La partecipazione agli utili conviene?
La retribuzione, nel diritto del lavoro italiano, è il corrispettivo che spetta al lavoratore per l’attività lavorativa svolta. È la principale obbligazione in capo al datore di lavoro. La retribuzione connota il rapporto di lavoro come un contratto oneroso di scambio.
Della retribuzione se ne occupa addirittura la Costituzione: l’art. 36, comma 1, infatti stabilisce che il lavoratore deve essere retribuito proporzionatamente alla quantità e alla qualità di lavoro svolto e sufficientemente per poter aver una “esistenza libera e dignitosa”.
La retribuzione è stabilita, nei limiti predetti di proporzione sufficienza, dalla contrattazione collettiva e da quella individuale; il documento di riferimento per il lavoratore dipendente è la busta paga.
I principi costituzionali sanciti espressamente dall’art.36 della Costituzione sono la proporzionalità e la sufficienza.
Sufficienza: al lavoratore deve essere garantita una retribuzione che possa attuare il programma sociale individuato dall’art.3 della Costituzione, proporzionata anche alle concrete esigenze del singolo lavoratore e della propria famiglia.
Proporzionalità: la quantità dell’ammontare della retribuzione non è relazionata soltanto al tempo del lavoro svolto, ma anche dalla qualità della prestazione in termini di difficoltà, importanza e complessità, nonché di responsabilità.
In quest’ ottica, la retribuzione fissa non è l’ unica forma esistente, ma forme di salario variabile si sono sviluppate nel tempo, tra queste, la partecipazione agli utili.
La partecipazione agli utili è corrisposta sulla base del risultato economico conseguito dall’azienda, ed è una forma aggiuntiva di retribuzione in quanto è legata al rischio di impresa. Il lavoratore può essere retribuito anche con retribuzione variabile, ovvero con la partecipazione, in tutto o in parte, agli utili o ai prodotti dell’impresa in cui lavora.
Dal punto di vista concettuale l’idea che una parte degli utili di un’impresa debba essere distribuita tra i lavoratori per premiarne i risultati e incentivarne l’impegno nasce, così come le prime esperienze di partecipazione agli utili, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo con il diffondersi della manifattura meccanizzata quale forma organizzativa privilegiata del modo di produzione capitalistico.
Da subito si diffusero teorie economiche che sostenevano tale istituto (Babbage) ritenendo che essa fosse una sorta di ‘salario naturale’ per cui la massimizzazione del reddito di un lavoratore che investe nell’azienda (per la quale lavora) una quota di salario in eccesso rispetto all’ammontare dei suoi consumi, ricavandone il saggio di profitto corrente.
Nel XX secolo la partecipazione agli utili è stata osteggiata apertamente sia dai teorici dell’organizzazione scientifica del lavoro (Taylor gli preferiva il sistema del cottimo e Ford teorizzava la superiorità del salario fisso a tempo).
Per Karl Marx, l’unico senso in cui i lavoratori “partecipano” ai risultati dell’impresa è che essi sono sicuri solo di una parte minore del salario diretto in busta paga, e che per ottenere il salario pieno devono sostenere lo sforzo produttivo massimo: altrimenti l’altra parte, quella maggiore e oscillante, si contrae. Qui sta l’imbroglio della “partecipazione agli utili” o peggio ai “profitti”. Più che di partecipazione, si tratta di una economia del ricatto. L’intera classe lavoratrice deve sottostare a una forma istituzionalizzata di ciò che si può appunto definire cottimo corporativo. La parvenza del coinvolgimento dei lavoratori si mostra nel conferire ai lavoratori mansioni in cui appaia l’espressione della loro “creatività” nel controllo del processo e della qualità del lavoro. Ma tale parvenza è subito smentita. L’organizzazione e l’orario di lavoro sono già pianificati con una normale misurazione di tempi e metodi, ma senza predeterminare i carichi di lavoro effettivi. Proprio su codeste basi si determinano le forti differenze di salario individuale.
Nella teoria economica più recente, si sono sviluppate direttrici differenti, in particolare, la ‘teoria della produttività’ (che sottolinea gli aspetti microeconomici di incentivazione attivati dalla partecipazione agli utili) e la ‘teoria della stabilità’ (che esamina gli effetti macroeconomici di stabilizzazione della domanda di lavoro). Si aggiunge inoltre l’analisi delle istituzioni, se in grado di massimizzarne gli effetti positivi e di smussare i conflitti di interesse che nascono dalla sua applicazione.
L’idea che la partecipazione agli utili possa esplicare al meglio la sua efficacia soltanto in presenza di rapporti tra datori di lavoro e lavoratori improntati alla fiducia reciproca svolge un ruolo assai rilevante nella riflessione di Luigi Einaudi (1949), che ad essa dedicò un lungo e fondamentale capitolo delle sue Lezioni di politica sociale. Requisiti essenziali della partecipazione nelle seguenti condizioni: a) che “essa risulti da una convenzione libera e volontaria, tacita o espressa, stipulata fra datore di lavoro e lavoratori”; b) che “la quota di utile sia una aggiunta al salario normale” ; c) che “la quota assegnata al lavoratore sia una quota di utili eventuali”; e d) che “la partecipazione sia agli utili e non alle perdite” .
