Dip.Legalità: resoconto della riunione del 26 novembre

DIPARTIMENTO NAZIONALE LEGALITA’

RIUNIONE RETE NAZIONALE

            Si è svolta a Roma, in presenza, la riunione congiunta del Dipartimento Nazionale Legalità e la Rete Nazionale Dipartimento Legalità. Alla riunione ha partecipato la Segretaria Nazionale Chiara Canton, che ha introdotto i lavori con una comunicazione politica sul significato ed il ruolo del Dipartimento e della sua Rete Nazionale. Di rilievo la presenza ai lavori di Luciano Silvestri, Coordinatore Dipartimento Nazionale Legalità Cgil.

A seguire, ogni Componente ha illustrato il lavoro svolto nel proprio ambito sottolineando il ruolo strategico della Rete nei Territori e nei Gruppi aziendali. E’ seguito il dibattito che ha ribadito l’impegno del Dipartimento e della Rete ad operare con il massimo impegno per la diffusione dei principi di Legalità nei rispettivi con nuove proposte nei Territori.

Nel pomeriggio, Silvestri ha illustrato l’operato della Confederazione rinnovando le sinergie con la Fisac ed  Dipartimento nazionale, con iniziative da programmare insieme.

Con questo appuntamento la Fisac-Cgil tutta ribadisce il suo impegno quotidiano a difesa dei principi di Legalità a partire, anche, dai luoghi di lavoro. Alleghiamo alcuni materiali elaborati dal Dipartimento Legalità.

COMUNICAZIONE SU USURA

Usura” dal verbo latino “utor” che significa “usare”. Con questo termine, in origine si designava il godimento del capitale prestato e la parola non aveva riferimenti a comportamenti deplorevoli o indegni.
Sembra poi che la parola “usura” compaia nella lingua italiana già nel 1240 con il significato di “eccessivo interesse richiesto per un prestito o un mutuo”.
Non è mia intenzione, ovviamente, proporvi una lezione di etimologia e ricorrevo a queste prime affermazioni solo per evidenziare che la pratica dell’usura ha origini lontane nella storia del nostro Paese e quanto, nel corso dei tempi, si sia modificato il suo significato, a seconda del contesto politico, istituzionale e religioso.
E’ un fenomeno antico, capace di coinvolgere fasce diverse della popolazione che si trovano in difficoltà per i più svariati motivi, di cui comunque farò cenno.
E’ un fenomeno in continua evoluzione, che riesce ad adattarsi e ad evolversi a seconda della situazione e del tempo, ma che mantiene in ogni dimensione un denominatore comune: quello dell’applicazione di tassi di interesse dapprima esigui poi sempre più elevati, tali da rendere impossibile il rimborso del capitale. In questo modo è diventato appetibile e motore di arricchimento per le organizzazioni criminali.

Si può certamente affermare che la condizione di partenza che spinge le persone a far ricorso all’usuraio sia sempre una necessità urgente di liquidità, generata spesso da una incapacità dell’uso consapevole del denaro, da poca attenzione agli stili di vita, ma anche dalla crisi economica (oggi anche dalla pandemia) che grava sulle famiglie e sulle imprese.
Il mercato del “prestito a strozzo” fino agli anni ‘80 era caratterizzato dalla presenza degli strozzini, dei vecchi cravattari, cioè da quelli che potremmo definire “delinquenti di quartiere”, che gestivano in prima persona ed in via esclusiva i rapporti con gli usurati. Oggi si registra una presenza ed un interesse sempre più emergente dei clan mafiosi ed è diventato a tutti gli effetti un vero e proprio business della malavita organizzata.

Si configura, infatti, come una “struttura societaria” che ha nel mirino commercianti, piccoli imprenditori, artigiani alla ricerca di soddisfare immediatamente le loro esigenze di liquidità. Insomma un welfare alternativo a tutti gli effetti!
Questo tipo di business consente di offrire un servizio funzionale al controllo del territorio (l’erogazione veloce di denaro) e permette di infiltrare territori non ancora permeati dalla mafia, facendo confluire nell’economia legale somme consistenti di denaro “sporco”, derivanti da estorsioni, traffico di stupefacenti o da altri reati economici. Cresce così anche il coinvolgimento dei professionisti esterni alle organizzazioni criminali, che da consulenti si trasformano in veri e propri “colletti bianchi”. Tra questi troviamo, anche secondo una recente analisi della Guardia di Finanza, rappresentanti del mercato finanziario che, nel loro ruolo di mediatori creditizi o promotori, affiancano alla regolare attività di settore quella di finanziatori a tassi usurai.
Un business fondato anche sulla paura degli usurati che faticano a intraprendere la strada della denuncia. In più, spesso e per un certo tempo, vi è la mancata percezione della vittima di essere !stritolato” in un affare illecito. Il rapporto si basa sull’omertà e su una dinamica vittimausuraio mafioso che segue una dipendenza psicologica, quasi fisica.
Insomma, per paura, talvolta anche per vergogna, difficilmente qualcuno si presenta dinanzi alle forze dell’ordine per denunciare il crimine in atto.

L’insorgere della pandemia e della crisi, ancora oggi presenti, ha messo in evidenza non solo nuovi problemi, ma ha anche ingigantito i mali preesistenti, come il radicarsi delle mafie ed il diffondersi capillare della corruzione.
La capacità di rapido adattamento delle organizzazioni criminali ai mutamenti economici e sociali del Paese “arricchisce” ed aumenta quotidianamente le già numerose cause che spingono le persone nelle mani degli usurai.

Accanto alle tradizionali aree di operatività, quali, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, il mercato degli stupefacenti, il contrabbando di prodotti energetici (oli lubrificanti e oli base), l’emissione di false fatturazioni, il controllo degli appalti e subappalti, il sovra-indebitamento delle famiglie, il lavoro nero ed irregolare, il crescente numero di persone indigenti ed in povertà, troviamo nuove opportunità di intervento criminale, connesse alle filiere produttive ed ai servizi legati alla pandemia, la cosiddetta “COVID economy”.
Non dobbiamo infatti dimenticare che, essendo aumentata la “capacità imprenditoriale” delle cosche, il rischio di infiltrazione nei settori economici caratterizzati dall’erogazione di contributi pubblici, anche con l’arrivo dei fondi comunitari legati alla emergenza sanitaria, diventa elevato. Le mafie hanno un enorme vantaggio rispetto allo Stato: la rapidità di pensiero e di esecuzione, senza vincoli di rispetto delle regole.
Coronavirus, crisi economica, povertà, vuoti di giustizia sociale.
Da sempre le mafie approfittano delle crisi, si insediano nelle fessure della vita pubblica, trovano terreno fertile in una società diseguale, fragile, culturalmente depressa. Il coronavirus ha amplificato questi spazi.
Un’usura, quella gestita dal crimine organizzato, che si mostra stabile nelle grandi metropoli, e che negli ultimi anni sta penetrando velocemente ed in silenzio nelle ricche città di provincia.
Insomma, i clan hanno fatto di questa attività un ramo fondamentale della loro impresa, perché consente di riciclare gli immensi proventi derivanti dal traffico di droga o dal giro delle scommesse ed, in tal modo, di penetrare a fondo nel tessuto dell’economia legale. Nel loro mirino aziende redditizie e attività commerciali floride che, in tempo di crisi, anche quelle meglio strutturate, hanno la necessità urgente di accedere a crediti per non perdere commesse e di conseguenza essere tagliate fuori dal mercato. In questi casi, l’usuraio mafioso è in grado di movimentare e rendere disponibili ingenti somme in breve tempo.
Con i soldi, accompagnati da una costante violenza psicologica ma anche fisica, il passo successivo è inevitabile: il prestito ad usura che, da un lato permette al titolare di salvare l’azienda/attività (o almeno questo è ciò che crede), dall’altro consente al clan di impossessarsi di quell’attività economica, trasformandola in una vera e propria “lavanderia”.

