La nostra proposta di lettura di oggi è presentata da Elisabetta Masciarelli, Coordinatrice Fisac dell’Organizzazione Produttiva di Generali.
Quando si comincia a capire che le parole sono importanti? Dalla nascita primeggiano il pianto ed il sorriso, il gesto ed il comportamento.
Poi si comincia a parlare e tutti applaudono il primo ‘mamma’, le prime espressioni anche un po’ buffe.
Coll’andare del tempo si dà sempre meno peso alle parole che costituiscono spesso la prima avvisaglia di una violenza latente che sta montando dentro una persona verso un’altra.
Interessante e sorpreso è il commento dell’ insegnante che ha richiamato l’attenzione dei ragazzi sulle parole.
Mi permetto di aggiungere che questa attenzione sarebbe importante che fosse dedicata anche dai genitori, magari ponendo una semplice domanda: “ma ti piaci quando parli così?”.
Oggi mi sono svegliato alle sei per preparare una bella lezione di geografia sulle Americhe, slide, foto fantastiche, tutto: ero gasatissimo.
Non vedevo l’ora! Soprattutto di gustarmi le facce dei miei ragazzi quando avrei raccontato loro delle strane leggi che hanno negli Stati Uniti.
Poi però mi son detto: dai, passiamo al bar un attimo. E caffè e cornetto in mano mi è capitato sotto gli occhi un articolo. Un articolo di giornale.
Si parlava di un assassino. Di come aveva ucciso la ex moglie, le figlie, la ex suocera.
E in quella storia così orribile mi è cascato l’occhio su alcune parole. Alcune parole che il giornalista aveva usato per descriverla.
Beh, è andata che poi in macchina ho cambiato idea. Niente Americhe oggi. Oggi si ragiona sulle parole. Perché chiedo scusa a alle leggi del Winsconsin e alla Cordigliera delle Ande, ma io non ne posso più.
Che prima del coltello, prima della violenza, arrivano sempre le parole. E se non cominci da loro, dai ragazzi e dalle ragazze di terza media, poi è sempre più dura.
E così ho tirato fuori altri tre articoli recenti, presi da internet, altri casi di donne uccise dal marito, dal padre, quasi sempre dall’ex. Li ho proiettati sulla lavagna e ho chiesto a ragazzi e ragazze: facciamo una caccia adesso.
“Che caccia, prof?”
“Eh, una caccia di parole”.Ho chiesto loro di trovarmi quante più volte che potevano le parole “raptus”, “improvviso”, “tragedia”. Cinque minuti, sono bastati: ne hanno trovate otto su tre articoli.
Raptus, improvviso e tragedia.
Le prime due che, anche se non te ne accorgi, ti fanno capire che è stata una cosa di un attimo – come a dire: e chi se lo poteva aspettare? – e l’altra, tragedia, che invece ti dice: be’, era destino, non era qualcosa che si aveva il potere di evitare. Come un Fato imperscrutabile che, come un fulmine dal cielo, noi umani non possiamo governare.
“Secondo voi è davvero un attimo, quando succede? Non ci sono mai segnali prima? Ed è una tragedia inesorabile, o è qualcosa che si può evitare?”
Non ricordo tante altre volte in cui sono stati così in silenzio. Una terza media, figurati: il silenzio non sanno neanche cosa sia. Un silenzio che era già una risposta.
E che diceva che l’amore, con quella roba lì alla lavagna, non c’entrava niente. Perché loro, a tredici anni, lo sanno che l’amore è una carezza. E una carezza non ferisce: tutt’al più, rimargina.
Enrico Galiano