Una delle recenti notizie di cronaca che mi ha colpita negli ultimi giorni, riguarda l’uccisione della bimba siciliana per mano della madre.
Inutile dire quanto impietosa sia la narrazione della maggior parte dei media rispetto a questa vicenda e rispetto alla madre che ha compiuto questo figlicidio. In questo caso, però, la narrazione aderisce perfettamente con il sentimento di disprezzo e odio che la maggior parte delle persone ha provato rispetto a questo gesto che non ha trovato alcun attenuante nei titoli di giornale, nelle parole, espressioni e opinioni usate, cosa che non accade nei confronti, ad esempio, dei compagni o mariti che compiono un femminicidio che sono quasi sempre grandi lavoratori, uomini “normali”, miti, educati che, evidentemente, sono solpiti da raptus, troppo stess (o troppa noia), devastati dal troppo amore e dal dolore che provano nell’essere lasciati dalla “propria” donna.
Nei casi di figlicidio per mano delle madri la sentenza è sempre una: il mostro, la creatura immonda quasi fosse un mantra per puntare il dito e allontanare ciò che è altro da sé.
E allora la mia mente è tornata ad anni addietro quando con altre compagne e sorelle di strada, con il collettivo Me-Dea, si ragionava e ci si poneva delle domande per decostruire non solo la narrazione dei media ma e anche la maternità intesa come vincolo e santo privilegio delle donne per poi andare ancora un po più in là su chi sono e a chi/cosa servono i ‘mostri” nella nostra società.
Io qui mi limito a porre (e pormi) delle domande sulla maternità:
Quanto pesa sulle spalle delle donne che diventano madri la costruzione patriarcale della maternità?
Se i figli e le figlie sono la società futura di tutte e tutti noi, perchè nei primi anni la gestione è quasi sempre lasciata alle madri?
Perchè socialmente è accettata la maternità come questione esclusivamente privata? Come poter fare fronte alla reale solitudine delle donne che diventano madri ?
Perchè si accetta l’assenza delle madri alla vita pubblica, sociale, sindacale, lavorativa e accettando la relativa alienazione e isolamento?
Come poter decostruire il pregiudizio della totale, istintiva dedizione delle madri alla felicità delle figlie e dei figli, anche a discapito della propria?
Come sempre quello che a me interessa è fornire spunti, altri punti di vista per poter aprire delle riflessioni, confronti, per chi ne ha voglia, volti riflettere sulla maternità, condizione spesso ineluttabile, falsamente idealizzata come “vincolo naturale” ed “istinto” biologicamente non trascurabile.
Con questo intento propongo l’articolo uscito lo scorso 17 giugno sul Riformista di Lea Melandri femminista, attivista, giornalista e scrittrice storica del Movimento Femminista i cui scritti sono sempre lucidi, puntuali e le cui opere dovrebbero essere preziose per tutte noi.
Buona lettura.
Maria Falcitelli
_______________________________________
⇒ leggi l’articolo de “Il Riformista”