Nel corso degli ultimi due decenni la crescente intensificazione dei fenomeni di globalizzazione, produttiva e finanziaria, dell’economia mondiale hanno comportato un rilevante aumento del grado di incertezza sopportato dalle imprese e hanno dato forza alle richieste di aumentare il grado di flessibilità – ossia, la capacità e rapidità nel reagire a situazioni di squilibrio dei mercati del lavoro.
Flessibilità è però cosa ben diversa dal mero contenimento delle retribuzioni. Il rigore salariale, unito all’aumento dell’incertezza di mercati le cui dimensioni si estendono ormai a livello mondiale, può facilmente produrre recessione, caduta degli investimenti e deterioramento delle prospettive di crescita futura.
Di fatto, se si considera la partecipazione agli utili come strumento salariale variabile in senso stretto, è evidente che in caso di riduzione o mancanza di utili la retribuzione dei lavoratori si abbassa. Questo senza che avvengano forme di flessibilità lavorativa in riduzione oraria, semmai al contrario l’ impegno dei lavoratori aumenta, di fronte all’ incertezza del mantenimento del posto di lavoro.
Anche riconsiderando gli aspetti macroeconomici di cui sopra, non è detto che il passaggio da sistemi a retribuzione fissa a sistemi a retribuzione variabile di partecipazione agli utili sia in grado di stabilizzare l’economia rispetto alle cadute della domanda.
In quest’ ottica infatti, il costo marginale dell’impresa è costituito soltanto dalle voci di costo che debbono comunque essere sostenute. La parte dei salari legata ai profitti è un costo che sarà sostenuto soltanto se vi saranno profitti, la partecipazione ai quali è caratterizzata da costi marginali più bassi di quelli che si avrebbero con retribuzioni fisse di pari entità.
Ciò determina, nel breve periodo, in caso di caduta della domanda, una situazione nella quale la curva dei ricavi marginali eccede quella dei costi marginali: le imprese, non ridurrebbero la produzione a seguito dello spostamento verso il basso della curva dei ricavi, come avviene nel caso di retribuzioni fisse, in quanto una parte della caduta dei profitti attesi viene compensata dalla caduta delle retribuzioni a seguito dell’applicazione del contratto di partecipazione agli utili. Questo eviterebbe licenziamenti, ma genererebbe solo una riduzione delle retribuzioni. La riduzione dei prezzi dovuta ai minori costi esercita un effetto di sostegno della domanda di beni. La partecipazione agli utili permetterebbe quindi all’economia di superare disturbi esogeni che riducono la domanda senza avvitarsi in una crisi recessiva.
Tra i teorici di questo aspetto, Weitzman, ritiene che l’adozione di schemi di retribuzione basati sulla partecipazione agli utili debba essere incentivata attraverso sovvenzioni pubbliche in quanto gli operatori privati non hanno incentivi a metterla in atto; inoltre ciò funzionerebbe solo in caso di monopolio. I vantaggi forniti dalla partecipazione agli utili, sarebbero di sostegno solo all’economia nel suo complesso, non alla singola impresa.
Va sottolineato che il contratto tra impresa e lavoratori che sancisce il passaggio da un sistema a retribuzione fissa ad uno di partecipazione agli utili comporta un cambiamento nella struttura del rischio fronteggiato dai lavoratori: nei sistemi a retribuzione fissa i lavoratori non corrono alcun rischio riguardo al livello della loro retribuzione, ma possono perdere il posto di lavoro; nei sistemi di partecipazione agli utili si riduce per loro il rischio di perdere il posto di lavoro, ma aumenta il rischio di ricevere retribuzioni più basse di quelle previste.
Perché un tale contratto sia applicato occorre pertanto che i lavoratori accettino questo cambiamento nella struttura del rischio.
Inoltre ipotesi di questo tipo sono sostenibili solo nel caso in cui ci si trovi in situazioni di eccesso di domanda di lavoro laddove il salario tradizionale (fisso) tenderebbe ad aumentare a discapito di forme partecipative agli utili, mentre l’ eccesso di offerta di lavoro (come oggi) sposterebbe il prezzo di offerta del lavoro verso il basso insieme a quella di domanda, in quanto i lavoratori, una volta percepito il rischio di disoccupazione, ridurrebbero le richieste salariali.
Inoltre, l’analisi empirica sembra indicare che l’adozione di schemi di partecipazione agli utili favorisce l’aumento della produttività del lavoro. Perché ciò accada, tuttavia, occorre che gli schemi di partecipazione finanziaria siano formulati con riferimento alle specificità delle singole aziende e, spesso, che siano adottati in combinazione con altre forme di partecipazione e codeterminazione.
Rimane, comunque, decisivo ciò che Luigi Einaudi scriveva cinquanta anni fa, e che James Meade non si è stancato di ripetere nei numerosissimi contributi dedicati all’argomento: l’adozione di schemi di partecipazione finanziaria è possibile soltanto in paesi dotati di modelli di relazioni industriali improntati alla fiducia reciproca piuttosto che al conflitto.
Claudio Zucchi
RSA Modena