Donne di tutto il mondo: l’agenda 2030 e le donne

La recente pubblicazione di “Progress on the Sustainable Development Goals: The gender snapshot 2021” a cura di UN Women, letta insieme al report “Turning promises into action” del 2018, ci offre l’occasione per verificare come le donne e il percorso verso la parità di genere si intersechino con l’Agenda 2030 e i suoi 17 Sustainable Development Goals (SDGs).

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un documento programmatico approvato nel 2015 dall’Assemblea Generale degli stati membri dell’ONU, che ha così lanciato un programma ambizioso definendo gli obiettivi da realizzare nei successivi 15 anni. La finalità dell’Agenda 2030 è di garantire il progresso economico del pianeta e dei popolisenza compromettere le risorse ambientali per le generazioni future, riducendo disparità e ingiustizie. I macro-scopi del programma sono eradicare la povertà e la fame, a livello globale, e bloccare il cambiamento climatico.

I 17 obiettivi globali (SDGs), dalla portata più che ampia, sono articolati in 169 traguardi (target) da raggiungere. Alcuni traguardi sono chiaramente definiti e possono essere monitorati, mentre altri rischiano di rimanere soltanto virtuose indicazioni, se governi e istituzioni non si impegnano a specificarli meglio, rendendoli misurabili e comparabili. Per consentirne il monitoraggio, nel 2017 l’ONU ha approvato un set di 231 indicatori, in aggiunta ai quali i singoli governi devono dotarsi di ulteriori indicatori nazionali.

Gli Obiettivi Globali impegnano idealmente tutti i governi e possono ricevere l’adesione anche di istituzioni, aziende e singoli cittadini. Tuttavia l’adesione ad Agenda 2030 non è un obbligo vincolante.

Negli ultimi anni l’ONU ed una lunga serie di agenzie pubbliche e private hanno sviluppato strumenti di reportistica e monitoraggio periodico degli Obiettivi Globali, anche con specifici target di lettura.

Agli SDGs Reports e SDGs Progress reports annuali, globali e per paese, si affiancano infatti i Gender Snapshots, “istantanee” che riportano gli aggregati principali riportati in forma schematica, con cadenza annuale, relativamente agli indicatori connotati per genere.

Lo slogan che accompagna le iniziative di Agenda 2030 è “leave no one behind”, “nessuno escluso”, motto eloquente del documento programmatico, per dire che lo sviluppo auspicato dovrà portare beneficio a tutte le aree geografiche e a tutti gli esseri umani. In questo senso assume una particolare importanza valutare i progressi dell’Agenda in ottica di genere, perché un modello di sviluppo che non riduce le disparità di genere non è di fatto sostenibile e non può portare a un reale progresso.

UN Women, è un’ente dell’ONU, nato nel 2010 dalla fusione di varie agenzie preesistenti e dotata di risorse potenziate, con lo scopo di promuovere la parità di genere e l’empowerment femminile, e supportare gli stati membri nel garantire alle donne la massima partecipazione alla vita politica, sociale ed economica, fornendo supporto tecnico e finanziario.

Uno dei suoi obiettivi dichiarati è quello di promuovere il pieno raggiungimento degli obiettivi globali per donne e ragazze, supportando policy makers e società civile nella definizione di leggi, politiche e programmi tesi al raggiungimento degli standard in modo da portare effettivo beneficio alle donne di tutto il mondo.

Il report di UN Women, “Turning promises into action: gender equality in the 2030 Agenda for Sustainable Development”, corredato dalla reportistica annuale “Progress on the Sustainable Development Goals: The gender snapshot 2021”, che raccoglie i dati successivi e conseguenti all’arrivo del Covid-19, vuole favorire il monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030 in ottica di genere, evidenziando gli squilibri presenti e fornendo indicazioni su carenze e gap da colmare.

“Turning promises into action”, pubblicato nel 2018, riporta un quadro già critico nella fase pre-pandemica.

Nella presentazione del report, UN Women indicava che, se non fossero state attuate correzioni e accelerazioni sulle politiche in atto, non sarebbe stato possibile centrare gli obiettivi di Agenda 2030 per le donne. Il gender pay gap a livello globale si attestava ancora al 23%.