Voglio passare ora, brevemente, ad un cenno sulla normativa relativa all’usura, citando le leggi più rilevanti in materia.
Per far fronte a questa emergenza, lo Stato nel 1996 decise di inasprire le pene e meglio regolamentare diritti e tutele delle vittime. Così, tramite la legge 108/1996, fu modificato l’articolo 644 del Codice penale, distinguendo tra usura oggettiva (o presunta) e soggettiva (o concreta).
La prima scatta qualora si applichino tassi di interesse superiori alla soglia imposta ogni tre mesi dal Ministero del Tesoro; la seconda, invece, riguarda la pratica con cui l’usuraio applica un interesse, al di sotto della soglia, ma comunque sproporzionato, rispetto alle possibilità della vittima.
Un passo in avanti rispetto al passato, se si considera anche l’introduzione dell’aggravante di usura bancaria. Infatti, laddove il colpevole operi in un’attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria, le pene aumentano della metà. Nel dispositivo dell’articolo 644 c.p. si evidenzia come l’aggravante miri a reprimere l’acquisizione, da parte degli strozzini (spesso legati ad organizzazioni criminali), di aziende o beni immobili.
La legge prevede l’istituzione di un Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura (art. 14), con il quale erogare mutui senza interesse, di durata non superiore al decennio, a favore di soggetti che esercitino attività economica, che dichiarino di essere vittime dell’usura e risultino parti offese nel relativo procedimento penale; i mutui possono essere erogati anche in caso di fallimento. Tale beneficio può essere concesso anche nel corso delle indagini preliminari. La legge pone precisi divieti all’erogazione dei mutui a soggetti colpevoli di determinati reati.
La stessa legge prevede anche un altro Fondo (art. 15), quello per la prevenzione del fenomeno dell’usura, da utilizzare per l’erogazione di contributi a favore di appositi fondi speciali, costituiti dai consorzi o cooperative di garanzia collettiva fidi denominati !Confidi”. Tali fondi possono essere istituiti dalle associazioni di categoria imprenditoriali e dagli ordini professionali, ovvero da fondazioni ed associazioni che operano per la prevenzione del fenomeno dell’usura: i soggetti in possesso dei requisiti, indicati dal decreto n. 220 del 2007, sono iscritti in appositi elenchi presso le prefetture.
La gestione del Fondo, affidata ad un apposito Comitato, presieduto dal Commissario antiracket e antiusura. è composto da rappresentanti dei Ministeri degli Interni, dello Sviluppo economico, dell’Economia, del CNEL, delle associazioni di solidarietà antiracket di rilevanza nazionale, nonché della CONSAP, quest’ultimo senza diritto di voto.
C’è poi la Legge 44/1999 che prevede la concessione di benefici economici ai soggetti (imprenditori, professionisti, associazioni di categoria organizzazioni antiracket e antiusura) danneggiati da attività’ estorsive.
A tal fine è stato creato un apposito Fondo di solidarietà, alimentato, in aggiunta al contributo statale, con un contributo sui premi assicurativi, una quota delle somme di denaro confiscate ai sensi della legislazione antimafia ed una quota del ricavato dalle vendite dei beni confiscati alla criminalità organizzata. In più gli enti locali, utilizzando le risorse a propria disposizione, possono sostenere la prevenzione e la tutela delle attività economiche dalle richieste estorsive attraverso l’esonero, anche parziale, dal pagamento di tributi e tariffe locali.
Con la Legge 448/2001 si è poi provveduto a far confluire i fondi sopra citati (nonché quello per le vittime della mafia di cui alla Legge 512/1999) nel Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura.
Infine, con la Legge 3/2012, sono stati modificati due articoli del codice penale oltre che alcune disposizioni del codice di procedura penale.
In particolare, nel nuovo art. 629 c.p. sono aumentate le multe previste per il delitto di estorsione e si è aggiunta una nuova circostanza aggravante speciale, consistente nell’avere commesso il fatto per assicurare a sé o ad altri, interessi o vantaggi usurari.
Con il nuovo art. 644 c.p si prevede che, nel caso di estinzione del reato (per morte dell’indagato o imputato, amnistia, prescrizione), spetta al giudice disporre la restituzione all’indagato o imputato dei beni sequestrati, in caso di insussistenza dei presupposti del reato di usura; se invece tali presupposti sono ancora sussistenti, i beni sequestrati sono confiscati o restituiti alla vittima del reato o ad un eventuale terzo.
Questo in estrema sintesi, con l’avvertenza che si tratta di accenni alla normativa statale che naturalmente non pretendono di essere esaustivi.
Da segnalare anche l’esistenza di provvedimenti regionali sul tema.

L’ultima parte di questa comunicazione, precisando che la materia e’ talmente vasta ed articolata (e delicata) che non si può certo esaurire in questo breve excursus, voglio dedicarla al settore creditizio, a noi più vicino, ed introdurre alcuni spunti di riflessione.

Intanto, va detto che numerosi ed importanti sono i protocolli di intesa stipulati, sia a livello nazionale (vedi 2007 e quello di qualche giorno fa 2021 tra Ministero dell’Interno e Abi) sia a livello locale presso le Prefetture, con i quali i rappresentanti del mondo bancario e imprenditoriale, insieme con le associazioni e le fondazioni anti-usura, si impegnano ad attuare misure preventive di sostegno alle vittime di usura ed a quei soggetti economici fuori dal circuito del credito, più esposti al rischio estorsivo.

Premesso questo, Il primo aspetto da segnalare riguarda, senza dubbio, il ruolo che le banche devono/dovrebbero avere nel Paese (sull’argomento ci sono anche proposte della Fisac che si sono sviluppate nel tempo, a partire dal “manifesto della buona finanza” alla cui lettura rimando).

Innanzitutto, aggravato dall’avvento della pandemia, è diventato sempre più complicato l’accesso al credito. Questa difficoltà presta il fianco ad “altri” meccanismi che, con maggiore facilità, possono entrare nelle maglie dell’economia.
In effetti, una normativa nazionale ed europea molto rigida nella cessione del credito determina un irrigidimento nella concessione dei prestiti, per non incorrere in “crediti subito problematici” ed a “rischio default”, lasciando spazio a chi, da quei crediti concessi in altro modo, può trarre profitto. In tal modo le banche vengono meno al loro ruolo di intermediatori finanziari, alla loro capacità di essere operatori attenti ai territori ed alle problematiche ad essi legate.

Dunque, c’è da chiedersi: le banche riescono ad essere il primo presidio della legalità? …ed anche: detengono il ruolo di soggetti attivi contro ogni forma di finanziamento fuori mercato o sono invece il primo ostacolo da superare?
A mio parere, le Banche devono/dovrebbero essere messe nelle condizioni di poter contribuire a determinare e diffondere la legalità e la democrazia attraverso la concessione del credito.

Il nesso tra pandemia, economia, credito e’ forte e deve avere risposte tali che impediscano di determinare un circolo vizioso illegale.

Collegato direttamente a questo aspetto è il tema della desertificazione territoriale degli sportelli.
Assistiamo da anni a decisioni che allontanano il sistema bancario dai territori e da quella rete di microimprese che è alla base dell’economia del nostro Paese, con la chiusura delle filiali, con la concentrazione in grandi banche dei centri decisionali che, prima, erano maggiormente radicati nelle realtà locali e ne conoscevano le specificità.
La continua e costante chiusura di sportelli e filiali porta alla desertificazione bancaria di interi territori, con ricadute estremamente pesanti in termini sociali ed economici per la mancanza di intermediatori del credito, legali, affidabili e regolati. Anche questo lascia spazio a chi il denaro e’ in grado di erogarlo in maniera rapida e senza regole.

