Femminile Plurale: Artificiale e Intelligente

L’iniziativa campana nasce dalla volontà di provare a rispondere al seguente interrogativo: a che punto siamo di quel processo di forte cambiamento, sul quale la pandemia ha agito da acceleratore di processi già in atto prima dell’emergenza sanitaria? Lo smart working e il suo largo utilizzo ne sono una prova. Questo cambiamento è trainato dall’adozione del digitale e dall’applicazione dell’intelligenza artificiale, che è interconnessa. La digitalizzazione sta fortemente trasformando l’organizzazione del lavoro, ridisegnando il lavoro, e con esso i diritti vecchi e nuovi.

È dunque fondamentale contrattare nuove tutele e immaginare spazi di contrattazione collettiva dedicati alle nuove figure professionali, che saranno il risultato sia di processi di riconversione e sia di nuove attività che nasceranno come effetto della digitalizzazione. Sarà necessario vigilare per evitare che le attività maggiormente automatizzate comportino l’uscita delle lavoratici e dei lavoratori dai cicli produttivi.

Questa esigenza è ancor più necessaria se osserviamo il processo da un punto di vista di genere. L’intelligenza artificiale sta trasformando un mondo del lavoro caratterizzato da forte disparità salariale tra uomini e donne. Il rischio da monitorare è che gli algoritmi vadano a rafforzare stereotipi e pregiudizi di genere. La tecnologia non è neutra. I sistemi operano in base a ciò che conoscono e rispecchiano quei principi, che purtroppo nel nostro Paese sono ancorati ad una cultura patriarcale, nonostante i grandi sforzi di emancipazione.

Partecipare al cambiamento è un atto doveroso per intervenire con i necessari correttivi, per evitare ricadute negative anche da un punto di vista democratico ed etico.   Anche perché le aziende sembrano pronte da tempo a giocare un ruolo attivo nel processo. A noi il compito di contrattare l’innovazione, affinché venga impiegata in maniera sostenibile per il lavoro. Un lavoro che possa valorizzare la “persona” senza discriminazioni.

Relazione Introduttiva di Carla Raimo

Quando con le compagne dell’Esecutivo Donne Fisac Campania e la Cgil Regionale abbiamo deciso di trattare questo argomento, così difficile sia da un punto di vista tecnico, che politico, lo abbiamo fatto perché spinte dalla consapevolezza di doverci porre un interrogativo ovvero chiederci a che punto fossimo di quel processo di forte cambiamento. Un cambiamento che sembra essere trainato dalla tecnologia, dalla digitalizzazione, le quali sembrano agire come se fossero delle variabili indipendenti.

Ho citato la pandemia e l’inevitabile impulso che ha dato all’evoluzione tecnologica e all’organizzazione del lavoro (penso allo smart working su cui torneremo inevitabilmente a fare una riflessione) con forti ricadute non soltanto sulla sfera privata, ma anche su quella pubblica e sul lavoro, e di conseguenza con ricadute anche su quelli che saranno i nuovi interrogativi che come sindacaliste e sindacalisti ci porremo.

È fuori discussione, lo abbiamo visto in passato, che i grandi cambiamenti sono sempre accompagnati anche da modifiche e/o necessità di ridefinizione dei diritti (vecchi e nuovi), per far sì che si sviluppino nuove forme di tutele soprattutto per quelle categorie più deboli (e penso alle donne, e non solo) che rischiano di essere allontanate dai cicli produttivi.

L’approccio è stato quello di volere cogliere la traiettoria del percorso del digitale, un percorso che in quanto precondizione per l’applicazione dell’AI, da un lato cambierà il mondo in tempi ancor più rapidi e dall’altro lo caratterizzerà. È doveroso analizzare la rivoluzione digitale in atto, e intervenire con i necessari correttivi per evitare ricadute negative anche da un punto di vista democratico ed etico.

L’intelligenza artificiale è la tecnologia più sfidante per l’essere umano; mette in discussione il suo primato, la capacità di ragionare, inventare, trovare soluzioni. A seconda di come sarà utilizzata potrebbe rivelarsi strumento di oppressione o di liberazione delle persone, nel mondo del lavoro, ma anche nella vita quotidiana.