Una delle problematiche evidenziate è l’interconnessione di più dimensioni al benessere o alla povertà. Ad esempio, una ragazza nata in condizioni di povertà e costretta a un matrimonio precoce, ha un’alta possibilità di abbandonare la scuola, avere figli in giovane età, soffrire di complicanze durante il parto e subire violenze, rispetto ad una ragazza che nasca in un contesto di maggior benessere e si sposi più tardi. Gli SDGs interessati sono quindi strettamente interconnessi.

Allo stesso modo, si segnala come anche all’interno di un medesimo paese o area geografica, differenti condizioni economiche o le origini etniche siano alla base di gravi fratture. Nel caso degli Stati Uniti, ad esempio, il livello di povertà delle donne nere o native americane è doppio rispetto a quello delle donne bianche o asiatiche, con forti disparità anche nei livelli di istruzione. Allo stesso tempo, le donne ispaniche in condizione di povertà hanno un tasso di abbandono scolastico triplo rispetto alla media.

Un’ulteriore difficoltà è rappresentata dall’impossibilità di monitorare efficacemente tutti i 17 goals, poiché per alcuni non esistono indicatori connotati per genere.

Il Gender Snapshot 2021 restituisce una immagine impietosa degli effetti della crisi pandemica sul progresso degli obiettivi globali delle donne. I progressi ottenuti fino al 2019 su praticamente tutti i goals sono messi in pericolo, e in alcuni casi si assiste ad arretramenti rilevanti.

Uno dei dati più pesanti è quello relativo al mancato accesso ai vaccini di gran parte della popolazione mondiale. Le dosi di vaccino somministrate a livello globale fino a metà settembre 2021 sono state quasi 5,8 miliardi: il 77% è andato ai paesi a reddito medio-alto e solo lo 0,3% è andato agli abitanti di paesi a basso reddito.

I ridotti progressi compiuti negli ultimi 25 anni sulla via della parità, soprattutto in termini di occupazione e partecipazione alle arene politiche e sociali, sono stati gravemente erosi dalle conseguenze della pandemia che – ormai è un dato condiviso – ha inflitto i danni più pesanti proprio alle donne. Queste ultime hanno perso il lavoro in percentuale maggiore rispetto agli uomini, e si trovano spesso a fronteggiare un’esclusione di lungo termine dal mondo del lavoro. In 28 su 48 paesi osservati, i tassi di NEET (giovani non occupati e non in istruzione/formazione) tra le ragazze sono cresciuti, con percentuali altissime tra quelle con disabilità.

Il 75% della forza lavoro nei settori di sanità e cura è femminile, a fronte di solo il 28% di dirigenti sanitarie.
Laddove le donne si sono trovate in posizioni governative o di leadership, hanno fornito risposte alla pandemia più rapide ed efficaci, ma questo è accaduto in un numero ridotto di paesi. Allo stesso modo, sarebbe essenziale un equilibrio di genere all’interno delle task force Covid-19, per stimolare policies di ripresa mirate e meccanismi di budget calibrati sul genere. Purtroppo, da un’analisi effettuata su 334 task forces di 137 paesi, solo il 4% è costituito secondo una parità di genere. In 18 paesi non vi è alcuna donna.

Nel 2021, circa 435 milioni di ragazze e donne vivono in condizioni di povertà estrema. Il 53% della popolazione mondiale non ha accesso a alcuna forma di protezione sociale. Il 55% delle neomadri non riceve alcun sussidio o supporto economico alla maternità.

Il numero delle persone che soffrono la fame è aumentato di 161 milioni di unità del 2020. Nello stesso anno la donne soggette a insicurezza alimentare sono più numerose rispetto agli uomini del 10%, con picchi in America Latina, Caraibi e Asia. In quasi tutti i paesi poveri, in cui i piccoli produttori agricoli costituiscono la parte più rilevante del settore, il guadagno annuale delle produttrici donne è circa del 30% inferiore a quello dei produttori uomini.

