Antiriciclaggio: le criptovalute, uno studio

Le Criptovalute sono un sistema di pagamento digitale in cui un Ente od una Banca Centrale non ne ha il controllo, l’emissione e l’utilizzo. Una rivoluzione delle transazioni, che permette di scambiare valore ed investire, senza che vi sia contatto fisico, ma, diversamente dai bonifici, dalle carte di credito o da altri sistemi di pagamento,ciò  non implica il pagamento di servizi, ma liberalizza le transazioni e lo scambio di valori in modo concreto e fruibile, tanto che oramai si contano migliaia di cripto valute, anche se sono solo una trentina le più utilizzate, che sono completamente affidate agli utilizzatori, che semplicemente con uno smartphone ed una rete peer to peer dialogano, scambiano e trasferiscono.

La Normativa italiana è all’avanguardia europea in quanto per prima a livello comunitario, in occasione della legiferazione di recepimento della Normativa antiriciclaggio Dlgs. n. 231/07, ha introdotto una definizione di crypto asset in quanto tali particolari forme di valore digitale vengono spesso ricollegate a sofisticati ed innovativi fenomeni di riciclaggio di denaro.

Il Legislatore comunitario con la Direttiva Ue 2018/843 Parlamento Europeo e Consiglio Europeo 30.5.18, modificante Direttiva Ue 2015/849 Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio modifica alle Direttive 2009/138/Ce-2013/36/Ue, ha affrontato in modo chiaro la pericolosità dell’utilizzo delle valute virtuali per scopi illegali.

I Prestatori di servizi, la cui attività consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali in valute aventi corso legale ed i Prestatori di servizi di portafoglio digitale, beneficiavano di un vuoto normativo, che non li obbligava ad adempiere agli obblighi di adeguata verifica, individuazione del titolare effettivo e segnalazione di operazioni sospette. La priorità del Legislatore era ed è la possibilità di fruire delle transazioni digitali che mantengono uno pseudo anonimato, che potenzialmente consente un uso illegale della piattaforma anche, se, il legiferare in tal senso con l’inclusione dei Prestatori di servizi e dei Prestatori di servizi di portafoglio digitale, non risolverà il problema dell’anonimato delle operazioni in valuta virtuale, che sarà sempre possibile fintanto che globalmente non vengano attuate le medesime politiche. Le operazioni illecite sicuramente non ricorreranno ad exchange cripto trasparenti, gran parte dell’ambiente delle valute virtuali rimarrà probabilmente caratterizzato dall’anonimato.

Per provare a superare questi rischi legati all’anonimato è necessario un sistema che monitori ed associ gli indirizzi delle valute virtuali all’identità del proprietario di tale valuta, stimolando l’utenza ad auto-dichiarazione su base volontaria in fase di registrazione,associata per gli Exchange, ad una ferrea attuazione Kyc ovvero sia Know your customer

Il Legislatore italiano ha con il Dlgs.125 4.10.19 attuativo V Direttiva antiriciclaggio Ue 2018/843 Dlgs.231/2007  attuato ulteriori misure rivolte a fronteggiare fenomeni di riciclaggio connessi all’impiego di valute virtuali.

Si è inteso, dunque, ampliare la definizione di valuta virtuale di cui all’art. 1 comma 2 lett qq Dlgs. 231/2007, includendo anche la finalità di investimento, nella definizione di valuta virtuale. Mentre nella definizione all’art. 1 comma 2 lett. ff) d.lgs. 231/2007 nelle attività di cambiavalute vi si ricomprende anche i servizi di conversione, ovvero l’ipotesi di conversione in altre valute virtuali, e nella lettera ff-bis si vanno ad definire i Prestatori di servizi di portafoglio digitale.