Illuminante è la fotografia dell’evoluzione della rete bancaria fornita dalla Banca d’Italia: “L’articolazione territoriale degli sportelli bancari operativi in Italia alla fine del 2020 mostra una maggiore presenza nelle regioni del Nord, che rappresentano il 57 per cento del totale nazionale (40 per cento in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto). Il numero di sportelli ubicati nelle regioni del Sud e nelle Isole ammonta complessivamente al 22 per cento del totale nazionale. Nel corso del 2020 si è registrata una riduzione del numero degli sportelli bancari attivi sul territorio italiano, da 24.312 di fine 2019 a 23.481 di fine 2020 (-831 sportelli; -3,4 per cento). La diminuzione ha riguardato tutte le regioni ed è stata percentualmente più accentuata in Valle d’Aosta.

Pertanto, già solo considerando questi due elementi e mettendoli in connessione, cioè la difficoltà di accesso al credito e la mancanza di un interlocutore finanziario sul territorio, risulta evidente quanti spazi si aprano per la criminalità organizzata e per il circuito della concessione di denaro illegale.
Al contrario, sarebbe necessario che il sistema creditizio esercitasse una “Responsabilità Sociale” verso i territori e le comunità.

Per chiudere, va sottolineato che l’aspetto repressivo del fenomeno usura e’ una faccia della medaglia (molto importante), ma non è sufciente per contrastarlo.

Anche prevenzione, educazione finanziaria, cultura sono strumenti fondamentali per combattere la diffusione dell’usura.
In particolare e per prima cosa, è essenziale insegnare alle persone a gestire i propri denari, la propria economia in maniera consapevole, per mettere al riparo il consumatore dai rischi che si aprono con il sovra-indebitamento, aggravatosi ulteriormente in periodo pandemico.
Si è infatti modificata nel tempo la mentalità del consumatore. Prima ci si indebitava solo per beni durevoli o semi-durevoli, quali potevano essere casa e affini; oggi e parliamo soprattutto di fasce giovani, ci si indebita e si accede con molta leggerezza alla richiesta di credito per beni accessori, futili e non di prima necessità.
Di sicuro si acuisce il peso di un modello culturale basato e centrato sul consumo, che diventa valore e parametro di identificazione e di realizzazione.
In questo contesto, già il promuovere, a partire dalla scuola, un diverso modello culturale, più equilibrato e indirizzato verso scelte di vita e di spesa sostenibili, darebbe un contributo importante anche per contrastare il fenomeno usura, e ancora …. intervenire lanciando una campagna di “alfabetizzazione” sulle questioni finanziarie a quote sempre più ampie di popolazione, con una maggiore attenzione alla informazione sugli strumenti di finanziamento dei consumi proposti ai clienti.
Di certo per una azione di prevenzione e contrasto dell’usura non si può prescindere da una costante interazione e cooperazione di tante componenti per costruire una rete tra Istituzioni, società civile, associazioni, volontariato, fondazioni antiusura, scuola e ovviamente banche.
Il settore bancario e finanziario, in questo senso, può e deve fare di più!

EVASIONE FISCALE

I numeri dell’evasione fiscale:

L’evasione fiscale ha assunto in Italia una dimensione davvero preoccupante: parliamo di oltre 102 miliardi di euro, come evidenziato nell’allegato al NADEF del 2021.
Anche se l’andamento complessivo negli anni 2014:2018 sembra tendere ad una lieve flessione, con una diminuzione stimata in poco più di 6 miliardi, lascia riflettere il dato in controtendenza dell’IRPEF che, nelle componenti di lavoro autonomo, lavoro d’impresa e lavoro irregolare, tende invece ad aumentare.

Dei 102 miliardi totali evasi, 32 di essi si riferiscono alla somma sottratta al gettito IRPEF di imprese e lavoratori autonomi, pari al 67%, ed altri 32 miliardi, pari al 23%, sono i miliardi sottratti al gettito IVA.

La cifra di 102 miliardi corrisponde esclusivamente all’evasione in senso stretto, senza tener conto dell’economia sommersa che, secondo l’Istat, vale un giro d’affari pari a 203 miliardi di euro misurati nel 2019. Essa comprende, ad esempio, il sommerso dell’economia (falsi fatturati, falsi costi di imprese e professionisti), il lavoro “nero” o parzialmente irregolare, gli affitti non dichiarati, le attività produttive illegali.

Possiamo meglio comprendere l’entità del fenomeno evasione se pensiamo che:
• la spesa pubblica per la sanità in un anno ammonta a circa 155 miliardi di euro;
• la spesa pubblica dell’istruzione ammonta a 62 miliardi di euro;
• la spesa totale della pubblica amministrazione è pari a 345 miliardi di euro.

Proviamo ora a fare una comparazione con gli altri stati europei:
secondo una relazione del Parlamento europeo, ogni anno in Europa viene evasa una cifra pari a 825 miliardi di euro. L’Italia, in questa insana competizione, è al primo posto, ed ha anche l’indice di evasione fiscale pro-capite più alta di tutta l’UE con 3.156 euro a testa. Subito dietro troviamo Danimarca, Belgio e Lussemburgo, paesi, questi ultimi, dove però all’alto livello di evasione pro-capite corrisponde un reddito pro-capite elevato.

Un secondo studio, elaborato per il gruppo socialisti e democratici del Parlamento europeo, ci fornisce un altro dato legato all’evasione fiscale dei paesi europei, mettendo in relazione le tasse evase col gettito fiscale. In Italia il tax gap vale il 23,29% delle entrate fiscali dello Stato, il quarto valore più alto in Europa dopo Romania, Grecia e Lituania.

Gli evasori rappresentano in Italia una categoria sociale ricercata e coccolata più della classe dei lavoratori, al punto che persino i cosiddetti “governi amici” non hanno resistito al fascino di un condono o di uno scudo fiscale. Che lo si chiami “definizione agevolata”, “pace fiscale”, “voluntary disclosure” a seconda del grado di mistificazione lessicale del governo di turno, si tratta in ogni caso di un furto perpetrato ai danni della collettività, in spregio alle migliaia di cittadini onesti e rispettosi di leggi e scadenze fiscali.

Le recenti esternazioni del Ministro Brunetta sull’opportunità di preannunciare e concordare coi contribuenti le ispezioni fiscali è surreale se rapportata alla realtà appena descritta.

Se non si lavorerà nel profondo della società per favorire la percezione del nesso stretto tra entrate tributarie e spesa per servizi pubblici, non vi sarà alcuna possibilità che società e politica abbiano atteggiamenti meno indulgenti verso il reato di evasione fiscale.

Viviamo il paradosso di una società che, pur potendo disporre di rilevanti risorse tecnologiche ed informatiche, affronta il tema dell’evasione fiscale in modo del tutto inadeguato, inefficace, contraddittorio. A proposito di messaggi contrastanti, è interessante osservare il valzer del limite sulla circolazione del danaro contante negli ultimi anni:

• 1000 euro nel 2007 con il governo Prodi,
• 5000 nel 2010 sotto Berlusconi,
• 1000 con Monti,
• 3000 con Renzi,
• 2000 dal 1 luglio 2020,
• 1000 dal 1 gennaio 2022.

Il modello duale: Agenzia delle Entrate (AdE) ed Agenzia delle Entrate – Riscossione (AdE-R)

Tema altrettanto rilevante è quello legato alla necessità di innalzare il livello di efficienza delle agenzie deputate all’accertamento ed alla riscossione delle imposte, rispettivamente Agenzia delle Entrate ed Agenzia delle Entrate – Riscossione. A tal proposito, la Relazione annuale sulla Riscossione presentata quest’anno al Parlamento ci fornisce una serie di dati interessanti.