L’effetto del Covid-19 sulla qualità dei servizi sanitari e sulla salute, soprattutto per la popolazione femminile, è stato tragico. L’enorme pressione sui sistemi sanitari ha interrotto i servizi essenziali, compresi quelli per la salute in gravidanza e la contraccezione. In un anno 12 milioni di donne in 115 paesi a reddito medio-basso hanno subito carenze nei servizi di pianificazione familiare, portando a 1,4 milioni di gravidanze indesiderate. Nello stesso periodo si sono verificate circa 113.400 morti in gravidanza in più rispetto all’anno precedente. In Sud Africa sono drammaticamente calati gli screening prenatali per l’HIV e le terapie retrovirali. In Germania e in molti altri paesi occidentali, le donne hanno posposto più spesso degli uomini gli screening periodici di prevenzione del cancro. La pandemia ha prodotto un arretramento nei servizi per la salute mentale nel 93% dei 130 paesi osservati, ma solo il 17% dei paesi ha stanziato fondi aggiuntivi per salute mentale e supporto psicosociale nei piani nazionali di risposta al Covid-19.

Al momento della pubblicazione del report nel 2021, le scuole restavano parzialmente o completamente chiuse nel 42% dei paesi analizzati. Nel mondo, 128 milioni di ragazze in età scolare erano già uscite dalla scuola nel 2018. La pandemia porterà altri 11 milioni di ragazze a non tornare mai più a scuola a tutti i livelli di istruzione. Molti paesi hanno optato per l’apprendimento a distanza, ma gli studenti dalle comunità più povere hanno scarso accesso a Internet e apparecchiature informatiche, o anche a mezzi di comunicazione tradizionali come la televisione e la radio. Il 50% delle ragazze rifugiate che hanno dovuto lasciare la scuola superiore durante la pandemia non riprenderanno gli studi.

In 95 paesi analizzati, il 63% non prevede leggi sullo stupro basate sul principio di consenso. Circa metà continua a imporre restrizioni alle donne nel lavorare in determinate attività o settori industriali.

Si segnala un aumento delle violenze sessuali in molte parti del mondo. Anche prima della pandemia, a livello globale, si stima che 245 milioni di donne e ragazze dai 15 anni in su abbiano subito violenza sessuale o fisica da parte di un partner nell’anno precedente. Oltre 200 milioni in 31 paesi sono state sottoposte a mutilazioni genitali, e 2 milioni in più sono previsti fino al 2030, complice l’interruzione delle politiche di contrasto a causa del Covid.

Il 73% delle giornaliste donne su 125 paesi ha riferito di aver subito violenza online; l’11% si è ritirato dai social a causa delle molestie ricevute.

Le donne occupano solo il 28% delle posizioni manageriali a lavoro, il 36% dei seggi nei parlamenti locali e il 24% nelle task forces Covid. Sono sottorappresentate nelle sedi decisionali della politica: in media solo un componente su 4 dei parlamenti nazionali è donna, e questa percentuale scende ulteriormente nei paesi in cui sono in corso conflitti.

E’donna solo 1 senior manager su 10 nel settore delle energie rinnovabili. L’aumento della domanda di energia pulita e di soluzioni a basse emissioni di CO2 sta guidando una trasformazione senza precedenti del settore energetico, ma le donne ne sono in gran parte escluse. Nel 2019 le donne rappresentavano solo il 22% della forza lavoro totale nel settore energetico tradizionale, di cui solo il 14% dei ruoli dirigenziali. Le donne in questi ruoli hanno più istruzione degli uomini: il 15% per cento ha un dottorato contro il 12% degli uomini; il 36% é in possesso di un master rispetto al 34 % degli uomini. Nelle energie rinnovabili, le donne costituiscono il 32% della forza lavoro, ma sono concentrate nelle posizioni meno remunerative e non tecniche.

Le donne hanno subito la perdita di impiego in misura più pesante rispetto agli uomini (4,2% contro 3%). Nel corso del 2020 il numero di donne lavoratrici è calato di 54 milioni, mentre 45 milioni di donne sono uscite dal mercato del lavoro.