La figura dell’Exchange e dei Prestatori di servizi di portafoglio digitale wallet provider sono inseriti nella lista degli Operatori non finanziari ai sensi del comma 5 art. 3 Dlgs.231/07 lett. i-i-bis che quindi li si definisce  veri broker che gestiscono un portafoglio virtuale per conto terzi. Tali figure professionali risultano parificate ai tradizionali cambiavalute e pertanto, quali soggetti di disposizioni antiriciclaggio, tenuti all’iscrizione in una sezione speciale del registro tenuto dall’Organismo degli Agenti e dei Mediatori  ai sensi art. 128-undecies Testo Unico Bancario.

Visto l’interesse, stante una offerta esponenziale di piattaforme digitali di trading di investimento in crypto assets, è necessario farli rientrare nella categoria di strumenti o prodotti finanziari, e gli Exchange e i wallet providers devono essere destinatari degli obblighi inerenti alla normativa antiriciclaggio.

Dato il molteplice utilizzo delle criptovalute, investimento, valuta e bene riserva di valore, per poter determinare quando un acquisto di cripto valute è un investimento finanziario, come principio si deve verificare se l’operazione di cryptocurrency Exchange è effettuata per poi essere riconvertita in moneta legale e quindi finalizzata a conseguirne un profitto; in questo caso la transazione assume i canoni di investimento finanziario, ancorché atipico.

Il primo provvedimento che si rinviene nel nostro panorama nazionale è la sentenza del Tribunale Civile di Verona che con la pronuncia n. 195 del 24.1.17 ha definito la criptovaluta come uno strumento finanziario utilizzato per compiere una serie di particolari forme di transazioni online.

Il servizio offerto dal promoter è stato qualificato come attività professionale di prestazione di servizi a titolo oneroso svolta in favore dei consumatori. Il contratto che ne deriva, quindi, deve informare a dovere i contraenti.

Pur essendo solo un promoter della Piattaforma di scambio di valuta virtuale, la Società coinvolta assume, quindi, il ruolo di Fornitore: si tratta di una persona fisica o giuridica, soggetto pubblico o privato, che nell’ambito delle proprie attività commerciali o professionali, è fornitore contrattuale di servizi finanziari oggetto di contratti a distanza art. 67-ter, lett. c, il quale, attraverso un contratto a distanza che abbia per oggetto un servizio finanziario art. 67-ter, lett. a collochi tra il pubblico dei consumatori valute virtuali cfr. Codice del Consumo, sezione IV-bis: Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori.

Il Soggetto che eroga tali servizi è tenuto, da norma, ad un innalzamento degli obblighi informativi nei confronti del Consumatore. La Piattaforma di investimenti online, anche sul fornitore (o promoter) del servizio ha obbligo di far comprendere nel dettaglio i contenuti dell’operazione economico-contrattuale, così da far maturare nell’Investitore cliente una scelta negoziale meditata art. 67-quater, Codice del Consumo.

Tali obblighi informativi non son solo forma ma anche sostanza in un mercato particolarmente incerto come quello delle cripto valute. Per il Consumatore si hanno forti rischi in quanto non consapevole su cosa stia investendo: acquisto di valuta virtuale, prodotto finanziario collegato od obbligazioni/azioni di una partecipazione sociale in una Società?

Le recenti pronunce che definiscono produttrici di valore le operazioni che generano materia imponibile diventano rilevanti ai sensi dell’art. 67 del Tuir, quando, in forza della natura delle operazioni poste in essere mediante detti valori, laddove e nella misura in cui detto utilizzo generi materia imponibile. Una sorta di atipico capital gain laddove l’acquisto e la successiva vendita ad un prezzo maggiorato comporti un profitto per l’utente e come tale soggetto ad imposizione fiscale.