Dunque, una maggiore consapevolezza dei processi che stanno ridisegnando il lavoro a diversi livelli, con al centro l’AI, può realmente renderci liberi di partecipare in modo attivo e consapevole in quei tavoli in cui si firmano accordi, rinnovi contrattuali, ovvero in quei tavoli in cui cerchiamo di tutelare al meglio le persone che rappresentiamo. Per questo abbiamo l’obbligo di

contrattare nuove tutele e immaginare spazi di contrattazione collettiva dedicati alle nuove figure professionali, impattate o che nasceranno come effetto di questa nuova rivoluzione digitale.

Perciò nel CCNL ABI è stata inclusa sia la regolamentazione del lavoro agile sia l’istituzione di un Comitato Bilaterale paritetico sull’impatto delle nuove tecnologie e della digitalizzazione con funzioni di cabina di regia.

Del resto, le nostre aziende si stanno rapidamente trasformando, sono già pronte, sono in una fase avanzata di attuazione, lo abbiamo visto con lo smart working, che è un prodotto della digitalizzazione ed elemento caratterizzante del forte cambiamento dell’organizzazione del lavoro. Abbiamo constatato lo stato di avanzamento del sopra citato cambiamento, leggendo i piani industriali dei principali Gruppi (penso ad Intesa, ad Unicredit e in generale al panorama bancario/assicurativo) nei quali si assiste in maniera chiara ad un forte investimento di risorse nel digitale.

Nel Gruppo ISP a fronte di una riduzione del numero di dipendenti in filiale e in Direzione Generale, si realizza una vera e propria migrazione verso il lavoro in banca digitale, si utilizzano leve digitali anche su figure commerciali e si investe, più delle altre realtà, in riconversione del personale verso banca digitale e presidi tecnologici; ma anche in altri Gruppi, dove non si osservano dei veri e propri focus sul tema della digitalizzazione, le nuove assunzioni vengono fatte per lo più in area digitale. Ma andiamo per gradi.

Le tecnologie digitali vengono considerate uno straordinario strumento per accelerare il raggiungimento di obiettivi di sviluppo. L’impiego degli algoritmi di AI in moltissimi ambiti della nostra vita non è recente, ma oggi è connotato da una maggiore velocità e pervasività. La crescita delle capacità computazionali, di elaborazione dei dati e lettura di essi sta determinando cambiamenti di grande portata. Le informazioni che riceviamo sono così tante da essere difficilmente elaborate; per questo deleghiamo il compito ad una macchina logica, ma senza coscienza.

Questo punto ci fa subito cogliere un aspetto ovvero che l’AI sia molto più di una tecnologia, che sia bensì una disciplina, che coniuga il contributo di molte scienze, con l’irresistibile fascino derivante dalla sua analogia con l’intelligenza umana. Ma questo prevede un timore, ovvero che una AI possa sostituirsi all’uomo, soprattutto in termini occupazionali, rendendo obsolete

quelle mansioni che attualmente vedono impegnati gli esseri umani nel mercato del lavoro.

Questa visione che proietta al tempo stesso luci e ombre dovrà essere regolamentata prima che la AI evolva esclusivamente verso una direzione speculativa, che ben difficilmente coinciderebbe con il benessere e lo sviluppo della nostra società, finendo piuttosto per accentuare quegli squilibri sempre più frequenti nei nostri giorni, basti pensare alle conseguenze della pandemia Covid-19, alle discriminazioni di genere.

Anche perché l’intelligenza artificiale rappresenta qualcosa di già ampiamente in uso e al tempo stesso ancora tutta da scoprire e da applicare, con tutti i pro e i contro del caso, che derivano dal modo in cui decideremo di implementare le sue tecnologie. I tempi per la considerazione dell’intelligenza artificiale non possono essere ulteriormente differiti. È necessario prendere atto dei suoi sviluppi, per renderci conto di come il suo crescente ruolo nell’innovazione stia già contribuendo a cambiare per sempre il nostro modo di comunicare, di lavorare, di vivere.

Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, con il suo bagaglio di algoritmi, applicazioni, è soltanto all’inizio. E promette di rivoluzionare il mondo dei servizi, dell’industria e in generale il mondo del lavoro (nelle banche il processo è ad uno stato avanzato). Qualcuno ha scritto che “quello che noi vediamo sono soltanto i primi passi e siamo ben lontani da qualsiasi forma di maturità” del processo. Già da queste semplici parole emerge che la sensazione che si prova quando da “inesperti” ci si interroga su cosa sia l’AI, (e dunque del perché iniziare a parlarne oggi) è che, come dicevo all’inizio si tratti di molto di più di una tecnologia. E se da un lato si è istintivamente trascinati in maniera positiva dalle sue potenzialità, il rovescio della medaglia prevede il timore causato da una possibile sostituzione all’uomo da parte dell’intelligenza artificiale e questo soprattutto da un punto di vista occupazionale. Da qui l’interrogativo ovvero se dobbiamo considerare questa tecnologia come un supporto all’intelligenza umana o è qualcosa di più?

L’approccio dovrebbe partire da una consapevolezza e/o certezza ovvero dal fatto che il cervello umano sia di gran lunga la macchina più straordinaria che sia mai stata concepita nell’universo a noi conosciuto.

Nel 2019 l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha effettuato un’ampia analisi dei cambiamenti

antropologici e sociologici legati agli scenari futuri di fronte al ruolo crescente dell’AI nei processi produttivi.

Il cambiamento tecnologico che sta, come già accennato, modificando i tempi, le condizioni e la natura stessa del lavoro, ha dunque un forte impatto sull’occupazione non soltanto in termini di quantità di posti di lavoro ma anche rispetto alla composizione degli stessi. A beneficiare delle nuove tecnologie sono coloro i quali svolgono mansioni più qualificate, mentre quelli mediamente qualificati sono sempre più automatizzati.

Alcune ricerche a livello mondiale evidenziano che i lavori meno qualificati sono anche quelli più sindacalizzati. E questo è un altro dato su cui riflettere rispetto all’esistenza stessa del Sindacato. Questo porta un’ulteriore polarizzazione della forza lavoro, ampliando le disuguaglianze salariali e quindi anche di genere (le donne guadagnano meno degli uomini, questo è ahimè un dato oggettivo non c’è tecnologia che regga o che possa smentirmi, purtroppo).

Ma quale è il quadro preciso della sfida che si pone per il mondo del lavoro?

Perché anche da un punto di vista temporale si stima, e a dirlo sono 350 esperti di IA guidati dell’Università di Oxford, che in alcune attività come la traduzione delle lingue (dell’anno 2024) o come la guida di un camion (nel 2027) l’AI supererà le prestazioni degli esseri umani. Sono sfide enormi quelle che ci troveremo ad affrontare e sicuramente pensare che la soluzione sia un ritorno al passato non ci porterà da nessuna parte.

Il tema deve diventare un altro ovvero intendere la tecnologia non come un’entità che ci toglie lavoro, ma piuttosto come un qualcosa che richieda maggiori skills e competenze. Per funzionare le nuove tecnologie hanno sempre bisogno di uomini e donne che le sappiano non solo utilizzare ma anche inventare e gestire. Dunque, il problema della carenza di formazione deve diventare un argomento centrale nel dibattito non soltanto italiano ma Europeo.

Il G7 ed il G20 hanno assunto degli impegni in tal senso, anche se inevitabilmente l’esigenza di dare risposte alla crisi sanitaria globale, ha finito per condizionare l’agenda, rallentando le riflessioni più avanzate.

Alla “STRATEGIA EUROPEA in materia di AI” del 2018, si sono unite le linee guida varate dall’Unione Europea, per garantire un impiego dell’AI e la sua espansione,

attraverso tre requisiti fondamentali: essere legale – essere etica – essere solida.

L’etica insomma deve essere il pilastro per consentire una competitività responsabile attraverso:

  • supervisione umana,
  • trasparenza,
  • benessere sociale e ambientale,
  • privacy dei dati,
  • diversità, assenza di discriminazione ed equità.

