Inform@fisac gennaio 2017 n.1

 

Il valore dell’email come prova

 

La mail è ammissibile come prova anche senza la firma elettronica qualificata.

L’email può essere una valida prova documentale da utilizzare in causa, per dimostrare ad esempio un ordine di acquisto, una richiesta di pagamento, un’ammissione di debito, lo scambio di alcune comunicazioni tra più soggetti, ecc. A dirlo, a sorpresa, è il Tribunale di Milano con una recente sentenza. Secondo il giudice meneghino, non c’è né bisogno della posta elettronica certificata, né della firma elettronica qualificata per dare a una semplice mail il valore di prova. Così chiunque abbia spedito email dal proprio account di posta elettronica farà bene a conservare il relativo file e l’eventuale risposta del destinatario se intende utilizzare tale materiale in giudizio. Perché, però, la prova sia considerata valida, è necessario che l’avversario non contesti l’email, il suo contenuto o il ricevimento della stessa, cosa che non potrebbe fare se, avendone letto il contenuto, vi ha risposto. Difatti, il codice civile toglie ogni valenza di prova documentale a quei documenti che sono mere riproduzioni meccaniche (tali sono quelli informatici senza firma digitale).

Ma procediamo con ordine in quello che ci sembra un precedente estremamente importante, preceduto, in passato, da una sentenza identica del Tribunale di Termini Imerese.

Immaginiamo una persona che abbia un grosso credito nei confronti di un proprio cliente. Gli manda numerosi solleciti bonari, dal proprio indirizzo email, per ottenere da questi il pagamento, ma ogni volta il debitore glissa, talvolta risponde chiedendo di portare pazienza, altre volte chiede un saldo e stralcio o una dilazione. Insomma, nella mail di risposta il debitore non fa nulla per contestare il credito e, anzi, tacitamente lo ammette nel momento in cui implora un po’ di tempo per adempiere.

Fatto sta che il creditore agisce e chiede in tribunale un decreto ingiuntivo, portando come prova la fattura. Lo può fare perché, come noto, il decreto ingiuntivo può essere emesso anche solo sulla scorta di tale documento fiscale, benché prodotto unilateralmente dal debitore. A quest’ultimo, nei 40 giorni successivi alla notifica del decreto ingiuntivo, è consentito opporsi. E, nel nostro esempio, lo fa. Inizia il giudizio di opposizione e il creditore, come prova del proprio diritto al pagamento, produce gli scambi di email con cui il cliente non ha mai apertamente contestato il debito. È valida questa prova? Sì, secondo il giudice milanese (che ha deciso un caso identico all’esempio appena fatto). E questo per una articolata motivazione che cercheremo di sintetizzare qui di seguito.

La e-mail può valere come documento e, quindi, come prova?

Anche se l’email è un documento non firmato, secondo il tribunale di Milano ci sono tutti gli elementi perché essa valga come prova. Il Regolamento Europeo per le identità digitali (Eidas) stabilisce che «a un documento elettronico non sono negati gli effetti giuridici e la ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica». Inoltre il Codice dell’amministrazione digitale prescrive che «Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, soddisfa il requisito della forma scritta e sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità». Inoltre sempre il regolamento Eidas afferma il principio di non discriminazione della firma elettronica rispetto a quella materiale: «a una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziari per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti delle firme elettroniche qualificate». Dunque si può tranquillamente confermare che è ammissibile come prova il documento elettronico anche in assenza di firma elettronica qualificata.

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