La pandemia ha appesantito il carico di lavoro familiare non retribuito: le donne con figli a casa durante il periodo Covid hanno speso in media 31 ore settimanali nella cura dei figli, contro le 26 precedenti. 3,2 volte più degli uomini. Risultano aumentate le denunce relative a violenze domestiche.

Le lavoratrici nel settore informale sono state quelle colpite più duramente dall’aumento del lavoro di cura familiare, dalla perdita di posti di lavoro e di reddito. A giugno 2020 il loro livello di reddito è sceso al 42,4% dei livelli pre-COVID-19. I guadagni delle loro controparti maschili sono diminuiti meno, al 61,8%.

Migranti, rifugiati e sfollati interni sono tra le popolazioni più vulnerabili del mondo. A fine 2020, 26,4 milioni di persone sono fuggite dai loro paesi diventando rifugiati, il livello più alto mai registrato. Quasi la metà sono donne e ragazze. Si verificano alti tassi di violenze sessuali ai danni delle donne migranti in transito verso la loro destinazione. Nel 2020, fino al 53% delle donne in viaggio sulle rotte occidentali e mediterranee hanno riferito di aver subito o assistito a violenze, rispetto al 19% degli uomini.

La pandemia ha prodotto importanti progressi nella ricerca e innovazione, ma solo il 4% degli studi clinici sul Covid-19 ha previsto una prospettiva di sesso/genere. Risulta pertanto ancora assente una vera lettura di genere del fenomeno, anche a livello medico-scientifico. Per quanto riguarda il contributo fornito alle problematiche ambientali, il Gender Snapshot rileva una scarsa presenza femminile tra gli speakers nei convegni internazionali a tema ambientale.

La squilibrata distribuzione del potere decisionale tra i generi mina a tutti i livelli Il raggiungimento di società pacifiche, giuste e inclusive. Nei paesi con maggiore rappresentanza femminile all’interno delle assemblee legislative, è più probabile l’adozione di misure a tutela dei diritti e del benessere delle donne, in particolare su molestie sessuali, stupro, divorzio e violenza domestica. Nonostante si manifesti comune accordo sul fatto che una governance inclusiva sia fondamentale per il progresso umano, le donne presiedono solo il 18% dei comitati governativi per gli affari esteri, la difesa, la finanza e i diritti umani, contro il 70,1% dei comitati sulla parità di genere. Anche i giovani sono sottorappresentati nelle posizioni di governo, anche se sono loro a guidare la lotta per una maggiore giustizia economica, sociale e ambientale. Le persone sotto i 45 anni detengono la presidenza di solo il 20,2% dei comitati governativi nei paesi osservati.

Secondo il livello di raggiungimento degli indicatori ONU, mantenendo l’attuale ritmo, gli obiettivi dell’Agenda 2030 in tema di parità di genere e empowerment femminile non verranno raggiunti.

A fronte di uno scenario assolutamente scoraggiante, è necessario impostare tutti gli sforzi per un’inversione di tendenza. Bisogna realizzare interventi sia di policy che di cambiamento sociale che cerchino di accelerare il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2030, con una attenzione sempre maggiore – e investimenti coraggiosi – per rimuovere le disparità di genere a tutti i livelli, partendo dalle violenze e discriminazioni più macroscopiche, fino a quelle apparentemente di minor rilevanza.

Per quanto riguarda i paesi europei, che nelle comparazioni a livello globale risultano generalmente più vicini agli obiettivi, è però d’obbligo fissare standard più ambiziosi, evitando di “vivere di rendita” sui livelli di diritto acquisiti e in modo da perseguire un reale avanzamento.

A cura di Alessandra Cialdani

Fonti:

Turning promises into action: gender equality in the 2030 agenda for sustainable development
https://www.unwomen.org/en/digital-library/sdg-report

Progress on the Sustainable Development Goals: The gender snapshot 2021
https://www.unwomen.org/en/digital-library/publications/2021/09/progress-on-the-sustainable-development-goalsthe-gender-snapshot-2021

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