La condizione femminile nel settore e più in generale nel mondo del lavoro
Nelle ultime settimane abbiamo visto più volte lavoratrici e lavoratori del nostro settore scendere in piazza, fiancheggiati e organizzati dalle loro RSA, per dire NO alle esternalizzazioni.
Queste cessioni di attività a imprese che applicano altri contratti di lavoro non riguardano solo grandi gruppi bancari o assicurativi ma anche piccole realtà locali.
Ricordiamo che queste operazioni stanno determinando:
- 325 esuberi strutturali (su una forza lavoro di poco più di 600 colleghe/i) in VERTI Gruppo Mapfre (multinazionale spagnola che opera nel settore di assicurazione/riassicurazione);
- circa 900 unità produttive eccedenti in BNL;
- 50 risorse umane da tagliare in Cassa di Risparmio di Volterra (il 12% della forza lavoro);
- 80 esuberi in Zurich:
Nei piani industriali vengono definiti esuberi strutturali, unità produttive, risorse umane, FTE, ma in realtà stiamo parlando di uomini e donne in carne ed ossa.
“Esternalizzazioni di attività ed esuberi di personale sono dunque un trend che, crediamo, vada affrontato e contrastato nelle singole aziende, ma anche, e soprattutto, a livello di categoria, unendo le forze e le vertenze presenti nel settore”: lo troviamo scritto nero su bianco nel comunicato con cui le RSA Verti hanno chiamato allo sciopero colleghi e colleghe lo scorso 3 febbraio.
Ma esiste davvero un filo rosso che lega le esternalizzazioni? E se invece questo filo fosse rosa?
Ovvero queste operazioni sono neutre rispetto al genere?
Le attività da esternalizzare sono sempre le stesse: contact center, back office, Information Technology e sono trasversali a settori e aziende.
Il rapporto “Jobs on the rise 2021 Italia – Lavori emergenti”, curato da LinkedIn, afferma che le limitazioni agli spostamenti, i lockdown e i coprifuochi hanno portato a un aumento del 96% delle assunzioni nei servizi di supporto clienti. La maggioranza di queste assunzioni riguardano il personale femminile: le donne hanno occupato l’88% dei posti di operatore di call center e il 68% dei ruoli di consulenza del servizio clienti.
Perché tante donne trovano lavoro nei contact center e nei servizi di supporto e back-office?
Empatia e capacità di lavorare in squadra sono prerequisiti essenziali, la flessibilità di orario un bene prezioso, che si paga con la segregazione orizzontale… quindi le donne abbondano.
L’evoluzione tecnologica, che caratterizza organizzazioni evolute come banche ed assicurazioni, ha permesso di implementare un’organizzazione del lavoro basata sul trasferimento del know-how (bagaglio professionale) dalle persone ad applicativi che processano in modo quasi automatico i dati inseriti, con l’inevitabile conseguenza che il lavoro da svolgere richiede sempre meno conoscenze ed esperienza. In tal modo, lavoratori e lavoratrici diventano agevolmente interscambiabili. La valutazione della prestazione non è più qualitativa e collegata alle competenze possedute, bensì determinata dal rapporto tra numero di pratiche (call o ticket) e tempo impiegato.
In queste condizioni, le donne sono le più penalizzate poiché la discriminazione opera sia a monte, perché a essere tagliate sono attività non core business in cui operano in maggioranza donne, che a valle, perché il lavoro di cura, la frammentazione del percorso di carriera, i percorsi formativi elusi incidono pesantemente sulla occupabilità delle donne.
Martina Braga, coordinatrice nazionale Fisac BNL, intervistata al presidio di Roma da Agnese Palma, ci spiega così quanto sta accadendo: negli uffici da esternalizzare ci sono più donne che uomini perché spesso le donne, proprio perché hanno l’esigenza di conciliare, sono inserite in uffici “no core business” e di conseguenza sono più sacrificabili.
Le voci delle lavoratrici e delle compagne, raccolte da Samira Giulitti al presidio VERTI di Cologno, esprimono il senso di impotenza nel vedere il proprio percorso professionale, costruito negli anni, gettato via “come una scarpa vecchia”. Ci raccontano la delusione e l’umiliazione provate, per aver dato tanto a un’azienda che ora le costringe a ricominciare da zero, nella certezza che orario, stipendio e le attuali tutele sono già perse in partenza. Emerge forte la preoccupazione di doversi rimettere in gioco con il peso della cura di figli e anziani che grava tutto sulle loro spalle.
Nadia, lavoratrice-madre di Verti in sciopero, conclude l’intervista con un tombale “il mondo del lavoro in Italia sta morendo”.
Leggendo alcune interviste a Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Ministero dell’Economia, ci viene da pensare che, più che altro, in Italia sia il mondo del lavoro FEMMINILE ad essere gravemente minacciato di morte.
I dati del Bilancio di Genere 2021 del MEF ci parlano, infatti, di un calo dell’occupazione femminile che si attesta al 49% (il dato peggiore dal 2013). In particolare, il tasso di occupazione delle madri di minori sotto i 5 anni di età risulta inferiore di oltre il 25 per cento a quello delle loro coetanee senza minori da accudire e ha subito un ulteriore peggioramento a seguito della crisi pandemica.
La disparità nella distribuzione dei carichi familiari all’interno delle mura domestiche emerge chiaramente dai dati Inps sui beneficiari dei congedi parentali Covid: i 300 mila minori interessati sono stati presi in carico per il 79% dalle madri e soltanto per il 21% dai padri.