DDL Zan: l’affossamento della civilta’ e del buon senso

di Valentina Mariani

Partiamo dall’inizio, anzi, dalla fine: la fine di un disegno di legge che aveva il rispetto e la libertà come suoi canoni fondamentali e fondativi. Il ddl Zan è (era) infatti un disegno legislativo avente come oggetto: “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Un’idea – e un ideale – di norma, dunque, non a tutela e riconoscimento delle minoranze, come erroneamente – seppure spesso in buona fede – si dice, ma a tutela e riconoscimento di diritti (lesi) della maggioranza delle persone: donne, disabili (uomini, donne, altro), omosessuali (uomini, donne, altro), transessuali. È vero che in democrazia la lotta a favore delle minoranze è il segno più tangibile di una mentalità progressista e di una maturità sociale e ciò, per certi versi, garantisce un valore aggiuntivo alle battaglie stesse, dette, appunto, di civiltà. È però altrettanto vero quanto sia probabilmente ancora più stringente l’approvazione di una legge che distingue al proprio interno la specificità dell’appartenenza – sostanziale, prima ancora che formale – a categorie di persone che sono la maggioranza della popolazione (le donne) e che sono invisibili o di frequente bistrattate e umiliate, quando non violate e violentate, se riconosciute (persone omosessuali, transessuali, non binarie, disabili).

L’urgenza quindi legata alla necessità etica, e, da qui, giuridica, dell’approvazione di una legge che si occupi del contrasto a discriminazioni e violenze verso queste categorie è data da un lato dalla numerosità di cittadine e cittadini ricomprese nelle misure di cui al ddl, dall’altro dal rischio costante di abusi fisici e psicologi di una minoranza solo numerica, portatrice di istanze nuove, libere, valoriali – importanti e necessarie per un miglioramento personale e collettivo, una minoranza solo numerica portatrice di una soggettività per lo più incompresa, negata, minacciata che desidera la possibilità dell’auto-descrizione e dell’autodeterminazione, oltre che della fruizione di medesimi diritti. Da qui emerge la possibile crasi – a mio avviso solo apparente – che ha portato alla critica feroce del disegno di legge e ad opporvisi. Diversità e differenza sono state infatti contrapposte alla richiesta di uguaglianza, con costruzioni forzose e manipolatorie tendenti a gettare discredito sul corpus normativo, nonché sulla ratio e liceità delle rivendicazioni esposte da sostenitrici e sostenitori del ddl.

Non c’è alcuna contraddizione, mi spiace deludere i detrattori che, basandosi su malafede o su una logica rigida e sterile e quindi non intellettualmente interessante né opponibile a livello di dialettica politica, hanno parlato di contraddizioni tra i due termini. Invece il passaggio di sensibilità, di cultura, di intelletto, di morale e di legge è proprio quello di comprendere e ricomprendere il riconoscimento delle diverse soggettività, in un mondo che ha sempre parlato una lingua e una costruzione socio-politica, economica, antropologica (andros significa uomo, maschio, per l’appunto…!) “maschile universale” e, al contempo, assicurare ad esse una base giuridica formale di uguali diritti, possibilità, tutele. Ciò che scrivo va – per scelta di improcrastinabile necessità – molto al di là del ddl Zan: è una determinazione di senso che ha come obiettivo quello di portare questo sventurato Paese in cui viviamo a livelli di civiltà dignitosi e simili a quelli degli altri Paesi democratici occidentali (siamo, come sempre, fanalino di coda in Europa sui diritti delle persone).

Cosa conteneva di così sconvolgente, questo ddl? Niente, per persone civili. Esso ampliava, infatti le fattispecie elencate nell’articolo 604 bis del codice penale che punisce chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, aggiungendo quelli fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, introducendo, per tali comportamenti, delle aggravanti. Inoltre, istituiva la Giornata nazionale contro l’omofobia, da potersi celebrare anche nelle scuole. Nessun obbligo, oltretutto, una possibilità. In più, si dava indicazione alle scuole di prevedere, nell’ambito del Piano Triennale, delle proposte formative contro queste discriminazioni – senza oneri aggiuntivi, per le finanze pubbliche (e su questo, ad esempio, io trovo addirittura un’arretratezza in questo ddl…). Qui c’è stato “l’apriti cielo”, la crociata che il retrivo e ricattatorio cattolicesimo italiano, trasversale ai partiti, ha iniziato a portare. Insomma, le discriminazioni basate su sesso, orientamento e sessuale, identità di genere sono meno gravi di quelle basate sulla religione. Perché, chiedo semplicemente…? Nelle scuole non si parla di discriminazioni né, tanto meno, di educazione sessuale e ciò contribuisce a peggiorare fenomeni di bullismo e violenza di genere.

La CGIL ha modificato, all’ultimo Congresso, l’art. 1 del proprio Statuto, introducendo il comma: “[La CGIL] Ripudia e combatte ogni forma di molestia, discriminazione e violenza contro le donne e per orientamento sessuale ed identità di genere.” Sarebbe il caso che ciò si portasse a conoscenza, sarebbe il caso che la politica, quella buona, antifascista e democratica (l’unica che dovrebbe esistere, non foss’altro che per la nostra Costituzione), si ispirasse a certi principi che corrispondono a diritti inderogabili relativi alla dignità personale e collettiva.

Ma com’è avvenuta quest’assurda disintegrazione del ddl Zan, già approvato – sarà il caso di ricordarlo – alla Camera lo scorso novembre – quasi un anno fa, oltretutto…?

L’inadeguata e correa Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha accolto la richiesta presentata da senatori leghisti e meloniani di ricorso al voto segreto, tallone d’Achille del nostro già instabile equilibrio parlamentare. Le vergognose defezioni di sostegno del ddl provenienti anche da fasce catto-ortodosse di questa proto-maggioranza hanno decretato la fine del percorso del decreto. È venuta meno, così, la trasparenza e responsabilità nella azione politica, su un tema cruciale come questo, relativo ai diritti della persona, che per legge naturale dovrebbero essere inviolabili, non discutibili. È venuta meno la correttezza e lealtà di rappresentanti parlamentari che altro non aspettavano per tornare a consociativismi e accordi sotto banco. È venuta meno, ancora di più, la decenza: quei senatori e quelle senatrici che hanno esultato e urlato in maniera scomposta come ultrà di curva per la cancellazione di un disegno di legge a tutela di persone perseguite e perseguitate, talvolta, per la loro condizione, è uno dei punti più bassi che rappresentanti delle istituzioni e del popolo potessero toccare. È stato uno spettacolo tremendo, doloroso e sconcertante, indice di insensibilità, brutalità, cinismo, imbecillità, livore, arretratezza impossibili da giustificare e difficili da digerire e da contemplare in un Paese che si dica civile.

Questa Italia ferina, inadeguata, massonica, egoista, falsa ha affossato il ddl Zan, una proposta di legge di buon senso, innanzitutto.

Ciò costituisce una vergogna nazionale e internazionale e rappresenta chiaramente un vuoto etico e giuridico gravissimo che ciascunə di noi ha il dovere di contribuire a riparare – la prima – e ribaltare – il secondo -, riempiendolo di senso, giustizia, equità, pace, bellezza.

 

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