La proposta di lettura di oggi, suggerita dalla compagna Giuseppina Cucinotta, è un articolo apparso su Io Donna a firma di Emanuela Zuccalà che potete leggere integralmente al link: https://www.comunicaffe.it/costa-davorio-dagli-scarti-del-cacao-un-sapone-che-profuma-di-emancipazione/
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Avreste meno sensi di colpa mangiando una barretta di cioccolato se sapeste che la ditta produttrice sostiene economicamente una fabbrica che lavora gli scarti delle fave di cacao per farne sapone in Costa D’Avorio? E se sapeste che le dipendenti ivoriane sono tutte donne?
Di fronte a iniziative di questo tipo reagisco in due modi e in due fasi diverse: in primis provo riconoscenza per chi collega il proprio profitto (e quindi il mio consumo) a progetti di sostenibilità ambientale e sociale e, dato non secondario, coinvolgendo le donne, che sappiamo essere la parte debole della società quasi ovunque nel mondo (pure da noi mica solo in Africa, intendiamoci).
Poi parte la fase scettica o meglio entra in funzione la parte del cervello che risale, invariata, a 100.000 anni fa: quello di quando eravamo nelle caverne e tutto se non era un pericolo evidente doveva essere comunque considerato una minaccia. Quindi mi scatta il “non me la contano giusta dove sta la fregatura?”.
Diciamo che questa seconda fase per me dura poco (nel paleolitico non sarei sopravvissuta): ho una grande fiducia nel prossimo e quindi si, alla fine sono contenta di comprare quel cioccolato che riporta in effige sulla confezione bellissimi visi di donne ivoriane, una diversa per ogni % di cacao presente nelle diverse versioni del cioccolato. E sono proprio le operaie della fabbrica del sapone “Le nuove donne del cacao” , questo il nome del progetto.
Inutile dirvi che tutti ma proprio tutti i prodotti collegati a iniziative di questo tipo beh… costano di più.
È inevitabile non credete?
Giusti salari, formazione, un packaging particolare, persone che seguono sul territorio il progetto… per questo quello che costa poco vale poco: da ogni punto di vista.
È inevitabile non credete?
Giusti salari, formazione, un packaging particolare, persone che seguono sul territorio il progetto… per questo quello che costa poco vale poco: da ogni punto di vista.
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