Cronaca di una morte annunciata, Adelina

Lo scorso 6 novembre Adelina Sejdini si è tolta la vita. Chi era Adelina? Una donna albanese, una invisibile che aveva salvato la vita a 500 donne.

Rapita a 15 anni, portata in Italia per essere sfruttata come prostituta. Ebbe il coraggio di ribellarsi e denunciare, sgominando il racket e togliendo molte donne dalla strada.

Nonostante questo non le fu mai concessa la cittadinanza italiana, rischiando di essere rimpatriata in Albania.
Una vittima della burocrazia e della ingratitudine.

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Adelina era stata rapita in Albania quando era adolescente, era una ragazzina di 15 anni quando fu portata in Italia da schiava. Costretta a prostituirsi da una banda di criminali appartenenti alla mafia albanese.
Dopo anni era riuscita a ribellarsi e con la sua testimonianza ne aveva fatti arrestare quaranta, di quei criminali.

“Se torno in Albania mi ammazzano”, aveva detto. C’era da crederle, ma a lei non credettero, non le diedero importanza.

Adelina addosso aveva le cicatrici delle percosse, i tagli, gli stupri, certi ematomi dentro che non si riassorbono.
Adelina aveva sgominato un’organizzazione criminale internazionale e chiedeva la cittadinanza italiana, un pezzo di carta. Non avrebbe potuto vivere da altre parti, era invalida al cento per cento Adelina, e non poteva neanche lavorare.

Adelina in fondo chiedeva solo un pezzo di carta: chi è che non gliel’ha dato?

Il 28 ottobre Adelina si era data fuoco in piazza per reclamare attenzione. Fuoco vero, quello con le fiamme. L’avevano ricoverata in ospedale, ma il pezzo di carta che avrebbe voluto dire “sono viva” non era arrivata.

Adelina, a cui un giorno tagliarono la gamba con un paio di forbici, e poi le cosparsero le ferite di sale per farla soffrire di più, era passata dall’essere un oggetto all’essere dimenticata.

Così qualche giorno fa Adelina gira un video, mentre cammina, e guardando la telecamera del cellulare dice: “Non mi hanno aiutata, sto cercando un posto dove farla finita”. Non scherza, e aggiunge: “Diventate la mia voce per altre Adeline”.

Poi si schianta sulla banchina di cemento sotto ponte Garibaldi, ma non è stato un “suicidio”, non se per tutta la vita qualcuno l’ha spinta verso la morte.

I primi colpevoli sono i criminali che l’hanno resa schiava, ma gli altri? Chi è che potendo si è voltato dall’altra parte di fronte alla necessità di una protezione che la cittadinanza italiana le avrebbe dato?

Le sue amiche ci stanno provando, ne parlano e ho deciso di raccontare anche io la storia di Adelina, io che Adelina non l’ho mai conosciuta ma non voglio restare indifferente.

Adelina Sejdini era nata a Durazzo, arrivata a Pavia da schiava, andata a Roma per parlare con le istituzioni, e morta senza che l’ascoltassero.
Le sue amiche dicono: la cittadinanza italiana le sia data almeno ora, postuma. Non servirà a lei, ma a capire che la cittadinanza salva vite.

“Il vero coraggio consiste nel vivere e soffrire per ciò in cui credi”, disse Christopher Paolini. E nessuno ha avuto nella vita più coraggio di Adelina Sejdini.

 

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