Legge 104: Sede di lavoro; scelta prioritaria e rifiuto al trasferimento
Coniugare le esigenze familiari con quelle lavorative è un’impresa difficile per tutti, ma lo è ancora di più per i lavoratori che assistono familiari disabili e per gli stessi lavoratori disabili. In queste difficoltà gioca un ruolo fondamentale la sede di lavoro: la scelta della sede di lavoro, la richiesta di trasferimento, il rifiuto al trasferimento. Di tali aspetti si occupano gli articoli 21 e 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104. Purtroppo l’esigibilità di tali diritti non è sempre così semplice.
L’azienda non può negare la richiesta di trasferimento, avanzata dal dipendente che accudisce un familiare disabile, e quindi “titolare della 104”, se non dimostra la sussistenza di straordinarie esigenze produttive che ostano a tale accoglimento. Pertanto, se il dipendente se stato costretto ad andare in aspettativa al fine di stare accanto al parente portatore di handicap, il datore dovrà versargli il risarcimento dei danni conseguenti al mancato accoglimento della domanda: risarcimento da quantificare dalla data della richiesta del trasferimento al suo rientro dall’aspettativa. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza.
Il diritto a scegliere la sede lavorativa
Il lavoratore che sia beneficiario della legge 104 del 1992 può scegliere la sede di lavoro più vicina al luogo di residenza del famigliare disabile, chiedendo di essere/non essere trasferito (a seconda ovviamente del caso) da un luogo a un altro ove l’azienda ha le proprie unità produttive. Non si tratta, però, di un diritto che spetta a prescindere da quelle che possono essere le contrarie esigenze del datore di lavoro; l’interesse del dipendente deve sempre bilanciarsi con quelle della produzione. Per cui la legge stabilisce che solo laddove l’azienda motivi (e dimostri) il diniego con esigenze produttive straordinarie, il lavoratore non potrà vedere riconosciuta la propria richiesta.
Viceversa, se l’azienda non ha possibilità di provare le straordinarie ragioni produttive alla base del “no”, oppure se tali ragioni non sono straordinarie, allora il lavoratore può pretendere che la sua richiesta sia rispettata tramite il giudice.
Nel caso di specie, il lavoratore ricorrente era peraltro riuscito a dimostrare che, nello stesso periodo della sua richiesta di trasferimento, la stessa società aveva provveduto a molteplici trasferimenti proprio presso la sede richiesta dall’avente diritto. Quel diniego non aveva quindi alcuna ragione di carattere tecnico che potesse in alcun modo supportarlo.
I commi 5 e 6 dell’articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile hanno diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Questa disposizione, proprio a causa di quel “ove possibile”, si configura come un interesse legittimo, ma non come un diritto soggettivo insindacabile. Di fatto, quindi, l’azienda può produrre rifiuto motivandolo con ragioni di organizzazione del lavoro. Questa al momento è la tendenza interpretativa prevalente anche in sede giurisprudenziale.
Le condizioni per accedere a questo beneficio sono comunque legate, per i familiari, all’assistenza continuativa ed esclusiva del congiunto con disabilità. Anche per questo beneficio, come per i permessi, non è richiesta la convivenza.
Va precisato inoltre che l’interpretazione ormai prevalente e consolidata è che l’agevolazione riguardi le persone con handicap con connotazione di gravità, beneficiarie di tutte le agevolazioni previste dall’articolo 33 della Legge 104/1992. Questa annotazione è necessaria in quanto il comma 5 non indica esplicitamente la gravità dell’handicap.
Il rifiuto al trasferimento
I commi 5 e 6 dell’articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede. Diversamente da quanto previsto per la scelta della sede, il rifiuto al trasferimento si configura come un vero e proprio diritto soggettivo.
Si tratta infatti di una disposizione che rafforza ed estende quanto già previsto dal Codice Civile. All’articolo 2103 prevede, fra l’altro, che il lavoratore non possa essere trasferito da un’unità produttiva all’altra senza comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
Il comma 5 dell’articolo 33 aggiunge a questa condizione, oltre alle ragioni appena illustrate, anche il consenso da parte dell’interessato. In caso di violazione si può ricorrere al Giudice con fortissime probabilità che l’azienda soccomba in giudizio.