L’ANGOLO LEGALE: Controllo dei dipendenti: il ricorso alle agenzie investigative
Torna all’indice Il ricorso alle agenzie investigative è uno dei modi con cui il datore di lavoro esplica il potere di controllo sui dipendenti, prima di trattare nello specifico l’argomento è opportuno fare una breve premessa.
Nel rapporto di lavoro subordinato il datore di lavoro esercita nei confronti del lavoratore un potere direttivo, disciplinare e di controllo. Quest’ultimo è volto a verificare l’esatto adempimento degli obblighi del dipendente ed è soggetto a vincoli tesi a garantire il rispetto del diritto alla tutela , alla dignità e alla riservatezza del lavoratore.
Il datore di lavoro, ad esempio, ha il potere di controllare che il lavoratore, nell’esecuzione della prestazione lavorativa, usi la diligenza dovuta, osservi le disposizioni impartitegli, rispetti gli obblighi di fedeltà sullo stesso gravanti. Al fine di tutelare la dignità, la libertà e la riservatezza dei lavoratori, gli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori individuano a tal proposito specifici limiti. L’art. 2 prevede che il datore di lavoro possa impiegare le guardie giurate solo per scopi di tutela del patrimonio aziendale; L’art. 3 legittima l’utilizzo del personale di vigilanza previa informazione ai lavoratori sulle persone incaricate alla sorveglianza e sui compiti ad essi assegnati; L’art. 4 prevede il divieto dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (tale articolo è stato poi novellato dal Decreto Legislativo n. 151/2015 cosiddetto Jobs Act ).
Nonostante gli articoli sopra citati siano stati posti a tutela del lavoratore, non è preclusa la possibilità al datore di lavoro di ricorrere a strumenti di controllo più subdoli e sofisticati.
Parliamo del controllo effettuato attraverso investigazioni private nei confronti del lavoratore che opera fuori i locali di lavoro; la domanda da farsi è se il pedinamento del lavoratore ad opera dell’investigatore privato sia legittimo o viceversa possa costituire una violazione della sua privacy. Essere fotografati, spiati e ripresi da una telecamera è una pratica che molte aziende usano per motivare contestazioni disciplinari a cui seguono provvedimenti disciplinari e licenziamenti.
La Giurisprudenza del lavoro in questi ultimi anni si è espressa sul tema dettando i limiti e i confini entro cui tale attività sia ritenuta non in contrasto con il diritto alla riservatezza e alla privacy del lavoratore.
In particolare il datore può disporre controlli attraverso un’attività investigativa qualora sospetti che il mancato svolgimento della prestazione sia frutto di una condotta illecita del lavoratore (Cassazione sez. lav. N. 11697/2020); questa ipotesi giustifica il ricorso da parte dell’azienda al controllo per mezzo di investigazioni private. In base all’orientamento giurisprudenziale maggioritario l’attività investigativa non deve sconfinare con l’attività lavorativa vera e propria, di conseguenza non può avere come oggetto il controllo sul corretto adempimento della prestazione lavorativa. Se così fosse si violerebbero le tutele previste dagli artt. 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, le agenzie investigative possono controllare solo comportamenti del lavoratore estranei alla normale attività lavorativa. In questo caso il pedinamento del lavoratore non si risolve in un controllo sulla prestazione lavorativa ma su comportamenti esterni che potrebbero danneggiare economicamente l’azienda.
Per riassumere I controlli investigativi sono legittimi se: 1) effettuati in luogo pubblico e non presso l’ azienda o all’interno dell’abitazione privata; 2) solo se riguardano fatti estranei alla prestazione lavorativa, si può solo controllare se il comportamento del lavoratore sia in contrasto con l’interesse dell’azienda e sia classificabile come autonoma fattispecie illecita.
Per essere più chiaro facciamo alcuni esempi riguardo la nostra categoria professionale.
Un produttore dipendente alla fine di ogni mese relaziona la propria attività lavorativa utilizzando il modello della specifica, scrivendo gli appuntamenti effettuati ed i clienti incontrati. Vengono distinti gli appuntamenti presso l’agenzia di riferimento e gli appuntamenti presso il domicilio dei clienti o presso le attività commerciali e professionali, specificando gli orari degli incontri. Dalla lettura della specifica si può dedurre un’attività lavorativa all’interno dell’agenzia e un’attività all’esterno presso le abitazioni dei clienti o presso le loro sedi di lavoro. L’azienda può operare un controllo del produttore che opera fuori agenzia attraverso il lavoro investigativo di agenzie private? E’ legittimo pedinare, spiare, fotografare e filmare il produttore fuori l’agenzia? Tale procedura di controllo ad un primo impatto potrebbe essere ritenuta totalmente illegittima e contraria ai limiti posti a tutela della privacy e riservatezza del produttore, però se analizziamo bene i diversi interessi in gioco e le disposizioni di legge in materia inevitabilmente giungiamo ad alcune conclusioni interessanti.
Sulla base dell’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato possiamo ritenere legittimo l’uso delle investigazioni private nei confronti del produttore solo se finalizzate a provare l’illiceità del suo comportamento, quando lo stesso sia idoneo a danneggiare economicamente l’azienda. L’investigatore potrà constatare se gli appuntamenti dichiarati in specifica sono veri, se l’incontro con il cliente sia effettivamente avvenuto nell’ora e nel posto segnalato in specifica. L’azienda potrà controllare attraverso il lavoro dell’investigatore se l’attività di lavoro esterna dichiarata ufficialmente è vera, così come il richiamo dei rimborsi dei chilometri percorsi e specificati per ogni appuntamento. Viceversa il controllo investigativo non potrà riguardare le modalità con le quali si adempie alla prestazione lavorativa, ovvero non si potrà spiare e registrare la trattativa e l’approccio con il cliente così come la stessa tecnica di vendita utilizzata.
Un controllo investigativo culminato con la conferma (supportata da prove documentali) di appuntamenti e richieste di rimborsi chilometrici palesemente falsi, comporterebbe per il produttore una gravissima violazione degli obblighi a lui gravanti in relazione al rapporto di lavoro intercorrente, con l’eventuale azione da parte dell’azienda del recupero dei rimborsi ed il risarcimento dei danni subiti.
Per il produttore sarebbe difficile dimostrare la sua buona fede ed evitare il provvedimento disciplinare più grave consistente nel licenziamento per giusta causa.
GIAN LUIGI RICUPITO