Donne di tutto il mondo: crimini d’odio e leggi in Europa

Mentre l’Italia boccia il DDL Zan, facendoci venire più di un dubbio sull’abuso politico esercitato sui diritti delle persone, la Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen ha dichiarato già a marzo scorso l’Unione Europea una “free LGBT zone“.

I primi Paesi in ordine di tempo a punire i crimini d’odio razziale, etnico, religioso, omotransfobico e sessista sono stati quelli anglosassoni: il Canada a partire dagli anni 70 e gli Stati Uniti e il Regno Unito dagli anni 90.

Attualmente, l’Italia è tra i 7 Paesi che non hanno legiferato in materia. E con noi figurano solo Stati come la Bulgaria e la Repubblica Ceca.

Ad oggi, in Europa sono 20 gli Stati che prevedono tutele alle discriminazioni anche per l’identità di genere: Belgio, Francia, Svezia, Spagna, Portogallo, Grecia, Finlandia, Croazia, Malta, Irlanda e perfino Ungheria (nel perimetro europeo ristretto). Nel perimetro più ampio ci sono il Regno Unito, la Norvegia
con una prima legge addirittura nel 1981 e nel 2020 ha incluso nei reati d’odio anche le persone transgender e i bisessuali – e a seguire Islanda, Albania e Montenegro. Ma anche Bosnia, Macedonia, Kosovo e addirittura la Georgia. Insomma, quando si parla di paesi avanzati, sarà meglio riflettere in che cosa si avanza davvero.

In Unione Europea si parlava di ciò già dal 2000, anche se la prima Raccomandazione emanata su questo tema risale soltanto al 2010. La Raccomandazione nell’ordinamento europea è una delle fonti del diritto, un invito non vincolante diretto agli Stati membri a conformarsi ad un certo comportamento. In questo caso specifico la Commissione europea chiede agli Stati membri di adottare misure legislative per il contrasto ai crimini d’odio legati sia all’orientamento sessuale che all’identità di genere.

La Commissaria Europea per l’Uguaglianza, Helena Delli, ha affermato che “l’uguaglianza non è un gioco a somma zero, dove un guadagno implica una perdita per qualcun’altro. Al contrario, l’uguaglianza è un beneficio per tutti nella nostra società”. E ha aggiunto: “Non possiamo accettare un linguaggio che intenzionalmente vuole mettere le maggioranze contro le minoranze”, perciò “La Commissione europea continuerà a monitorare da vicino questa situazione in tutti gli stati membri per assicurarsi che quando si implementa una legge o un progetto finanziato dall’Ue, il principio di non discriminazione sia sempre pienamente rispettato”.

E di impegno ce ne vuole davvero, visto che alcuni paesi percorrono la via della cancellazione dei diritti.

La Commissione UE ha annullato le sovvenzioni per sei città polacche che si erano dichiarate “zone libere dall’ideologia LGBT”: municipalità e regioni della Polonia ostili a una presunta ideologia di queste categorie e alle iniziative ad essa collegate, come le marce o le sfilate dei Pride. Una misura, quella della Commissione EU, più simbolica che materiale, che però indica una via da percorrere.

La Commissione Europea si è mossa anche contro l’Ungheria per la legge, in vigore da luglio 2021, che vieta contenuti omosessuali per i minori. L’articolo più contestato è il 6/a, che riforma una legge del 1997 sulla “protezione dei bambini”, in cui si legge che “è vietato rendere accessibile alle persone che non hanno raggiunto i 18 anni un contenuto pornografico o che rappresenta la sessualità in modo gratuito o che diffonde o ritrae la divergenza dall’identità corrispondente al sesso alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità”.

Credo che azioni simboliche come quella dello scorso agosto verso la Polonia siano un segnale importante: con la campagna Infringement now promossa da ILGA Europe, organizzazioni internazionali e quattordici stati dell’Unione chiedono una risposta forte da parte della Commissione, una procedura di infrazione che includa anche misure legali e potenziale sospensione dei fondi comunitari.

È qui che vuole stare il Parlamento Italiano, con Polonia e Ungheria, o con la maggioranza degli altri paesi che fa passi in avanti sul piano dei diritti?

Allargando lo sguardo, non bisogna dimenticare che il Parlamento Italiano ha ratificato nel 2013 la Convenzione di Istanbul nella quale, si parlava esplicitamente di tutela delle vittime dalle discriminazioni sulla base, tra le altre cose, disesso e identità di genere. Ciò dimostra la vergognosa inettitudine di una larga parte di chi deve legiferare.
Ribadisco, non si possono usare i diritti delle persone come clava elettorale. È indegno di un Parlamento di un Paese democratico.

Proviamo a guardare più da vicino alcune delle normative esistenti, riportando informazioni tratte da un buon articolo de Il Fatto Quotidiano (https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/05/20/omotransfobia-le-leggi-ineuropa-nella-maggior-parte-dei-paesi-i-crimini-dodio-sono-estesi-a-orientamento-sessuale-e-identita-digenere-come-funziona-in-francia-spagna-svezia-germania/6201470/) e confermate dalle colleghe dei paesi citati.