È opportuno ricordare come il passaggio dalla gestione privata della riscossione a quella pubblica abbia prodotto un beneficio tangibile per le casse dello Stato:

– Anni 2000:2005 Riscossione gestita da privati —> 3 miliardi di euro

– Anni 2006:2016 Equitalia —> 7,5 miliardi di euro

– Da luglio 2017: fino al mutato scenario per emergenza Covid-19 Ente “AdE-R” —> fino a 10,9 miliardi.

Se riuscissimo a liberare l’attività della riscossione da una serie di limitazioni che non hanno pari con altri paesi d’Europa, potremmo aumentare, e non poco, le entrate erariali.
La Corte dei Conti, infatti, nel rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica segnalava che la posizione creditoria dello Stato è divenuta, per molti versi, deteriore rispetto alle possibilità di tutela che la legge riconosce al creditore privato munito di titolo esecutivo, ed i crediti dello Stato risultano meno tutelati rispetto a quelli di natura privatistica. I giudici contabili aggiungevano anche, sottolineando il valore dell’effetto deterrenza, che “un efficiente sistema di riscossione coattiva dei crediti pubblici costituisce una imprescindibile necessità per il corretto funzionamento di un sistema fiscale incentrato sull’adempimento spontaneo”.

Ecco i vincoli normativi, alcuni dei quali pregiudicano fortemente l’esito della riscossione:

– impossibilità di espropriare la prima casa destinata all’uso abitativo,
– possibilità di espropriare fabbricati non prima casa solo per debiti superiori a 120.000 euro,
– soglia dell’iscrizione ipotecaria per debiti superiori ad euro 20.000,
– impignorabilità beni strumentali all’attività,
– limiti alla pignorabilità degli stipendi ed alle procedure presso terzi,
– brevità dei termini di efficacia della notifica degli atti,
– obbligo di comunicazione preventiva per il fermo amministrativo dei beni mobili registrati.

Altro problema, anch’esso determinante, è costituito dal cosiddetto “magazzino” dei crediti non riscossi. Nel ventennio 2000-2020 risultano in carico ad AdE-R circa 999 miliardi di euro di crediti d’imposta non riscossi. È corretto auspicare, come evidenziato nella Relazione annuale sulla Riscossione, che il Legislatore formalizzi una prassi prescrittiva delle imposte non riscosse a causa dell’infruttuosità delle procedure esecutive, liberando l’Agente di Riscossione da inutili ed improduttivi adempimenti burocratici, ma è altrettanto necessario, a mio giudizio, che la parte dei crediti con caratteristiche di inesigibilità siano passati sotto la lente d’ingrandimento, anche prevedendo forme innovative di collaborazione con la Guardia di Finanza, al fine di aggredire il fenomeno dei “prestanome”, come giustamente sottolineava in una recente intervista il prof. Vincenzo Visco.

Anche su di un piano pratico, oltre che etico, le definizioni agevolate varate in questi anni (rottamazione, rottamazione bis, rottamazione ter, saldo e stralcio, annullamento carichi del 2000:2010 fino a 1.000 euro) hanno inciso sulla montagna dei crediti non riscossi in modo non significativo, meno del 10%.

È assolutamente condivisibile che vi sia maggiore integrazione tra le due agenzie fiscali, AdE ed AdE-R, soprattutto per accedere a banche dati, anche in forma massiva, quali:

– la banca dati della fatturazione elettronica, che consentirebbe di intervenire su crediti di soggetti che hanno un’esposizione fiscale,

– l’anagrafe dei rapporti finanziari, che servirebbe ad accedere ai conti bancari, quelli capienti, dei contribuenti con significative esposizioni fiscali e/o ad intervenire nel caso di alienazione sospetta di beni.

La semplificazione della governance, la condivisione di archivi informatici, la necessità di liberare da tanti vincoli normativi il processo di riscossione non richiedono necessariamente l’incorporazione di AdE-R in AdE, come auspicato sempre nella Relazione annuale sulla Riscossione, in quanto quest’operazione:

• non produrrebbe benefici economici all’erario,

• sarebbe in contraddizione con l’art. 97 della Costituzione, essendo il primo un Ente Pubblico Economico di diritto privato, la seconda una Pubblica Amministrazione,

• cancellerebbe la possibilità di fornire il servizio di riscossione agli enti diversi dallo Stato (Comuni, Regioni, Camere di Commercio, ecc.).

Pensieri finali:

L’organizzazione della tassazione è un “odioso” strumento di imposizione fiscale, ma è anche stato un fattore d’accelerazione nella direzione della costituzione dei grandi stati moderni. Il Fisco è un simbolo concreto di appartenenza e di partecipazione. L’esempio storico più famoso è quello delle colonie americane, che si ribellarono alla madre patria Inghilterra proprio perché il nesso tra rappresentanza e tassazione era stato negato, il celebre “No taxation without representation”. Oggi potremmo estendere il concetto affermando che tanto più è sopportabile la pressione fiscale quanto maggiore risulta essere la correlazione tra imposte e servizi offerti alla collettività.
Inoltre, in Europa non basta aver unificato solo la moneta. Sarebbe necessario cimentarsi anche su di un altro fronte, quello delle politiche fiscali omogenee: non è più possibile che colossi mondiali quali Google, Facebook, ecc. siano sottoposti a regimi fiscali diversi, che generano loro notevoli benefici, nell’ambito dell’eurozona.

ANTIRICICLAGGIO

Il riciclaggio di denaro, è il reinvestimento di capitali illeciti in attività lecite.

In altri termini il denaro sporco, tramite una serie di passaggi che possono coinvolgere anche i professionisti, viene lavato e impiegato nei settori immobiliare, imprenditoriale e finanziario.

Tale pratica occupa circa il 10% del PIL mondiale.

La prima norma che innova introducendo il termine “riciclaggio”, sarà l’art. 23 della L. 19 marzo 1990, n. 55 che ha altresì ampliato i reati presupposto prevedendo tra questi anche i delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
A seguito poi della ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio approvata l’8 novembre 1990 a Strasburgo, nel 1993 l’oggetto materiale del reato veniva ampliato passando dal “denaro o valori” al “denaro, beni o altre utilità”.
Oggi viene posto alla base del riciclaggio ciascun delitto non colposo venendo così a colpire ogni illecito idoneo a produrre proventi. L’art. 648-bis c.p. punisce infatti chiunque, al di fuori delle ipotesi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni ovvero altre utilità provenienti da un delitto non colposo nonché chiunque compia operazioni di altra natura tali da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene riciclato.

L’inizio dell’antiriciclaggio risale al 12 dicembre 1988 ossia al momento in cui i Paesi membri del Comitato di Basilea per le regolamentazioni bancarie e le pratiche di vigilanza firmavano la 2 Dichiarazione di principi sulla prevenzione dell’utilizzo a fini criminosi del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita.
È in questo contesto che, per la prima volta, un gruppo di Stati rileva come altamente dannoso per il sistema economico globale il fenomeno del riciclaggio.
Da questo momento tutti gli Istituti bancari dovranno attrezzarsi in ossequio all’obbligo di verifica della clientela mediante procedure efficaci.

La Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi da reato firmata a Strasburgo l’8 novembre 1990 – poi confermata dalla Convenzione di Varsavia del 16 maggio 2015 – ha definito il concetto di reato presupposto come quel fatto penalmente illecito dal quale si generano i proventi oggetto del riciclaggio.

Particolare rilievo, specie per il nostro Paese, assumono le fonti sviluppate a livello eurounionale con le famose quattro direttive antiriciclaggio che hanno saputo rincorrere efficacemente ed adeguarsi alle innovazioni ed agli sviluppi in punto tecnologia e modernizzazione dei reati di riciclaggio.
l’attuale impianto europeo ha origine con la Direttiva 91/308/CEE, c.d. prima direttiva antiriciclaggio – recepita dall’Ordinamento italiano con la L. 5 luglio 1991, n. 197 – che, perseguendo il duplice obiettivo della trasparenza del mercato finanziario e dell’intercettazione delle operazioni sospette, ha affidato al sistema economico, rappresentato dalle banche e dagli intermediari i compiti di prevenzione mediante l’esame delle transazioni finanziarie.

