TRASLOCHI …addio Banca di Sassari
Sabato 21 maggio. Esco per andare a giocare la caratura, come faccio ogni sabato mattina ormai da anni senza molta fortuna.
Il sole è caldo. Preavviso dell’estate imminente.
Alla fine di via Garibaldi c’è un furgone parcheggiato davanti alla filiale, i portelloni posteriori aperti. Due operai fanno la spola tra i locali della Banca ed il mezzo di trasporto. Armati di un carrello caricano scatoloni pieni di carte e di fascicoli … la storia dei nostri clienti viene trasferita poco più su, in Piazza Sella al Banco di Sardegna.
Sollevo lo sguardo: al posto dell’insegna Banca di Sassari SpA, rimossa ieri, è rimasta solo una traccia scura e indistinta, una specie di impronta (mi viene in mente la traduzione in inglese: footprint … il nome dell’ennesima riorganizzazione aziendale, identificata con una lingua straniera, forse per nasconderne … forse per renderne meno traumatico il significato concreto).
Ho provato a rileggere in quell’ impronta il nome della mia azienda, ma – saranno stati gli effetti delle intemperie e dello smog sulla parete bianca, sarà stato un riflesso, o lo sguardo velato da un po’ d’emozione – non sono riuscito a ritrovarlo … intravedevo solo strane combinazioni di parole … anca di Sassari … stanca di Sassari … manca di Sassari … anca di ass .. i.
Temendo di essere vittima di un’allucinazione, ho smesso di cercare e sono entrato in filiale dall’ uscita di sicurezza, sorvegliata da una guardia giurata.
Paolo e Carlo frugano nei cassetti e selezionano i documenti per collocarli nelle apposite scatole, predisposte in precedenza per evitare confusioni al momento della sistemazione nei nuovi alloggi. Carlo è alle prese con quella che – per tanto tempo – è stata la mia cassettiera … una penna dell’AVIS … un calendario di qualche anno fa … l’Unione Sarda del 12 settembre 2001 … una busta trasparente con la raccolta di poesie che un anziano cliente ha dedicato nel tempo ai colleghi della filiale … soprattutto a Pamela della quale era – neanche tanto segretamente – innamorato … un’altra busta con le bozze di decine di lettere di messa in mora … testimonianza evidente della crisi di questi anni … “questi buttali” – fa Carlo, rivolgendosi a Paolo e porgendogli una busta di vecchi elastici gialli.
“Ciao” dico loro evitando di domandare “come va?”. Non ho bisogno che parlino. Leggo la risposta nei loro volti malinconici e tristi, pieni di dubbi e di aspettative, consapevoli del futuro incerto che ci aspetta, preoccupati. Mi guardo intorno. La filiale, seppur ingombra di scatole sparse qua e là alla rinfusa, restituisce un senso di vuoto. Le pareti riportano l’eco delle poche parole che riusciamo a scambiarci.
Resisto dieci minuti. “Vi lascio … avete tanto da fare … vi sarei solo di intralcio … vado dal barbiere” – dico loro con un filo di voce. “Ciao” – mi rispondono all’ unisono – “vienici a trovare in Piazza Sella”.
Mi avvio lentamente con le mani tenute dietro la schiena e lo sguardo chino.
“Sei contento, di andare in una banca più importante?” mi chiede il barbiere, evidentemente informato, mentre finisce di rasarmi a zero come fa circa una volta al mese. “Una banca vale l’altra” – mento, “l’importante è che mi paghino!” insisto a mentire.
E penso che, almeno per oggi, non vorrei parlare della faccenda con nessuno. Vorrei non essere razionale, freddo e misurato, vorrei dar sfogo alle emozioni che si inseguono, si calpestano, si scontrano dentro di me. Distinguo con una certa lucidità le emozioni, i ricordi, la nostalgia della Banca che fu, dalle necessità concrete, dalla realtà dei fatti, dalle opportunità che il cambiamento può offrire e riconosco, accetto la responsabilità che – nel mio piccolo – mi compete per far in modo che tali opportunità si traducano in fatti concreti. Distinguo … accetto … ma oggi è sabato. Ho bisogno di briglie sciolte. Ho bisogno di libertà da me stesso.
Tornando a casa, passo davanti alla filiale. Il furgone non c’è più. Non è possibile sbirciare all’ interno, come ho sempre fatto la mattina alle sette, passandoci davanti per andare in stazione. Le vetrate sono state oscurate con grandi fogli di carta da pacchi, tenuti con nastro adesivo sul quale è stampata la Pintadera.
Poco più su, con le spalle rivolte a Quintino Sella intravedo, tra i rami in fondo alla piazza, l’insegna Banco di Sardegna SpA e, sotto, il furgone con la scritta “TRASLOCHI”.
E penso che lunedì passerò a trovare i miei vecchi e nuovi colleghi.
Angelo Cui