Ed è su questi ultimi punti che mi soffermerò avviandomi alle conclusioni, privacy e diversità.

Gli algoritmi ricevono un’enorme quantità di dati, che vengono scambiati secondo modalità che possono essere non trasparenti, e alcuni di essi riguardano informazioni sensibili. Inoltre, riguardo alla definizione e alla condivisione degli obiettivi, l’AI consente un monitoraggio molto puntuale e in alcuni casi può spingere verso un impiego individuale incrementando il carico di lavoro in modo eccessivo o definire obiettivi difficilmente conseguibili.

Senza un analogo monitoraggio sul benessere delle persone, l’aumento di carico diviene devastante per le lavoratrici e per i lavoratori.

In ultimo una responsabile tutela della sfera privata e della sicurezza dei dati, è un tema di forte interesse per le aziende, soprattutto quelle di servizi o per le banche anche, perché connesso all’altro tema ovvero ai rischi giuridici e ai possibili danni di reputazione, che un utilizzo distorto dei dati segnatamente all’AI potrebbe arrecargli.

Se una cosa è certa, ovvero che l’Intelligenza Artificiale sta già da alcuni anni trasformando profondamente il lavoro, in un mercato del lavoro caratterizzato da una forte disparità salariale tra uomini e donne, il rischio è che gli algoritmi e i sistemi di AI vadano a rafforzare e diffondere stereotipi e pregiudizi di genere che rischiano di emarginare le donne su scala globale.

Come spiega il rapporto 2019 dell’UNESCO, questi pregiudizi sono radicati in forti squilibri di genere nell’educazione alle competenze digitali e sono il riflesso di squilibri di genere dei team tecnici che sviluppano tecnologie AI.

In brevissima sintesi: coloro che lavorano allo sviluppo di algoritmi e di sistemi di artificial intelligence, sono in prevalenza uomini. Così come sono in prevalenza uomini i CEO delle aziende di AI.

L’intelligenza artificiale rischia di avere un impatto negativo sull’emancipazione economica femminile. Le donne – rispetto agli uomini – corrono un rischio significativamente più elevato di vedere ridimensionate

le proprie mansioni in azienda o, addirittura, e rischiano di più di perdere il posto di lavoro a causa dell’automazione delle procedure e dell’operatività.

La maggior parte di coloro che svolgono lavori in cui la macchina, il calcolatore, il sistema AI stanno progressivamente prendendo il posto dell’essere umano, ricoprono ruoli amministrativi, nella contabilità o come cassieri, dove le donne sono, ad oggi, in netta maggioranza.

Per integrare efficacemente l’uguaglianza di genere nei principi dell’AI, è fondamentale intervenire sul “sistema” per colmare le lacune esistenti. In che modo? Prevedendo la partecipazione – nei processi di formulazione dei principi dell’intelligenza artificiale, della loro continua interpretazione, applicazione e monitoraggio – di più donne e di esperti in materia di parità.

Ma non solo. Oltre ad aggiungere semplicemente “donne” come gruppo target, è necessario integrare nei processi AI la “cultura della donna” e iniziare a considerare l’uguaglianza di genere come un modo di pensare, una lente, un’etica e una costante.

E in questo processo il sistema educativo di ogni Paese gioca un ruolo decisivo. Deve essere in grado di definire programmi di istruzione che integrino in maniera più puntuale le scienze sociali interdisciplinari, l’etica e l’alfabetizzazione tecnologica, a livello di istruzione secondaria e terziaria.

E l’alfabetizzazione digitale deve poter, in generale, includere l’intelligenza artificiale – con attenzione agli impatti sulle donne – e, in particolare, promuovere l’accesso e la capacità di utilizzo dell’intelligenza artificiale da parte delle donne.

Promuovere la scelta di percorsi di studio STEM, affinché le ragazze possano avere le stesse opportunità e competenze dei ragazzi, per potere partecipare alle sfide future.