Si sono così estrinsecati gli obblighi di:
– identificazione della clientela
– registrazione dei dati e delle operazioni, e della segnalazione all’Autorità competente delle operazioni sospette. Autorità competente: Ufficio Italiano dei Cambi.

La legge interna di recepimento aveva poi previsto un’ulteriore misura nell’ottica di prevenzione al riciclaggio: il limite massimo di 12.500 euro per l’uso di denaro contante o titoli al portatore obbligando l’operazione di valore superiore al transito, e quindi al vaglio, nel sistema finanziario.

Dieci anni più tardi l’impianto normativo è stato ampliato dalla Direttiva 2001/97/CE, c.d. seconda direttiva antiriciclaggio – recepita dal D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56 – che ha imposto agli Stati membri un maggior livello di prescrizioni ampliando l’ambito soggettivo dei destinatari degli obblighi in punto prevenzione al riciclaggio.
Questi sono quindi stati estesi ad altre categorie, agli avvocati, ai commercialisti, ai revisori dei conti ed ai notai.
Tale ausilio è coniugato nell’identificazione del cliente, nella registrazione dell’operazione, nella conservazione dei relativi dati e nell’eventuale segnalazione delle operazioni ritenute sospette.

Il quadro complessivo viene poi ampliato con la terza Direttiva 2005/60/CE , – Prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo-.
A far data dall’11 settembre 2001, è nata l’esigenza di contrastare il nuovo fenomeno del finanziamento del terrorismo, nella fattispecie di intercettare capitali che seppur di lecita provenienza concorressero a finanziare questo nuovo trend criminale.

Il Legislatore interno ha recepito la norma comunitaria tramite due decreti legislativi, il n. 109 del 22 giugno 2007 ed il n. 231 del 21 novembre 2007, con cui introduce il concetto del beneficiario e della verifica adeguata.
La Direttiva 2015/849, c.d. quarta direttiva – recepita nel nostro Ordinamento dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 – ha rafforzato il contesto normativo esistente adeguandolo alle sopravvenute esigenze.

Direttiva 2015/849, c.d. quarta direttiva – recepita nel nostro Ordinamento dal D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 – che ha rafforzato il contesto normativo esistente adeguandolo alle sopravvenute esigenze.

La quinta direttiva , che inasprisce le regole su alcuni settori chiave: i servizi di cambio tra valute legali e valute virtuali e i prestatori di servizi di portafoglio digitale; le carte prepagate, le unità di informazione finanziaria, i trust e gli istituti giuridici.

LA VERIFICA DELLA CLIENTELA

il D. Lgs. 231/2007 è rappresentato dalla verifica adeguata della clientela che rafforza il preesistente obbligo di identificazione del soggetto che effettua l’operazione nell’ottica di una maggiormente approfondita analisi del soggetto agente.
L’identificazione si realizza mediante l’ acquisizione anagrafica dei dati del cliente ed individua lo scopo dell’operazione.
Il D. Lgs. 90/2017, delinea una due diligence finanziaria complessa basata sulla valutazione del rischio di profilo soggettivo e di profilo oggettivo.
Il primo coinvolge il cliente e ne esamina la natura giuridica, l’attività prevalentemente svolta, l’area geografica di residenza o sede, nonché il comportamento tenuto al momento dell’operazione.
Il secondo si riferisce all’operazione (ovvero prestazione professionale) individuandone il tipo, la modalità di svolgimento, l’ammontare, l’area geografica di destinazione del prodotto e, valutati in rapporto all’attività svolta dal cliente, la frequenza, il volume e la ragionevolezza dell’operazione.

La normativa ha stabilito che l’obbligo di verifica adeguata della clientela insorge nel momento in cui si instaura un rapporto continuativo o viene conferito un incarico professionale, quando venga eseguita un’operazione occasionale che comporta la movimentazione di pagamenti di importo pari o superiore a 15.000 euro, o il trasferimento di fondi superiore a 1.000 euro, o nel caso di riciclaggio o finanziamento al terrorismo, nel caso in cui ci siano dubbi sui dati ottenuti al momento dell’identificazione del cliente.

L’obbligo di adeguata verifica della clientela anche per operazioni a carattere occasionale e di importo inferiore a 15.000 euro grava altresì sulle banche, su Poste Italiane S.p.A., sugli istituti di pagamento e sugli istituti di moneta elettronica ivi compresi quelli aventi sede in altro Stato membro dell’Unione Europea per ogni prestazione di servizi di pagamento e per l’emissione o la distribuzione di moneta elettronica.
In quest’ultimo caso occorrerà ottenere la denominazione, la sede legale e il codice fiscale.

Nel caso di persona fisica si procede ad annotare, tramite il documento di identificazione, i dati anagrafici, l’indirizzo di residenza o domicilio, il codice fiscale e gli estremi del documento di identificazione.

La tipologia di prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione sono:
– i contratti assicurativi vita con premio annuale inferiore o uguale a 1.000,00 euro o il cui premio unico sia uguale o minore di 2.500,00 euro;
– le forme pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 salvo che non prevedano clausole di riscatto diverse da quelle elencate all’art. 14 del citato decreto legislativo e che non possano fungere a garanzia per un prestito salvo specifiche previsioni di legge;
– i regimi previdenziali (o sistemi analoghi) che versano prestazioni pensionistiche ai dipendenti tramite detrazione dalla retribuzione senza previsione del potere di disposizione e trasferimento dei diritti dei beneficiari, salvo che successivamente al decesso del titolare;
– i prodotti e servizi finanziari che favoriscono l’inclusione finanziaria mediante ben definiti e circoscritti servizi;
– i prodotti in cui i rischi di riciclaggio o finanziamento al terrorismo sono attenuati da fattori quali trasparenza della titolarità ovvero limiti di spesa;
– moneta elettronica utilizzabile per l’acquisto di beni e servizi non ricaricabile ;
– moneta elettronica anonima e salvo che il dispositivo non sia ricaricabile, l’importo massimo memorizzato e mensile d’uso non deve superare la quota 250 euro entro i confini dello Stato italiano.

I fattori di rischio relativi alle prestazioni professionali sono attenzionati da un’allerta nei confronti di attività ad elevato grado di personalizzazione dell’offerta professionale rivolta a clienti significativamente dotati di patrimonio.

Sono poi ritenute a rischio:
le prestazioni capaci di favorire l’anonimato,
le operazioni di pagamento anonime ossia non ricollegabili ai clienti,
quelle occasionali eseguite a distanza e senza possibilità di portare a termine un adeguato riconoscimento.

Tutte le pratiche commerciali di nuova generazione che, utilizzando la tecnologia dell’online, sono ex se definibili ad alto rischio di riciclaggio e finanziamento al terrorismo.

La verifica rafforzata dovrà essere effettuata nel caso in cui la prestazione professionale coinvolga Paesi non GAFI compliant ovvero non ritenuti cooperativi dagli Enti internazionali (UE, GAFI, FMI, Moneyval) o ancora Stati con al proprio interno un elevato tasso di corruzione e crimini gravi, piuttosto che Paesi assoggettati a sanzioni o embarghi.

Le misure di adeguata verifica rafforzata trovano poi un’imposizione nel caso di clientela residente nei Paesi definiti ad alto rischio dalla Commissione europea, o per i rapporti di corrispondenza transfrontalieri con un ente creditizio o istituto finanziario corrispondente di un Paese terzo, nonché nel caso di prestazioni tenute a beneficio di clienti – e titolari effettivi – politicamente esposti.

