio questo miscuglio di paura e di impotenza, che rende gratificanti le serate alla Cage Academy. Perché, nella gabbia, si apprendono le regole che, poi, ti servono nella vita di tutti i giorni. “Ho imparato a ottimizzare le risorse, a non stressarmi, ad affrontare i rischi e a non voltare mai le spalle a nessuno”, dice Clavien. “Inoltre – aggiunge – ormai sono in grado di improvvisare, molto velocemente, una strategia, il che può risultare fondamentale, nel mio lavoro in banca”. “Bertrand – l’opinione del coach Barro – ha una buona tecnica, che gli deriva dall’aver praticato, da ragazzo, la thai boxe, ma soprattutto gli riconosco di aver imparato a mettersi in discussione”. Quanto agli altri clienti Vip, il fondatore della Cage Academy ci tiene a ricordare, in modo particolare, oltre a dei compassati soci del Rotary, un importante imprenditore che ha accettato di scendere una decina di volte nella gabbia, per ritrovare l’equilibrio perduto. Oppure un avvocato non vedente, che annovera tra i suoi allievi più disciplinati. “Pensi che il più anziano é un golfista di 73 anni che, puntualmente, tre volte alla settimana, é qui ad allenarsi”. Fonte: La Repubblica BPER guarda a BPM e banche Valtellina, MPS fuori portata Sono tre le strade che si aprono dinanzi a Banca Popolare dell'Emilia Romagna e portano tutte in Lombardia. “Auspico aggregazioni ma percorso richiede tempo” (ANSA) Il numero uno della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Alessandro Vandelli, intervenendo a margine del Retail Banking Conference organizzato dal Sole 24 Ore e da Accenture, ha fatto il punto in merito al dossier fusioni che vede, chiaramente, anche la sua banca in prima linea. Il manager ha affermato che non c’è assolutamente alcuna fretta nel chiudere un accordo anche perchè il percorso per una eventuale fusione non è certamente semplice in quanto vanno tenuti in considerazione molti aspetti. Riferendosi poi alle possibili papabili, Vandelli ha fatto riferimento alla Banca Popolare di Milano, alla Banca di Sondrio e al Creval come i 3 istituti certamente più interessanti mentre ha messo a tacere ogni voce che porta verso Monte dei Paschi. “BPM è una bellissima realtà, non lo scopro io. Ha anche tutta una serie di combinazioni positive con noi” ha affermato Vandelli che ha poi aggiunto che “sia la Banca di Sondrio che il Credito Valtellinese sono due bellissime banche in bei territori e con cui abbiamo tantissimi punti in comune“. "Credo che il sistema riuscirà ad esprimere qualche aggregazione. Lo auspico e spero che riguardi anche noi. Non nego che però è un percorso difficile e che richiede tanto impegno". Bper è sempre vigile sul mercato delle M&A, in attesa di un'operazione "giusta e che fa fare un saldo dimensionale e cambiare il posizionamento competitivo". Come riportato dalle agenzie di stampa, infine Vandelli si è soffermato anche su Monte dei Paschi, affermando che l'istituto di credito di Siena non è la "size" per Bper e che non è alla loro portata, nonostante abbia effettuato un buon percorso di risanamento. Guida FISAC CGIL alla Previdenza 2015 Scarica la guida Guida Previdenza Fisac CGIL 2015