Francia – In Francia la prima legge in materia risale al 2003, quando in carica c’era il presidente di centrodestra Jacques Chirac che sui diritti per la comunità LGTB si era impegnato davanti alle associazioni: il reato di discriminazione venne così esteso all’omofobia con l’aggravante per i reati o delitti commessi in ragione dell’orientamento sessuale. La pena va da un anno di reclusione a 45mila euro di multa. Già nel 2004 fu fatto un tagliando alla legge e venne aggiunta la circostanza aggravante a carattere omofobo anche di minacce, furto ed estorsione. Ma la Francia non si è fermata lì: nel 2012 è stato inserito accanto all’orientamento sessuale, anche il concetto di identità sessuale, espressione che poi, nel 2016, è stata corretta con la più idonea “identità di genere”. E queste integrazioni sono state riportate sia nei relativi articoli dei Codici penali, che nei Codici del lavoro e dello sport e nelle leggi “riguardanti reati o comportamenti motivati da discriminazione”. Inoltre, anche la legge sulla libertà di stampa francese del 1881 è stata estesa ai “reati di provocazione pubblica alla discriminazione, all’odio e alla violenza, di diffamazione a mezzo stampa nei confronti di una persona o un gruppo di persone in ragione del loro orientamento sessuale, vero o presunto e di ingiuria a mezzo stampa o altro strumento di comunicazione rivolta ad una persona o un gruppo di persone per motivi omofobi”.

Uno degli esempi più significativi è quello di Jean-Marie Le Pen, come ha ricordato un’inchiesta di Gaynews: nel 2019 il fondatore del partito di estrema destra del Front National è stato condannato in appello a 2400 euro di multa per aver paragonato in pubblico “omosessualità e pedofilia“. E per aver definito “esaltazione pubblica del matrimonio gay” la presenza del marito di un poliziotto morto in un attacco terroristico alla cerimonia di commemorazione. Al tempo stesso, però è stato assolto per aver detto che “gli omosessuali sono come il sale nella zuppa, se non ce n’è abbastanza è insipida, se ce n’è troppo è imbevibile”. In questo caso – ha stabilito il giudice – non c’era incitamento alla violenza. La Cassazione francese inoltre, nel 2018 si è espressa due volte per annullare condanne nei confronti di due politici le cui dichiarazioni, “sebbene oltraggiose”, non hanno superato “il limite della libertà d’espressione”.

Svezia – Tra i più severi in materia c’è la Svezia, considerato uno degli Stati più gay friendly del mondo: qui chi è colpevole di minaccia o disprezzo verso gli omosessuali rischia fino a 4 anni di carcere. Inoltre la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale è stata criminalizzata dal 1987 e quella sull’identità di genere dal 2009. Quest’anno, inoltre, come segnalato dall’associazione Ilga-Europe, è stata introdotta anche un’aggravante per la lesione dell’onore. Riguarda infine la Svezia un’importante decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo sulla tutela della libertà d’opinione: nella sentenza Vejdeland e co. del 9 febbraio 2012, la CEDU ha infatti affermato che “non costituisce ingerenza illegittima nell’esercizio della libertà di espressione condannare chi renda dichiarazioni di incitamento all’odio nei confronti degli omosessuali”. E specifica che “Il diritto di cui all’articolo 10 incontra un limite invalicabile nel rispetto dei valori fondamentali di una società democratica, quali la tolleranza e il rispetto della reputazione e dei diritti altrui. Pertanto, a condizione che le pene siano proporzionate, è legittimo che gli Stati membri si dotino di una legislazione penale che sanzioni l’omofobia”.

Germania – Il caso tedesco va analizzato su due piani: quello federale e quello statale. Nel primo caso, anche se la legislazione non parla esplicitamente di reato di discriminazione per orientamento sessuale, i report di associazioni e istituzioni riferiscono che le sentenze dei tribunali in caso di omotransfobia infliggono pene più severe. E quindi, a livello giurisprudenziale, si considera un buon livello di protezione. A segnalarlo è anche un’analisi del Servizio Studi della Camera: l’articolo 130 del Codice penale tedesco infatti, punisce con la detenzione “colui che, in maniera tale da disturbare la pace pubblica, incita all’odio o alla violenza contro elementi della popolazione o lede la dignità di altre persone attraverso insulti o offese” e “prevede una pena detentiva o una pena pecuniaria anche per chi commette gli stessi illeciti attraverso la diffusione di opere scritte”. E “sebbene il Codice penale non faccia un esplicito riferimento al background omofobico di colui che perpetra il reato, nella definizione data all’articolo 130 rientra anche la discriminazione effettuata in ragione dell’orientamento sessuale”. Per quanto riguarda le aggravanti, “non vi è una esplicita previsione rispetto all’omofobia”, ma un generico richiamo alle “motivazioni e finalità dell’atto oltre che alle convinzioni e agli intenti del reo”. Inoltre molto spesso si fa riferimento a una legge generale “sulla parità di trattamento” che all’articolo 1 prevede come scopo di “prevenire o eliminare la discriminazione basata anche sull’ identità sessuale”.

