Esecutivo Donne Nazionale: relazione del 30 novembre 2021


Buongiorno a tutte,

introducendo i lavori di questa riunione del nostro Coordinamento, vogliamo innanzitutto ricordare il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, da pochi giorni trascorsa e da molti celebrata, che noi vogliamo dedicare alle 104 donne, vittime di femminicidio in Italia dall’inizio dell’anno.

Le chiamiamo vittime di femminicidio, perché sono state assassinate per mano di uomini, legati a loro da una relazione affettiva/familiare (padri, fratelli, fidanzati, mariti o aspiranti tali) che proprio in nome e a causa di questa relazione – presente, passata o anche soltanto agognata – le hanno uccise. Uomini incapaci di relazionarsi con il valore e la libertà dell’altra, ma abituati, allevati a considerare l’altra soltanto in funzione dei propri bisogni, del proprio desiderio, soggetto subordinato al loro volere, oggetto di proprietà.

Queste vittime e questi autori di femminicidio sono presenti in tutti i Paesi, autorizzati, giustificati o protetti da tutti i sistemi di potere costituiti – religiosi, sociali e politici. La violenza che esercitano e che colpisce noi donne negli aspetti quotidiani della nostra esistenza si traduce in femminicidio, soltanto quando tutte le altre armi del potere maschile risultano inefficaci e la donna riesce a sfuggire al dominio maschile, al suo controllo.

Il femminicidio è l’atto estremo e definitivo, che si nutre di atteggiamenti e comportamenti diffusi, pervasivi, radicati nella nostra cultura e anche nella nostra organizzazione.

Perciò abbiamo ritenuto di inserire le nostre proposte per rafforzare la prospettiva di genere nell’Assemblea Organizzativa al 1° punto del nostro dibattito, perché educare al rispetto della differenza di genere e considerarla un valore è il primo passo verso un cambiamento culturale di cui anche la nostra organizzazione ha tanto bisogno, innanzitutto per esprimersi e agire in piena coerenza con i suoi valori e quindi per provare a determinare in concreto un cambiamento nella società.

Rispetto alle nostre intenzioni iniziali, tuttavia, l’incombere di altre priorità nel Paese, ci costringe a un passaggio rapido sull’Assemblea Organizzativa, ricordando i nodi centrali e il metodo di costruzione delle nostre proposte, in modo da lasciare spazio alle vostre valutazioni su contenuti e metodi di elaborazione e sugli ostacoli/alleanze che avete trovato nelle assemblee organizzative (categoriali e confederali) sui territori.

Senza il protagonismo delle donne l’organizzazione difficilmente imboccherà la strada del cambiamento, perché le organizzazioni tendono a preservare se stesse e chi detiene il potere lo delega con fatica.

Bisogna di conseguenza favorire la partecipazione attiva delle compagne alla vita dell’organizzazione, garantendo risorse economiche e agibilità sindacali a favore dei Coordinamenti Donne presenti sui territori e nei luoghi di lavoro o sostenendo l’organizzazione autonoma delle compagne laddove i Coordinamenti non siano costituiti.

Perciò è necessario rivedere la norma antidiscriminatoria, per favorire una presenza paritaria (50 e 50) in tutti i livelli dell’organizzazione e in tutte le sue strutture tecniche e politiche (servizi, dipartimenti, RSA/RSU/RLS, coordinamenti aziendali, ecc.).

Il rispetto della norma antidiscriminatoria deve essere vincolante e costantemente monitorato. In particolare, la presenza paritaria deve essere garantita in tutte le iniziative pubbliche da noi organizzate e/o sostenute (NO MANEL), sia per dare voce alle istanze femminili e di chi svolge attività di cura, che per dare un segnale comunicativo importante di valorizzazione delle competenze femminili.

Una funzione analoga deve essere svolta dal linguaggio di genere, che deve essere assunto in modo scrupoloso da chiunque si occupi di comunicare nella nostra organizzazione – sia all’interno che all’esterno – e utilizzato per indicare tutti i ruoli a tutti i livelli dell’organizzazione.