Quella della “persona politicamente esposta” è una delle novità introdotte dal D.Lgs. 90/2017 art. 1.
VI rientrano:
– tutte le quelle persone fisiche che occupano o hanno rivestito cariche pubbliche di rilievo e i loro familiari diretti
– le persone che intrattengono stretti legami con questi.

Le verifiche devono essere commisurate al grado di rischio dei diversi prodotti o transazioni richiesti, quindi devono essere efficaci e utilizzare ogni informazione proveniente da fonti attendibili – siti internet o database ufficiali – per poi assicurare costantemente un controllo sulla prestazione professionale.
Non esistendo un elenco ufficiale che enumera le persone politicamente esposte è possibile sia il ricorso alle banca dati stilate dalle società specializzate, sia la creazione di una banca dati propria del professionista che, una volta assunte le informazioni sul proprio cliente, se del caso lo inserisca nell’elenco interno.

L’adeguata verifica, così come previsto dal comma 7 dell’art. 17 D. Lgs. 231/2007 come indicatodal D. Lgs. 90/2017, non è richiesta nel caso in cui l’attività del professionista sia di mera redazione e trasmissione ovvero di sola trasmissione delle dichiarazioni derivanti da obblighi fiscali e degli adempimenti concernenti l’amministrazione del personale ex art. 2, c. 1, L. 11 gennaio 1979, n. 12.

In tutti gli altri casi l’obbligo di verifica va sempre atteso o nella forma semplificata, richiesta dello scopo e della natura della prestazione oltre che identificazione del titolare effettivo, o in quella rafforzata per clienti posti ad alto rischio per i quali, come abbiamo già avuto modo di dire, è necessaria la creazione di un approfondito bagaglio informativo sia sulla natura dell’attività sia avendo riguardo del cliente e del suo rapporto con gli eventuali titolari effettivi.

L’ANTIRICICLAGGIO NELLE ASSICURAZIONI

In linea con quanto previsto dalla legge italiana (“decreto antiriciclaggio”, il Dlgs. n. 231/2007, come modificato dal Dlgs. n.90/2017) e dagli orientamenti europei (EBA, ESMA, EIOPA), l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS) ha pubblicato nel febbraio 2019 un nuovo Regolamento, il n. 44/2019, recante disposizioni mirate a prevenire l’utilizzo di imprese di assicurazione ed intermediari ai fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
L’Istituto, nel dare attuazione al decreto, ha opportunamente integrato in un unico regolamento la disciplina precedente di cui ai regolamenti IVASS n. 41/2012 e n. 5/2014, che sono stati abrogati con l’entrata in vigore del Regolamento.
I 61 articoli del Regolamento intendono rafforzare i presidi antiriciclaggio chiedendo a imprese e intermediari assicurativi di agire attivamente nell’individuare e valutare i rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo ai quali sono esposti e nella scelta delle misure migliori per fronteggiarli.
A livello strutturale riunisce al proprio interno le disposizioni in materia di organizzazione e controlli, da un lato, e di adeguata verifica della clientela, dall’altro lato, anche agli intermediari assicurativi a partire dall’entrata in vigore delle disposizioni sulle procedure di mitigazione del rischio.

Rispetto al precedente Regolamento ISVAP n. 41/2012, sono stati dettagliati gli adempimenti previsti per le imprese in tema di obiettivi del sistema di governo societario e del sistema di controllo interno, di cultura del controllo interno e di flussi informativi e canali di comunicazione.

Si prescrive inoltre, di documentare le misure analoghe che la direzione generale è tenuta ad adottare per mitigare e gestire il rischio di riciclaggio.

Coerentemente con la disciplina contenuta nel decreto antiriciclaggio, il Regolamento ha confermato l’estensione dell’ambito di applicazione anche alle imprese e agli intermediari assicurativi con sede legale in un altro Paese SEE “stabiliti senza succursale sul territorio della Repubblica italiana”, oltre che alle sedi secondari in Italia di imprese ed intermediari assicurativi aventi sede legale in un altro Paese SEE e a quelle di imprese aventi sede legale in uno Stato terzo.

POLICY ANTIRICICLAGGIO

Il Regolamento introduce l’obbligo di approvare una politica aziendale che indichi le scelte rilevanti in materia di assetti organizzativi, procedure e controlli interni, di conservazione dei dati, di adeguata verifica, nonché di requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza del titolare della funzione antiriciclaggio e, se diverso, del delegato per le segnalazione delle operazioni sospette per assicurare coerenza con l’effettiva esposizione al rischio di riciclaggio.

ALTA DIREZIONE

Cura l’attuazione degli indirizzi strategici e della politica di gestione del rischio di riciclaggio definiti dall’Organo amministrativo definisce in apposito documento analitico, nell’ambito dei criteri generali individuati dall’Organo amministrativo, le scelte concrete effettuate sui diversi profili rilevanti assicura la coerenza delle scelte operative di dettaglio sulla base dei principi individuati dall’Organo amministrativo.

FUNZIONE ANTIRICICLAGGIO

Alla funzione antiriciclaggio è stata garantita interlocuzione diretta con gli Organi amministrativo e di controllo. Nel caso in cui la funzione antiriciclaggio venga attribuita alla funzione di verifica della conformità alle norme o a quella di gestione dei rischi, è richiesto che il titolare possieda gli specifici e adeguati requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza propri di tutte le funzioni ricoperte congiuntamente.
Il titolare della funzione antiriciclaggio deve possedere almeno i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza (previsti dall’art. 76 del Codice delle Assicurazioni Private e delle relative disposizioni di attuazione).
Laddove si esternalizzi la funzione, occorrerà nominare un “titolare” in luogo del “preposto” al proprio interno a cui è affidata la complessiva responsabilità della funzione esternalizzata.

RESPONSABILE DELEGATO PER LA SEGNALAZIONE DI OPERAZIONI SOSPETTE

È incluso, tra i suoi obblighi, quello di mantenere evidenza delle valutazioni effettuate, anche in caso di mancato invio della segnalazione all’Unità di informazione finanziaria per l’Italia del decreto antiriciclaggio (UIF). Inoltre, è stato previsto che gli intermediari assicurativi inviino la Segnalazione di operazioni sospette direttamente alla UIF, qualora non sia individuabile un’impresa di riferimento.

INTERMEDIARI ASSICURATIVI

Gli “intermediari bancari e finanziari”, che ricomprendono anche gli intermediari assicurativi, devono rispettare nell’esternalizzare, eventualmente, l’attività di conservazione di documenti, dati e informazioni a terzi, incluse le stesse imprese di riferimento. Nella precedente disciplina questi obblighi potevano essere assolti mediante la mera trasmissione all’impresa di riferimento. Ulteriori regole per gli intermediari prevedono l’obbligo per le imprese italiane e le imprese.

Nella precedente disciplina questi obblighi potevano essere assolti mediante la mera trasmissione all’impresa di riferimento.
Ulteriori regole per gli intermediari prevedono l’obbligo per le imprese italiane e le imprese stabilite senza succursale di assumere il ruolo di outsourcer, quando ciò venga richiesto dall’intermediario; ancora, è consentito agli intermediari assicurativi di avvalersi anche delle imprese aventi sede legale in un paese SEE, che operano in Italia in regime di libera prestazione di servizi, se queste ultime sottoscrivono un accordo di esternalizzazione conforme ai medesimi requisiti posti a carico delle imprese e delle imprese stabilite senza succursale.
Gli adempimenti posti a carico degli intermediari assicurativi riguardano non solo i clienti ma anche i Beneficiari e gli effettivi titolari.