L’Italia è infatti per tanti aspetti considerata in fanalino di coda, ma non in questo caso in quanto ha una percentuale di donne attive nelle discipline STEM del 30%, più di Paesi come il Canada o la Germania. Ma c’è un ma ovvero quello che si può definire il PARADOSSO DELLA PARITA’ DI GENERE per il quale più un Paese è poco sensibile alle questioni di genere più ci sono donne dedite ad attività ingegneristiche per esempio.

Sintetizzando, l’AI si basa e agisce su stimoli umani: le tecnologie operano in base a ciò che conoscono. Ma se i contenuti da apprendere sono scelti da uomini bianchi di mezza età, il risultato non sarà mai rappresentativo

della diversità e della complessità del mondo, ma riprodurrà stereotipi e diseguaglianze.

È dunque necessario avere cura della digitalizzazione, che la GENDER DIVERSITY abiliti una valorizzazione dei talenti e massimizzi il potenziale che l’AI offre ed offrirà nei prossimi anni. Allo stato in cui siamo possiamo dire che la tecnologia non è neutra, perché neutro non è neanche il mondo del lavoro.

Il nostro Paese indubbiamente paga lo scotto di una cultura ancora troppo patriarcale, nonostante i grandi sforzi che stiamo cercando di praticare.

Soltanto comprendendo le differenze, integrandole e creando le opportune sinergie si potrà agevolare quel processo di alfabetizzazione digitale improntato a principi riconducibili ad una società priva di discriminazioni di genere.

Seguendo questa traiettoria potremo come CGIL perseguire l’obiettivo di “contrattare l’innovazione”, affinché venga impiegata in maniera sostenibile per il lavoro, un lavoro che deve valorizzare la persona umana. senza discriminazioni di genere.

Intervento dell’Esecutivo Donne Nazionale

L’intelligenza artificiale può comportare enormi vantaggi per l’umanità e contribuire in modo determinante al suo benessere (per esempio pensiamo agli effetti delle tecnologie biomedicali). Di fatto è già entrata nelle nostre vite e le sta già trasformando, ma siamo ancora solo agli esordi: è destinata a cambiare il nostro mondo in modo sempre più radicale.

Questa trasformazione si svolge sotto l’egida del progresso e nondimeno comporta dei rischi, di cui dobbiamo essere consapevoli. Dobbiamo evitare di rimanere vittime dei pericoli insiti nella trasformazione digitale in atto, progettando e realizzando azioni strategiche e di prospettiva.

In questa fase di trasformazione il sindacato deve essere un agente contrattuale forte e produrre norme a tutela delle persone, per garantire che l’utilizzo sempre più pervasivo dell’intelligenza artificiale si traduca davvero in benessere per tutte e tutti, sia al servizio dell’umanità intera e non dominato in modo esclusivo da logiche di profitto.

Si tratta quindi di una sfida epocale, il cui risultato non è per nulla scontato, anzi, quello che abbiamo davanti agli occhi non ci rassicura affatto: aumentano infatti le

disuguaglianze, aumentano le condizioni di povertà, di conseguenza aumentano disagio sociale e vissuti di violenza.

I report dell’UNESCO (2019 e 2020) costituiscono un inevitabile supporto della nostra analisi di Esecutivo Donne e crediamo che le linee guida proposte per superare i divari di genere debbano essere assunte e adottate dalla nostra organizzazione nella propria interezza come base di partenza per la contrattazione ad ogni livello.

Lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale avrà un impatto imponente sul mercato del lavoro: in Europa il 22% della attività lavorative sarà automatizzato entro il 2030. Di conseguenza, soltanto in Europa potrebbero dileguarsi 53 milioni di posti di lavoro.

L’impatto sarà diversificato nei diversi settori lavorativi e rischia di penalizzare in particolare le donne, che con più frequenza svolgono lavori considerati di minore contenuto professionale o riconosciuti come meno qualificati e quindi più soggetti ad automazione.