La formazione è un asset strategico e deve essere rivolta alla costruzione di competenze di genere, in particolare su linguaggio, riduzione del divario salariale, contrasto alle molestie sul lavoro. I percorsi formativi devono essere paritari, certificati, intrecciati ai percorsi organizzativi di assunzione al ruolo e adeguati alle esigenze di chi svolge attività di cura.

La trasformazione digitale deve essere indirizzata per favorire l’uguaglianza di genere.

Quindi i progetti di alfabetizzazione digitale devono essere mirati e paritari e integrare nuove competenze digitali con le necessarie competenze relazionali. E dovranno proteggere le persone dai rischi legati al digitale (dipendenza, disconnessione inesigibile, estensione orari di lavoro, mancata selezione delle fonti, isolamento ecc.).

La nuova società digitale dovrà essere inclusiva e democratica, a partire dalla consapevolezza che la tecnologia non è neutra, ma risente di vecchi stereotipi e pregiudizi vestiti di nuovo.

Anche la contrattazione territoriale e nazionale dovrà essere inclusiva, in modo da tutelare i comparti più fragili del settore e puntare a obiettivi qualificanti, come la riduzione del divario salariale e di carriera tra i generi. La nostra organizzazione dovrebbe dare il buon esempio presentando e monitorando i rapporti pari opportunità nei Comitati Direttivi di riferimento a tutela delle lavoratrici dipendenti della CGIL, occupate in via prevalente nei Servizi.

La contrattazione nazionale e territoriale deve riconoscere il valore economico della cura e determinare investimenti di quote importanti del PNRR per lo sviluppo di servizi alla persona.

Questi in sintesi i punti dirimenti delle nostre proposte, che sono il frutto di una riflessione collettiva, che abbiamo sviluppato in piccoli gruppi di lavoro a cui hanno partecipato complessivamente una ventina di compagne del Coordinamento.

Abbiamo lavorato con una modalità nuova, che si è rivelata molto soddisfacente, non soltanto in termini di risultati, ma anche perché ha rafforzato la conoscenza reciproca tra compagne e la capacità di fare rete per un obiettivo comune.

Ricorderete senz’altro che già nella scorsa riunione del Coordinamento Donne, il 13 settembre, avevamo lanciato alcuni spunti di discussione in vista dell’assemblea organizzativa e provato a ragionare sulla necessità di sperimentare nuove modalità di lavoro. La platea estesa del nostro Coordinamento garantisce infatti una diffusa partecipazione democratica, ma non favorisce la costruzione collettiva della nostra elaborazione politica.

Abbiamo perciò sentito l’esigenza di comporre una platea più ristretta dell’intero Coordinamento ma più ampia del solo Esecutivo, con una referente per regione (componente del Coordinamento Donne o Segretaria territoriale), oltre a figure-chiave per le pari opportunità (esponenti di Commissioni Pari Opportunità oppure di Coordinamenti Donne Aziendali) convocando una riunione per il 23 settembre. La riunione successiva del 30 è stata richiesta dalle stesse compagne che hanno partecipato, per fare sintesi dei 5 gruppi di lavoro, che hanno lavorato sulle diverse schede, in tempo utile per presentare le nostre proposte nelle Assemblee Organizzative territoriali.

Ci interessa ora ottenere un vostro feedback sui contenuti e anche sull’esperienza vissuta. Lo chiediamo a tutte (a chi ha partecipato ai gruppi di lavoro, a chi non è stata coinvolta direttamente, a chi ha letto le proposte in mailing list e a chi se l’è perse tra le tante comunicazioni che riceviamo ogni giorno).

Come sapete, l’Assemblea Generale Confederale del 4 novembre ha deliberato una sospensione del percorso di riflessione interno alla nostra organizzazione, fissando uno slittamento delle Assemblee Organizzative Confederali Regionali e Nazionali di Categoria nel mese di gennaio, in modo da concludere il percorso con l’Assemblea Organizzativa Nazionale della CGIL il 12 febbraio.

Abbiamo quindi ancora tempo per integrare e valutare le proposte, che abbiamo elaborato insieme per rafforzare la prospettiva di genere, ma non volevamo esimerci dal riepilogare le tappe di questo percorso a cui non ha partecipato in toto tutto il Coordinamento.