La Giurisprudenza pronuncia Cassazione penale sez. II – 17/09/2020, n. 26807 stabilisce che quando la vendita di bitcoin è reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, con l’ausilio di pubblicità su appositi siti ove si danno così informazioni ai risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all’iniziativa, affermando ad esempio guadagni favolosi che “chi ha scommesso in bitcoin in due anni ha guadagnato più del 97%”», allora si deve ritenere che «la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento»; per tali ragioni, dunque, si tratterebbe «di attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti Tuf, la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166, comma 1, lett. c) Tuf. È chiaro che vi è un cambiamento che rivela opportunità e rischi. L’Europa, è il più grande mercato globale delle criptovalute con il 25% sul valore ricevuto. La tecnologia dei registri distribuiti, la cosiddetta  blockchain  cambia Società,  rapporti e  scambi tra le persone, compreso il mondo della Finanza.

Il Governatore di Bankitalia, ha evidenzia forti pericoli per gli Investitori ed in prospettiva implicazioni di rilievo per la stabilità finanziaria. Entro il 2030 è atteso l’abbandono dell’uso del contante e inoltre, le criptovalute rappresenteranno a breve il 10% delle transazioni totali. Le criptovalute hanno lo scorso anno capitalizzato nel mercato 2.500mld di dollari, ed in Europa occidentale il comparto crypto nel 2021 è arrivato a 46,3mld di scambi solo da Investitori istituzionali.

E’ importante, quindi, che la Normativa Antiriciclaggio abbia abbracciato tutti i Prestatori di servizi sia relativi all’utilizzo di valuta virtuale sia di portafoglio virtuale rendendoli dei presidi antiriciclaggio e quindi obbligati a segnalare eventuali operazioni sospette. Inoltre entro il 18 maggio sarà funzionante la Sezione speciale del Registro dei Cambiavalute tenuto dall’Oam al quale dovranno iscriversi i Prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di servizi di portafoglio digitale che operano nel nostro Paese.

L’Oam fornirà, su richiesta, ogni informazione e documentazione detenuta alla luce della gestione della Sezione speciale del Registro a tutti i Soggetti istituzionali impegnati nella lotta al riciclaggio. I dati che potranno essere richiesti sono quelli relativi alle operazioni effettuate dai Soggetti iscritti sul territorio della Repubblica italiana: dati identificativi del cliente, dati sintetici relativi all’operatività complessiva di ciascun prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali e prestatore di servizi di portafoglio digitale per singolo cliente.

L’esperienza di vigilanza, fa emergere alcune metodologie di truffa con comportamenti ricorrenti. La modalità per raggiungere il potenziale investitore implicano ormai quasi sempre tecniche di marketing molto aggressive, come mail, chat, social network, oltre tradizionali telefonate. I Soggetti abusivi sono spesso Società fittizie che dichiarano di avere sede in paesi Extra-europei o che, se apparentemente localizzate in Ue, sono di fatto irreperibili.

Le attività proposte al Consumatore riguardano spesso servizi di Trading su piattaforme web e strumenti finanziari di complessa comprensione, come derivati con sottostanti cripto-valute. I prodotti offerti abusivamente sono sempre più atipici e legati al mondo delle cripto-attività, ambito nel quale è possibile subire perdite integrali del proprio investimento. Lo schema truffaldino è molto spesso riconducibile a noti schemi  che assicurano alti rendimenti ai primi clienti, con l’illusione di guadagno per attrarre ulteriori clienti che subiranno perdite pesanti nel momento in cui la catena di interrompe. In più agli Investitori viene spesso prospettato un ulteriore guadagno per il procacciamento di ulteriori clienti. Questi ultimi schemi configurano pratiche commerciali scorrette che la Consob segnala all’Autorità Antitrust.

Il Direttore Generale Bankitalia avverte la necessità di una maggiore educazione finanziaria: “Secondo le rilevazioni mirate della Consob la conoscenza delle cripto-valute e di alcuni servizi digitalizzati è poco diffusa. La quota di investitori che afferma di averne almeno sentito parlare oscilla tra il 19% per la consulenza automatizzata e il 39% per le cripto-valute“.

 

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