Il nostro settore è interessato da tempo da processi di digitalizzazione, che più in generale stanno investendo i lavori amministrativi (i classici lavori di ufficio) dove la presenza femminile è piuttosto elevata (paritaria nelle banche e prevalente nelle assicurazioni), ma l’automazione impatterà in modo radicale anche su altri settori a vocazione femminile, come l’industria tessile e i servizi sanitari, dove colpirà soprattutto i ruoli di supporto, infermieristici e ausiliari.

Di fronte a questo scenario, il sindacato deve contrattare in via prioritaria nuovi orari di lavoro, liberando tempo per la vita personale e familiare.

Il tempo liberato deve essere equamente distribuito a favore di entrambi i generi, al contrario di quanto è accaduto finora (riferimento alle indagini sul lavoro da remoto e alla diversa destinazione del tempo liberato: tempo per sé per gli uomini e tempo per la cura per le donne). Senza contare che anche le attività di cura, svolte in famiglia, potrebbero risultare alleggerite da un uso etico dell’automazione intesa come servizio alle persone.

Oltre agli orari di lavoro, un altro campo d’azione sindacale da esercitare con cura riguarda la formazione alla digitalizzazione.

In particolare, dovremmo rivolgere un’attenzione specifica alle lavoratrici, in primo luogo perché le lavoratrici allo stato attuale fruiscono di minore formazione rispetto ai loro colleghi, per una serie di ragioni, che non abbiamo qui il tempo di approfondire (part-time, focalizzazione sui risultati, formazione come premio ecc.). Inoltre, le lavoratrici rischiano di diventare in prevalenza vittime dei processi di digitalizzazione invece di beneficiarne, perché non li governano e tendono a percepirsi meno abili a sviluppare competenze digitali (minore propensione al rischio, maggiore senso di inadeguatezza, minore tempo per sperimentare ecc.).

Nel nostro settore la formazione è in buona parte gestita dai Fondi Paritetici e questo ci permette di giocare un ruolo di agenti attivi, concordando il finanziamento soltanto quando il percorso formativo proposto risponde a criteri oggettivi di parità di genere nell’accesso, nei tempi e nelle modalità di erogazione.

Oggi più che mai il ruolo del sindacato nella formazione finanziata deve essere finalizzato a garantire la piena occupabilità delle persone che lavorano e non semplicemente l’aggiornamento delle competenze alla realtà lavorativa specifica né tantomeno alle procedure aziendali. Siamo infatti di fronte alla necessità di riqualificare le persone e riconvertire le attività lavorative.

Con l’avvento dell’intelligenza artificiale in effetti i posti di lavoro non evaporano, ma si trasformano, cambiano natura e si aprono nuovi campi di attività, dove progettare, sviluppare, gestire sistemi intelligenti. E queste sono attività che le donne possono svolgere tranquillamente, se dotate delle necessarie competenze, al contrario di quanto ci insegna lo stereotipo dell’informatico.

A questo proposito ci preme ricordare che l’informatica nasce femmina: negli anni ’50 le donne sono infatti

considerate le migliori programmatrici, perché precise e scrupolose, ma il ruolo che hanno giocato come protagoniste nella fase iniziale viene poi sistematicamente cancellato dalla storia.

Un esempio emblematico di questa operazione di revisione e di falsificazione è il caso delle programmatrici ENIAC, che calcolavano la balistica dei proiettili durante la II guerra mondiale, di cui si perdono le tracce. Vengono riscoperte soltanto negli anni ’80 dall’avvocata Ketty Kleiman, attivista per i diritti digitali, grazie ad una foto d’archivio. Le ragazze ritratte nella foto non sono delle modelle, ma le prime programmatrici della storia, che ricevono   la fama meritata soltanto in tarda età, quando la loro storia diventa la trama di un film documento, The computers.

È molto importante recuperare queste verità storiche, per dare alle giovani donne dei modelli e una diversa prospettiva, per cercare di decostruire il pregiudizio che vede lo studio dell’informatica come una cosa da uomini e che ostacola le giovani a intraprendere lo studio di questa materia, così come più in generale delle STEM.

Lo stereotipo dell’informatico come nerd – stereotipo esclude le donne, ma danneggia anche gli uomini – nasce nell’immaginario collettivo quando l’informatica entra nelle case con l’invenzione e la diffusione del personal computer, un gioco da maschi.