Le regole in tema di verifica si differenziano a seconda della natura del soggetto (ad es. persona fisica, giuridica, trust, persona politicamente esposta etc…). È prevista la possibilità che le attività a carico degli intermediari assicurativi in materia di verifica dell’identità e di conservazione di dati, documenti e informazioni siano svolte dalle imprese, qualora ciò sia espressamente previsto e disciplinato negli accordi di collaborazione.

ADEGUATA VERIFICA DELLA CLIENTELA

Valutazione del rischio del cliente: Il Regolamento definisce il concetto di approccio fondato sul rischio, gli elementi e i fattori di valutazione del rischio, nonché il sistema di profilatura della clientela. Viene specificato, in particolare, che, per l’identificazione dei fattori di rischio inerenti ad un cliente, occorrerà considerare anche il titolare effettivo del cliente, il beneficiario e l’eventuale titolare effettivo di quest’ultimo e, ove rilevante, l’esecutore.

Identificazione del beneficiario:
È stato previsto che, al momento della designazione, dovranno essere acquisiti almeno i seguenti dati identificativi:
– nome e cognome
– luogo e data di nascita nel caso di soggetti diversi da persona fisica:
– la denominazione
– la sede legale
– il numero d’iscrizione nel registro delle imprese ovvero nel registro delle persone giuridiche o, in alternativa, il numero di codice fiscale. Al momento della liquidazione della prestazione o dell’applicazione di misure rafforzate al rapporto continuativo connesse a fattori di più elevato rischio riguardanti il beneficiario o la relazione con il contraente, saranno acquisiti i restanti dati identificativi del beneficiario:
– residenza anagrafica e, ove diverso, domicilio o estremi del documento di identificazione e codice fiscale per le persone fisiche.

Adeguata verifica a distanza
In coerenza con quanto previsto in altri Paesi europei, il Regolamento ha definito una dettagliata procedura per svolgere l’adeguata verifica da remoto tramite strumenti digitali di registrazione audio/video, ove si utilizzino affidabili soluzioni tecnologicamente innovative. La procedura riflette quella prevista dall’Agenzia per l’Italia Digitale nel Regolamento recante le modalità attuative per la gestione del Sistema Pubblico di Identità Digitale del 28 luglio 2015.

Obblighi di conservazione. Il Regolamento ha dettagliato i requisiti necessari per esternalizzare l’attività a terzi, rinviando, quanto alle concrete specifiche tecniche, a successive disposizioni dell’IVASS sulla conservazione di dati e informazioni in archivi informatizzati.

Misure semplificate e misure rafforzate. Novità di rilievo relativa alle misure semplificate di adeguata verifica della clientela – in coerenza con il cambiamento intervenuto nella normativa primaria – è stato l’adeguamento al Decreto Antiriciclaggio, che non prevede più l’esenzione per le fattispecie già qualificate a basso rischio, ma attribuisce alle imprese il compito di individuare specifici rapporti continuativi e 13 operazioni a basso rischio cui possano essere applicate misure semplificate di adeguata verifica, caratterizzate da una minore estensione e frequenza degli adempimenti.
Per quanto riguarda gli obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, il Regolamento ha individuato i fattori di rischio elevato che richiedono sempre misure rafforzate di adeguata verifica, così come previsto dalla normativa primaria, che detta in proposito norme dettagliate, rinviando alle prossime disposizioni sui fattori di rischio per individuare gli ulteriori fattori di rischio elevato che le imprese dovranno necessariamente tenere in considerazione.

Esecuzione da parte di terzi: Rispetto al passato, per quanto concerne le modalità di esecuzione da parte di terzi degli obblighi di adeguata verifica della clientela, consiste nella possibilità per le imprese di avvalersi degli intermediari assicurativi per svolgere tutte le fasi di adeguata verifica ad eccezione del controllo costante.

Il 13.7.2021, con il provvedimento 2021, si danno ulteriori disposizioni per ridurre il rischio di riciclaggio, confermando la nomina del titolare della funzione antiriciclaggio e del responsabile delle segnalazioni operazioni sospette, come dal Dec. Leg. 21.2.2007 e modifiche al regolamento 12.2.2019.

Roma, 24.11.2021

LA MONETICA

La monetica, ovvero la moneta automatica, designa l’insieme dei trattamenti elettronici, informatici e telematici necessari alla gestione dei pagamenti tramite carte di credito ed affini. Più in generale si occupa della gestione automatica, cioè informatizzata del denaro.

Sviluppare analisi ed approfondimenti su questa tematica è, per il nostro Dipartimento, coerente e rilevante perché ci permette di analizzare la questione della tracciabilità dei flussi di denaro che transitano e che vengono gestiti dagli operatori del credito e quindi ci portano ad affrontare i fenomeni centrali della Legalità o per meglio dire dell’Illegalità nel nostro paese: il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite, dall’evasione fiscale, dal lavoro in nero, dall’usura.

È seguendo questa direttrice che il nostro Dipartimento, in questi anni, ha dato il suo contributo all’analisi che la CGIL ha sviluppato sulla questione dell’uso del contante e sulle elaborazioni che hanno portato in questi anni la nostra Organizzazione ad esprimersi con decisione e chiarezza per un abbassamento dei limiti per l’uso del contante; limiti che mai come in questi ultimi anni sono stati oggetto di intervento da parte della politica. In meno di dieci anni la soglia sull’utilizzo è cambiata innumerevoli volte ed è passata dal limite di 12.499,99 euro del giugno 2008, al minimo storico dei 999,99 euro del dicembre 2011 del Governo Monti per poi tornare a salire con i governi successivi fino all’attuale limite dei 2.000,00 euro che tornerà ad esser 999,99 euro da gennaio 2022. Mentre la politica quindi ha fatto di questa questione, l’ennesimo argomento di propaganda a fini elettoralistici…chi ha tanti soldi, a prescindere dalla provenienza degli stessi, ha anche la possibilità di “muovere voti” …la CGIL ha mantenuto la barra dritta convinta che la riduzione del limite massimo nei pagamenti in contanti ha un impatto diretto sull’economia sommersa, consentendo quindi maggiore regolarità, legalità e maggiori introiti per lo Stato.

La pandemia che ha stravolto le nostre vite negli ultimi due anni, ha avuto impatti anche sulle abitudini relative ai pagamenti degli italiani, fattori come l’aumento del commercio online, il miglioramento della sicurezza nelle transazioni elettroniche con il doppio fattore di autenticazione e le nuove forme di pagamento via smartphone, stanno riducendo l’uso del contante in Italia; lo stesso governo, ha recentemente promosso iniziative in questo senso, come la campagna cashback. Negli ultimi cinque anni la crescita dei pagamenti elettronici in Italia è stata la più alta in Europa, evidenziando una propensione per il cambiamento sostenuto appunto dai progressi tecnologici che ne facilitano l’adozione, come il contactless, l’e-commerce e la progressiva digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni. Il processo di abbandono del contante si è quindi accelerato, tuttavia permane incertezza in merito al rischio di reversibilità non appena la crisi sanitaria sarà superata, questo perché l’avversione a “toccare” il denaro è stato un fattore determinante nel cambiamento delle abitudini di pagamento. L’analisi e l’attenzione del nostro Dipartimento sul fenomeno dell’uso del contante, rimane quindi, quanto mai centrale, essendo il nostro un punto di osservazione privilegiato che vogliamo continuare ad arricchire di analisi ed elaborazioni da mettere a disposizione di tutta la CGIL.

Affrontare il tema della monetica ci porta, come Dipartimento, ad analizzare i processi di digitalizzazione in atto nel nostro Settore che proprio nell’evoluzione dei mezzi di pagamento, hanno trovato il punto più avanzato di una trasformazione più complessiva, con la quale già dagli ultimi tre rinnovi del Contratto nazionale, come Fisac, stiamo facendo i conti. Partendo quindi dall’analisi di come le banche si stanno adeguando alle nuove esigenze della clientela in riferimento alle modalità di pagamento, abbiamo l’opportunità di dare un contributo all’analisi che la Fisac e la CGIL sta’ facendo e che sarà sempre di più chiamata a fare per dare risposte ad un mondo del lavoro in fase di profondo cambiamento, dovuto a quella che possiamo definire rivoluzione digitale.

