I dati Bankitalia e Cgil: in pochi anni depositi bancari cresciuti di 44 miliardi e impieghi calati di 5 a ritmo più alto che in altre regioni
Da Repubblica – di Maurizio Bologni – Cinque miliardi in meno di prestiti. Quarantaquattro miliardi di euro in più di risparmio raccolto che, evidentemente, non è stato reimpiegato in credito alle stesse imprese e famiglie toscane presso le quali quel denaro è stato rastrellato. In totale un gap di 50 miliardi tra raccolta e impieghi.
Questi dati di Banca d’Italia, riferiti al confronto tra i mesi di giugno del 2015 e del 2021, raccontano che imprese e famiglie hanno paura, sono prudenti, tengono i soldi sotto il materasso bancario invece di investirli e spenderli. Ma il sensibile calo degli impieghi, messo accanto al boom dei depositi bancari, racconta anche che le banche raccolgono tanti soldi in Toscana ma poi li impiegano altrove, in finanza o in territori differenti.
È questo il duro atto d’accusa della Fisac-Cgil, corroborato da dati aggiuntivi elaborati dall’ufficio studi del sindacato. Su tutti, uno: tra il 2014 e il 2019, in un periodo definito “ neutro” perché non “ drogato” dalla pandemia che ha portato la crisi ma anche misure straordinarie di credito, in Toscana i prestiti alle imprese con meno di 20 addetti sono diminuiti di quasi 3,5 punti percentuali in più che nel resto delle altre regioni.
La fuga dei capitali, la chiamano. «La tesi di una Toscana terra di raccolta del risparmio con impieghi destinati altrove si dimostra, dunque, tutt’altro che un’opinione », dice Daniele Quiriconi, segretario generale di Cgil- Fisac Toscana, che chiama istituzioni e imprese (ci saranno anche Eugenio Giani e Leonardo Bassilichi) a parlare di questa piaga in un convegno mercoledì dalle 9.30 al Palazzo Comunale di Pistoia.
In sei anni, dunque, tra i mesi di giugno del 2015 e del 2021 – in base ai dati Bankitalia – in Toscana i prestiti delle banche sono calati da 111,3 a 96 miliardi di euro. Il capitale investito in azioni o obbligazioni è rimasto sostanzialmente stabile ( intorno ai 54 miliardi). Fa impressione, invece, il clamoroso raddoppio, con un aumento di 44 miliardi, dei soldi depositati nei conti correnti: da 55,7 a 99,5 miliardi. L’impietoso rapporto dell’ufficio studi di Fisac Cgil, che ha il respiro del confronto tra Paesi europei e regioni italiane, gira il dito nella piaga e sostiene che – per dirla con il sindacato – « il gigantismo bancario, gli oligopoli, sostenuti con forza da Bce, Banca d’Italia e Governo italiano e Commissione Ue stanno penalizzando la Toscana più di altre regioni».
Lo dicono i numeri, appunto. Il calo di quasi 3,5 punti percentuali oltre la media nazionale dei finanziamenti alle mini imprese con meno di 20 dipendenti, in Toscana si dimostra particolarmente penalizzante, rispetto ad altre regioni come Emilia e Lombardia, a causa del maggior “ nanismo” delle aziende della nostra regione: la dimensione media di impresa in Toscana è di 3,6 dipendenti, ma in alcune province scende addirittura sotto i 3.
E così nel periodo 2014- 2019, con un Pil toscano cresciuto del 5,3%, il calo delle erogazioni di credito tocca livelli di -41,5% a Siena – 27,2% a Pistoia, -23,4% a Livorno. «Numeri – sostiene il sindacato – che non si spiegano solo con la scarsa selettività precedente o con la riduzione della domanda correlata al calo delle imprese attive perché, appunto, senza riscontri nel centro-nord e con valori assoluti che ci avvicinano al sud dell’Italia dove questo processo di desertificazione ha radici più antiche ».
Numeri che si accompagnano ad altri numeri: 21 comuni toscani senza uno sportello bancario, 2.321 filiali nel 2014 che oggi sono ridotte a 1.672 e che scenderanno sotto le 1.500 nei prossimi 18 mesi. «Mi colpisce in particolare la chiusura dell’unico sportello all’isola di Capraia, ma casi così ce ne sono tanti, e portano con sé la segregazioni delle figure più fragili, come gli anziani – dice Quiriconi – Un territorio fatto di micro imprese sottocapitalizzate avrebbe invece bisogno di un rapporto diretto e ravvicinato col sistema bancario, e di non di essere privato di personale prepensionato – dice il sindacalista – Se oggi, ad esempio, una startup o una ditta artigiana chiede 100 mila euro di finanziamento ad una grande banca del nord, deve sapere che la sua richiesta sarà vagliata da un algoritmo in chissà quale ufficio di Torino, dove non conoscono nulla della storia di quell’azienda, e che la risposta arriverà tra qualche mese.
Ormai tutte le banche hanno direzioni generali al nord o oltre confine, e meno male che è stato evitato, almeno per ora, che con Mps andasse in gestione a Milano un altro 20% delle masse regionali. Il ritornello “ ce lo chiede l’Europa” non convince. Vale per l’Italia ciò che non vale per i francesi? I soldi spesi per sostenere il sistema creditizio è una distorsione di mercato solo per il nostro paese?
È così dopo i 123 miliardi spesi dalla Germania per salvare le prime 5 Landesbanken, cinque volte più di quanto lo Stato ha speso in Italia per le nostre banche? O la domanda è: coi soldi pubblici si possono estromettere migliaia di lavoratori, desertificare il paese ponendo a rischio usura e riciclaggio intere aree? I processi vanno governati con equilibrio. Il gigantismo bancario non è poi così di moda ». — ma.bo.