Come spesso accade, anche qui l’educazione svolge un ruolo ineludibile nel radicamento degli stereotipi di genere e di conseguenza è importante che il sindacato contratti la formazione permanente anche per tutto il personale della scuola, per evitare che ragazzi e ragazzi siano indirizzati verso percorsi scolastici determinati da questi pregiudizi, ostacolando così il libero sviluppo delle loro potenzialità e sensibilità.

Si potrebbe ingenuamente pensare che l’introduzione dell’intelligenza artificiale, sia destinata a liberare l’umanità dagli errori e dai pregiudizi, in quanto dovrebbe fondarsi sull’oggettività dei dati. Questa purtroppo è pura illusione, perché i dati non sono mai neutri, al contrario noi introduciamo nel sistema i nostri errori e pregiudizi umani – volontari o involontari che siano – e così il programma impara a discriminare.

Le tecniche di apprendimento automatico, machine learning, che caratterizzano l’intelligenza artificiale, si basano infatti sull’acquisizione di una grande quantità di dati, big data, da cui la macchina intelligente estrae informazioni, decisioni o raccomandazioni, in base a criteri di somiglianza, diffusione, integrazione con l’ambiente.

Con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, gli stereotipi già presenti nella nostra cultura rischiano quindi di duplicarsi e rafforzarsi ulteriormente. I bias sono infatti dei pregiudizi computazionali, che portano un programma a discriminare, producendo danni di allocazione e/o danni di rappresentazione.

Un esempio di danno di allocazione è dato da selezioni del personale in cui curricula identici sono valutati in modo differente in base all’identificazione del candidato o della candidata tramite il nome. Un esempio tipico nel nostro settore riguarda l’erogazione dei prestiti finanziari, elargiti più di frequente alla clientela maschile, anche se la clientela femminile presenta maggiori indici di solvibilità.

Un esempio di danno da rappresentazione è dato dal fatto che quasi tutti gli assistenti vocali sono

caratterizzati da voci e “personalità” femminili e anche questo fatto non è privo di significati né di conseguenze. (Per inciso, ricordiamo che in risposta a un linguaggio sessista o molesto, l’assistente vocale a volte risponde confessando di arrossire).

Le stesse considerazioni (sessiste e/o razziali) governano le estrazioni effettuate tramite i motori di ricerca su internet. L’unico antidoto a riprodurre tali discriminazioni in modo speculare dalla dimensione reale a quella virtuale è garantire l’accesso e il monitoraggio delle tecnologie di intelligenza artificiale ad un campione largamente rappresentativo della popolazione mondiale, includendo genere, etnie e percorsi professionali molto diversificati.

In conclusione, rivolgiamo una provocazione alle Università di Napoli e di Cassino, di cui abbiamo qui dei pregevoli e competenti esponenti. Le invitiamo a fare come in CGIL, che 25 anni fa ha adottato la norma antidiscriminatoria, per forzare il percorso verso una rappresentanza paritaria.

La trasparenza degli incarichi, adottata dall’Università Federico II di Napoli, è una condizione necessaria, ma non sufficiente per realizzare la parità di genere. Dall’elenco presente sul sito deduciamo che nel DIETI lavora una docente (o una ricercatrice?) su 10. Per l’università di Cassino non siamo riuscite nemmeno a reperire il dato, e già solo questo fatto non sembra deporre a favore di un’attenzione mirata a garantire un’equa rappresentanza di genere.

Senza questo salto di qualità, l’intelligenza artificiale sarà sempre miope e parziale. Continuerà a rispecchiare soltanto una delle due facce della realtà, quella maschile, e forse non riuscirà mai a cogliere quelle connessioni inspiegabili e nascoste nei big data, che l’intuito femminile sa scovare, senza sapere come, grazie ad ardite connessioni neuronali tra i due emisferi.

scarica Femminile Plurale 1/2022

Was this article helpful?
YesNo

    Questo articolo ti è stato utile No

    Pulsante per tornare all'inizio
    error: Content is protected !!