Le nuove tecnologie utilizzate per effettuare i pagamenti si avvalgono di intermediari che possono essere banche o società di carte di credito. È circa dal 2015 che anche in Italia si parla di fintech, cioè di società che offrono servizi di finanziamento, di pagamento (paytech), di investimento e di consulenza ad alta intensità tecnologica che comportano forti spinte innovative nel mercato dei servizi finanziari.

Gli sviluppi della tecnologia in campo finanziario, anche e soprattutto nel settore dei pagamenti digitali, presentano delle potenzialità che aprono delle opportunità in termini di ampliamento dei canali di offerta di servizi agli utenti (consumatori e imprese), di riduzione dei costi, di miglioramento della qualità dei servizi, di inclusione finanziaria, ma al contempo ci chiedono come Sindacato un presidio attento per garantire che il processo di innovazione in atto garantisca uno sviluppo equilibrato tra opportunità e rischi. Ci richiede quindi di porci come interlocutore delle controparti bancarie, ma anche delle autorità pubbliche e degli organi di vigilanza, per un protagonismo sindacale che non marginalizzi il nostro ruolo a quello della gestione delle situazioni di crisi occupazionali che è la soluzione prediletta dalle banche, ma che riteniamo non possa e non debba essere accettata con fatalismo. Quale ruolo avranno le lavoratrici ed i lavoratori nel nuovo modello di banca, del prossimo futuro, è frutto di scelte e come Fisac abbiamo l’obbligo e la volontà di esserci da protagonisti, a difesa dell’Area contrattuale e della quantità e della qualità del lavoro nel nostro Settore, nel prossimo futuro.

Il processo di specializzazione delle attività relative al mondo della monetica è già in atto da alcuni anni nel nostro settore, le ristrutturazioni che hanno coinvolto Setefi (Banca Intesa) e quelle avvenute di recente tra Nexi e Sia, delineano un mercato sempre più evoluto e specializzato, con un forte accentramento in capo al principale player del settore a livello nazionale, nato appunto dalla recente fusione per incorporazione  di Sia in Nexi e che gestirà circa il 92% del traffico nazionale dei flussi di pagamento. Ma come purtroppo siamo abituati a vedere e contestare alle nostre controparti bancarie, in tutti questi processi di  fusione e ristrutturazione, l’unico interesse sembra essere quello dell’efficientamento e del contenimento dei costi (che non sempre, tra le altre cose, si traducono in servizi più economici per la clientela) e quindi esuberi, esternalizzazioni di attività (servizi di assistenza telefonica 24h24 su call center no CCNL credito), cessioni di attività a settori non bancari, ricadute che come sindacato ci troviamo a gestire nelle varie realtà bancarie.

Rispetto a questi processi in atto, come Dipartimento, riteniamo di valore realizzare uno studio ed un’analisi di come sta’ cambiando il mondo della monetica in Italia, per mettere a disposizione della Fisac nazionale, un quadro quanto più aggiornato del settore che possa permetterci di dare una risposta organica, comune ed omogenea a tutte le realtà bancarie, provando a dare concretezza e seguito all’idea della “Cabina di regia sulla digitalizzazione”, nata dall’ultimo rinnovo del nostro CCNL.

Sempre su questo filone, essendo la Monetica uno dei processi che più di tutti sta’ subendo trasformazioni legate alla digitalizzazione, in un settore come quello bancario-assicurativo che più di altri è in profonda evoluzione, lo studio del fenomeno ha, nelle nostre intenzioni, anche l’obiettivo di approfondire gli impatti che certamente si avranno con l’ingresso nel mondo dei servizi dei pagamenti e finanziari delle cd Bigtech,     cioè i colossi del mondo tecnologico, cioè Google, Microsoft, Facebook, Amazon etc. Gli investimenti di questi colossi della tecnologia, vanno sempre di più verso i settori ad alto contenuto di processo (quindi anche nel mondo dei servizi finanziari), dove la tecnologia può creare valore tramite l’automazione di attività ripetitive. Col passare del tempo le strategie di espansione e diversificazione dei big tech si sono affinate, passando dalla logica delle economie di scala guidata dalla tecnologia, a quella di economia di scopo guidata dalla share sulla clientela mondiale. Per i big tech, servire il cliente a tutto tondo è indispensabile sia per continuare a crescere sia per mantenere la posizione di oligopolio sul mercato. In un mercato sempre più globale, ogni cliente deve essere sempre più “monopolizzato” dalla piattaforma per trasferire la sua redditività da altri business a quello dei big tech.  I big tech, modalità “competizione globale”, lo hanno capito per prime e hanno iniziato ad offrire la più ampia possibile gamma di servizi su tutta la catena del valore. L’effetto indotto di questa competizione nel mondo digitale è la modificazione strutturale dei confini tra settori, resi sempre più fluidi dalla riconfigurazione dei processi attraverso l’uso delle tecnologie. In questo scenario, le istituzioni finanziarie, storico intermediario fra consumatori ed imprese, si sono trovate penalizzate (nei costi e nell’agilità) da ciò che per anni è stato il principale asset e barriera all’ingresso: il canale fisico. In prospettiva per banche ed assicurazioni ci sono due nodi da sciogliere che riguardano proprio il loro modello di business: l’innovazione dell’offerta per rispondere ai nuovi trend ed esigenze dei consumatori, e quella dei canali offline, che assumo un nuovo ruolo in un contesto di digitalizzazione.  La sfida sta nella frase di Bill Gates “Banking is necessary, banks are not”.

L’Italia dimostra essere tra i paesi europei più interessati a lavorare con le bigtech in termini finanziari. Ed è all’interno dell’Europa, l’Italia è il paese che mostra il maggior interesse condividere i dati personali dei social network con le istituzioni bancarie tradizionali (24,0%) e i propri dati finanziari con le bigtech (25,8%) in cambio di incentivi.

È partendo da questi presupposti che riteniamo che le analisi che andremo a fare, come Dipartimento, in relazione alle evoluzioni della monetica, possano essere un contributo prezioso per le elaborazioni che tutta la nostra Organizzazione sta’ facendo e dovrà necessariamente continuare a fare per svolgere un ruolo da protagonista a difesa del lavoro, in contesto che sta’ vivendo una trasformazione epocale.

Tornando ai processi di accentramento che stanno caratterizzando l’evoluzione del mercato della monetica in Italia, oltre ai rischi che questi potrebbero portare in termini di efficientamenti/esuberi, come Dipartimento Legalità pensiamo che possano esserci anche delle importanti opportunità date dal fatto che le transazioni elettroniche, forniscono una quantità di informazioni sui movimenti di denaro che finora sono state molto più difficilmente reperibili. Riuscire a coinvolgere tutti i soggetti protagonisti di questi processi di trasformazione che riguardano la monetica, quindi: Cgil, Abi, Associazioni dei consumatori (Federconsumatori?), Banca d’Italia, Guardia di Finanza, Magistratura, Politica; in una discussione sul tema tracciabilità dei pagamenti e legalità, ci potrebbe permettere, a livello di sistema Paese, di avere nuovi strumenti per fare emergere fenomeni quali ad esempio il riciclaggio di denaro di provenienza illecita, sfruttando proprio quello che è il fattore vincente delle Big Tech e cioè il possesso dei dati/informazioni e la capacità di elaborarli/usarli ai propri scopi.

È quanto mai valido il messaggio che ci ha lasciato Giovanni Falcone che potremmo declinare così:

Seguite i soldi e troverete l’illegalità!

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