Infine, se si considerano i singoli lander tedeschi, sono numerosi quelli che puniscono le discriminazioni per orientamento sessuale: ad esempio Berlino (dove si tutela anche l’identità di genere), Brandeburgo, Turingia. Il piccolo Stato di Saarland quest’anno è stato l’ultimo ad adottare un piano contro omofobia e transfobia lasciando la Bavaria ultimo e unico lander a non essersi adeguato. Di Germania ha parlato nei giorni scorsi Anna Paola Concia, ex parlamentare Pd e tra le femministe che hanno criticato il disegno di legge Zan. Ha raccontato ad Avvenire di un’aggressione che lei stessa ha subito con la compagna. “Ci hanno gridato: “per quelle come voi devono riaprire i forni crematori!”. Allora non denunciai. Quell’uomo era un insegnante. Se fosse capitato in Germania, dove oggi risiedo, non sarebbe mai più entrato in un’aula”.

Spagna Dal 1995 in Spagna i crimini di odio sono stati estesi all’orientamento sessuale o l’identità di genere.
Nel codice penale il movente omofobico è considerato un aggravante in vari casi. Ad esempio lo è per i reati di incitazione all’odio e alla violenza contro gruppi e associazioni e di diffusione consapevole di informazioni false e ingiuriose su gruppi e associazioni, commessi anche in ragione delle tendenze sessuali dei loro membri.
Si prevede inoltre l’aggravante anche per un funzionario pubblico che discrimina sulla base di orientamento sessuale o identità di genere. Numerose comunità autonome, ad esempio la Catalogna, si sono distinte per aver previsto nella loro legislazione politiche di prevenzione dell’odio su orientamento sessuale e identità di genere. Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA), però solo il 16% delle vittime di crimini d’odio in Spagna denuncia e le ONG stanno spingendo perché sia fatto un intervento legislativo più coerente e corposo. In questo momento il Parlamento spagnolo sta discutendo una proposta di legge che permette il cambio di sesso solo previa autorizzazione della persona interessata. Nell’ultimo anno questa legge è stata fortemente osteggiata dalle femministe anti-trans che in parte sono state appoggiate dal partito socialista: la loro tesi è che l’autodeterminazione del genere” sarebbe una minaccia per le donne. Questa legge nulla ha a che vedere con le disposizioni previste dal DDL Zan in Italia.

Regno Unito – È uno dei Paesi dove gli ultimi report delle associazioni parlano di un aumento molto significativo delle denunce per omotransfobia. Seppure nei testi legislativi non sia prevista una definizione chiara di omofobia, il fenomeno ha rilevanza penale nell’ambito dei cosiddetti hate crime (crimini d’odio).
Qui il primo intervento legislativo risale al 1998 con il Crime and Disorder Act quando il governo ha introdotto reati d’odio aventi come bersaglio determinate caratteristiche della vittima, come le opinioni o le inclinazioni personali. Ed è stato con il Criminal Justice Act del 2003 che sono state introdotte le aggravanti nei casi in cui la violenza è commessa sulla base dell’orientamento sessuale. L’atto più significativo risale al 2008 quando si è modificato il Public Order Act che “ha ammesso l’aggravante dell’odio fondato sull’orientamento sessuale ed ha equiparato i relativi reati a quelli ispirati dall’odio religioso o razziale”, fatta salva però la nozione di hatred on the ground of sexual orientation, ovvero la formulazione di “opinioni critiche riferite a determinate condotte o pratiche sessuali, oppure le esortazioni a modificare o a non porre in essere tali condotte o pratiche”.

La Corte Europea dei Diritti Umani, infine, nel gennaio 2020 ha condannato la Lituania per non aver perseguito l’incitamento all’odio e alla violenza nei confronti di una coppia gay. I due uomini avevano pubblicato la foto di un loro bacio su Facebook, che era stata commentata con centinaia di messaggi di odio, alcuni diretti in generale alle persone LGBTQ+ altri direttamente alla coppia della foto. I due uomini avevano sporto denuncia alle autorità, che però si erano rifiutate di aprire un’indagine preliminare. La Corte ha stabilito che la mancata indagine delle autorità lituane fosse dovuta a uno “stato d’animo discriminatorio” e che dunque abbia costituito una violazione dei diritti fondamentali tutelati dalla Convenzione europea per i diritti umani.

Concludiamo questa disamina della legislazione europea sui crimini d’odio con un opuscolo divulgativo sulle azioni dell’Unione Europea a favore delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali:
ec.europa.eu/lgbti #EU4LGBTI

A cura di Anna Maria Romano

 

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