Che cosa ha determinato questo slittamento?… La manovra di bilancio.

Tutto il sindacato confederale è impegnato in una lettura critica della Legge di Bilancio, su cui il Parlamento ha trovato una sua mediazione politica, che tuttavia noi riteniamo inadeguata a rispondere ai bisogni delle persone che rappresentiamo.

Innanzitutto la manovra di bilancio è inadeguata a rilanciare l’occupazione, in particolare femminile e giovanile, cancellandone la dimensione di precarietà, che impoverisce anche chi un lavoro ce l’ha, un lavoro purtroppo che non offre garanzie di stabilità e autonomia.

Insufficienti sono le risposte del governo sulle pensioni, che così formulate riguardano un numero limitato di persone e non affrontano le questioni per noi prioritarie, come la pensione di garanzia per le giovani generazioni, la tutela di chi svolge lavori gravosi e/o usuranti, la flessibilità in uscita. Inoltre, per noi, donne della Cgil, la carenza più grave è la scarsa attenzione della riforma allo specifico della condizione femminile.

L’opzione donna, ad esempio, mantiene (grazie a noi) immutati i requisiti previsti (58 anni di età e 35 di contributi), ma risulta prorogata soltanto per un anno, finendo così per interessare una platea molto ristretta di lavoratrici. Senza contare che questa misura richiederebbe un intervento di revisione, in quanto risulta troppo penalizzante e spesso – secondo i dati OCSE – alimenta la condizione di povertà delle donne in età avanzata.

Le lavoratrici italiane sono tra le più penalizzate d’Europa, non soltanto nell’accesso al posto di lavoro e ai percorsi professionali, ma anche in uscita dal mondo di lavoro e nel diritto a una pensione serena. In realtà in tutta l’Unione Europea le donne percepiscono una pensione ridotta (in media del 36%) rispetto a quella percepita dagli uomini.

Il sistema previdenziale italiano detiene tuttavia un primato per trattamenti pensionistici fortemente differenziati dal punto di vista di genere, per una serie di fattori che caratterizzano il lavoro delle donne come precario, a tempo parziale, discontinuo (inframmezzato da periodi cura non riconosciuti ai fini contributivi e/o parzialmente ai fini retributivi), sottopagato e con minori opportunità di carriera.

Il primo atto teso a parificare le pensioni dal punto di vista di genere invece di intervenire a ridurre il divario degli importi erogati a favore delle lavoratrici, nettamente più bassi anche rispetto alla media europea, si è preoccupato di parificare i requisiti per accedere alla pensione: 67 anni di età per la pensione di vecchiaia, uguale per tutti, lavoratrici e lavoratori, pubblici e privati a partire dal 2019.

In questi ultimi 2 anni di emergenza sanitaria le disuguaglianze di genere, ancora fortemente radicate, si sono acuite, impattando in modo drammatico sulla condizione lavorativa femminile, colpita in maggior misura dalla perdita di posti di lavoro in settori a forte presenza femminile, dall’aumento del part-time involontario, dalle dimissioni volontarie, indotte dalla necessità di prestare assistenza a familiari o dalla ingestibile sovrapposizione di attività di cura e attività professionale nel lavoro da remoto, che ha caratterizzato il periodo del lock-down.

Le poche misure di flessibilità introdotte in questi anni, come l’Ape sociale e Quota 100, pensate sulle caratteristiche del lavoratore medio maschio, si sono dimostrate di fatto incompatibili con le condizioni contributive medie delle lavoratrici, che ne hanno beneficiato in misura ridotta.

Il lavoro di cura non retribuito, svolto in prevalenza dalle donne, è una voce fondamentale del sistema sociosanitario del nostro Paese ed è necessario tenerne conto a livello previdenziale, introducendo misure adeguate. Perciò la piattaforma unitaria previdenziale di Cgil Cisl e Uil rivendica il riconoscimento di un anno di contributi per ogni figlio e la valorizzazione ai fini pensionistici del lavoro di cura di persone disabili o non utosufficienti in ambito familiare.

Inoltre, l’esperienza della pandemia ha riproposto con urgenza la necessità di una legge a tutela delle persone non autosufficienti, con risorse economiche dedicate, che garantiscano i livelli essenziali di assistenza, alleggerendo i carichi di cura familiari, che gravano in particolare sulle donne.

Si tratta di questioni dirimenti per un sindacato confederale come la CGIL, che richiedono tutta la nostra attenzione e il nostro impegno, per realizzare una mobilitazione che costringa il governo a rivedere le proprie scelte di politica economica e sociale, in modo da evitare che larghe fasce di popolazione, che prima costituivano la cosiddetta classe media, possano trovarsi all’improvviso in una condizione di povertà o rischino di precipitare nell’indigenza.

Una tappa importante di questa mobilitazione sono state le manifestazioni unitarie organizzate per sabato mattina, 27 novembre, nelle principali città italiane da CGIL CISL e UIL e che hanno visto la partecipazione di tante compagne.

Dalla Lombardia alla Sicilia, passando per la capitale, la presenza delle donne in piazza non poteva passare inosservata. Siamo state davvero tante a manifestare in questo sabato di novembre, in cui la protesta sindacale per una manovra di bilancio iniqua, che non riduce le disuguaglianze, si è intrecciata con le mobilitazioni di associazioni e movimenti femministi contro la violenza sulle donne.

Per tante di noi non è stato facile liberarsi di sabato dei carichi di cura, ma non potevamo mancare, perciò tante bambine e bambini in piazza insieme ai genitori. Dietro le mascherine, donne di tutte le età a dire che la violenza di genere non si compie soltanto con la strage delle donne, ma è agita anche attraverso le discriminazioni quotidiane e istituzionali che conosciamo per esperienza diretta.

La presenza delle donne in piazza accende la speranza che un cambiamento sia ancora possibile, solo noi possiamo rivendicarlo e conquistarlo, nessuno può realizzarlo al nostro posto, né per noi né per le future generazioni.

Le strade di Roma (e non solo) sono state inoltre inondate di gente nel pomeriggio, per la manifestazione organizzata dalle associazioni e dai movimenti femministi – in testa NonUnaDiMeno – contro la violenza sulle donne e contro la violenza di genere.

#Siamomarea – dicono in corteo – e #siamotornate. Ci sono le storiche del movimento femminista, ma tantissime giovani e giovanissime donne e anche tanti giovani, entusiasti, motivati, diversi.

Stavolta la CGIL aderisce alla manifestazione dei movimenti, è un passo avanti per chi di noi vuole partecipare e lo può fare in piena libertà, con il sostegno della Confederazione, ma il nostro impegno prioritario è sulle piazze del mattino, quelle unitarie.

Eppure, anche senza il nostro contributo operativo e senza il nostro sforzo organizzativo, la mobilitazione è imponente. Il giorno dopo ne parlano le principali testate giornalistiche.

E noi non possiamo tacere. Non possiamo nemmeno aspettare che queste giovani donne con i loro compagni al fianco a cambino profondamente la cultura dominante e misogina in cui sono cresciute. Credo che dovremmo contribuire anche noi a questa fase di profondo cambiamento della società, allo scardinamento degli stereotipi e dei pregiudizi di genere.

Dobbiamo provare a diffondere questa consapevolezza e questo rifiuto verso la violenza di genere, comunque si manifesti, anche tra le lavoratrici, ormai rassegnate a non poter conciliare e condividere carichi di lavoro e di cura, tra le nostre colleghe rassegnate a rinunciare alla carriera in cambio di un part-time. Dobbiamo discuterne tra noi, compagne, che in questi mesi non sappiamo più – come equilibriste impazzite – gestire carichi di cura, lavoro in azienda e impegno sindacale.

Riflettiamo bene su questa marea umana, che vuole dare voce a chi non ha voce, prestiamo ascolto alle assonanze e puntiamo sugli obiettivi condivisi, rispettando le differenze e cercando di intersecare le lotte.
Questo il nostro invito accorato.

Esecutivo Donne Nazionale

 

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