“Genova 2001: a 20 anni dalla notte della democrazia
una testimonianza per il futuro”
Per molti di noi i fatti accaduti a Genova esattamente 20 anni fa in occasione della riunione in Italia dei “potenti” della terra, il cosiddetto G8, sono un qualcosa di confuso, probabilmente contraddistinto più dalla cronaca che da successive riflessioni e valutazioni storiche e sociali.
In realtà noi pensiamo che in quei giorni si sia consumato un avvenimento grave e non contingente e questo vale tanto a livello nazionale che internazionale. Nel nostro Paese si aprì una frattura terribile tra società civile e Stato, una faglia ancora ben evidente che si aggiunge alle tante altre che non possono venire ricomposte semplicemente in virtù di qualche successo sportivo.
Quanto accadde allora ha ancora molti punti irrisolti che probabilmente, come da tradizione domestica, rimarranno tali per sempre. Quello che è certo, però, è che parte degli organi statali deputati a difendere i cittadini decise invece di scagliarvisi contro e si tornò a parlare di “macelleria” e di tortura su vasta scala dopo anni in cui ci si era illusi di aver superato una volta per tutte il problema.
Purtroppo queste non sono opinioni bensì fatti derivanti da sentenze passate in giudicato confermate anche qualche giorno fa dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo. Molti di coloro che si macchiarono di comportamenti inaccettabili per un rappresentante dello Stato se la sono comunque cavata con poco o nulla ed altri sono ancora al loro posto, così come molti politici che a vario titolo ebbero parte in quei tristissimi giorni.
Che un certo modo di concepire “l’ordine” sia ancora ben presente ce lo confermano, con sinistra assonanza, anche gli accadimenti emersi solamente qualche settimana fa in un penitenziario.
Per quanto concerne gli aspetti internazionali, le istanze rappresentate da chi allora manifestò pacificamente (gli altri, chi scelse la violenza, non hanno mai fatto parte di alcun vero movimento politico o sociale e costituirono una sparuta, ambigua e desolante minoranza) sono ancora ben presenti ed anzi i 20 anni trascorsi, nonché la crisi che stiamo vivendo, le hanno rese ancora più attuali ed impellenti.
Giustizia sociale, distribuzione della ricchezza, polarizzazione della stessa, sfruttamento, problemi ambientali: le notizie di ogni giorno, che vengano da paesi poveri oppure opulenti, ci confermano che non è sensato fare finta di niente e che è criminale speculare sulle asimmetrie esistenti tra sistemi economico-sociali o fra le persone.
In quei giorni a Genova era presente anche un nostro Collega, sindacalista della Fisac DB, che visse in prima persona quella vicenda e che portò la sua testimonianza non solo a noi ma anche alla stampa. Di seguito riportiamo il testo di una lettera pubblicata all’epoca da una nota testata giornalistica che anche noi diffondemmo attraverso il nostro giornalino aziendale.
Non abbiamo intenzione di rivangare il passato per una qualche forma di condanna da aggiungere a quelle comminate dai tribunali. Il vero problema è il futuro di tutti e quindipensiamo sia bene che queste memorie individuali, a distanza di tempo, divengano anche vissuto collettivo e spunto di vera riflessione.
Lettera pubblicata da Repubblica in data 25 Luglio 2001 – cronaca Torinese
Vi racconto quindici ore di umiliazioni
Ero a Genova sabato 21 luglio, sfilavo pacificamente con amici e la mia fidanzata. Ci siamo trovati al fondo di corso Italia quando il corteo è stato spezzato in due dal lancio di lacrimogeni. Nel panico generale, con la mia fidanzata sempre per mano, ci siamo trovati assolutamente scoperti, fra gas lacrimogeno, col timore di colpi vaganti e che la polizia potesse caricare senza alcuna distinzione.
Abbiamo riparato, insieme ad altre manifestanti del corteo pacifico, in una piccola via laterale infilandoci in un garage sotterraneo.Di lì a poco è arrivata la polizia in tenuta da guerriglia: due poliziotti puntandoci in faccia le armi ci hanno ordinato di indietreggiare all’interno del garage. Ancora qualche attimo ed è sopraggiunto un commando armato di manganelli che ha fatto irruzione picchiando.
Io con le mani alzate in segno di resa urlavo «lei no» ripetutamente e questo ci ha salvati dalle botte. Siamo stati fatti inginocchiare fuori dal garage sul marciapiede con le mani dietro la testa: il gruppo al quel punto era costituito da noi due, due ragazzine, un fotografo accreditato anch’egli trattenuto, alcune altre persone, tutti evidentemente senza alcun segno od elemento che potesse farci ritenere «facinorosi».
Siamo stati tutti caricati sulle camionette e portati al presidio di forze dell’ordine lì vicino. Dopo un breve controllo la mia fidanzata è stata rilasciata con le altre donne. Noi uomini invece siamo stati perquisiti sul marciapiede, stretti i polsi con lacci di plastica strettissimi, caricati su pullman e portati a quello che è poi sembrato un centro di reclusione temporanea a Bolzaneto.
Giunti alla caserma di Bolzaneto siamo stati uno ad uno scaraventati giù dal pullman in mezzo ad un gruppo di poliziotti che ci infierivano colpi di vario genere. All’interno della caserma siamo stati tutti messi in grandi stanzoni in piedi con la faccia contro il muro e le mani alzate e ci hanno costretto in questa posizione per quasi tutto il tempo in cui siamo rimasti lì (circa 15 ore).
Tolto tutto dalle tasche e i lacci dalle scarpe. A turno entravano militari a usarci violenze di vario genere: sbatterci la testa contro il muro, calci sui testicoli, schiaffi, colpi al torace. E insulti continui: «Comunisti di merda, froci» oppure «perché non chiamate Bertinotti o Manu Chao? Adesso, per cinque anni sono cazzi vostri».
Ci facevano sentire con le suonerie dei cellulari «Faccetta nera», ci hanno cantato una litania che ho memorizzato: uno due tre viva Pinochet, quattro cinque sei a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove, sieg heil apartheid. In uno di questi uffici mi hanno ordinato di fare delle flessioni, nudo, e poi raccogliere l’immondizia che c’era per terra. Al rientro nello stanzone di nuovo contro il muro braccia alzate, qualcuno in ginocchio faccia a terra, altri semplicemente in mezzo alla stanza faccia a terra e braccia alzate.
Per tutte quelle ore non abbiamo avuto né acqua, né cibo, né potuto dormire. Al mattino, credo verso le otto, siamo stati portati, ammanettati due a due, al carcere di Alessandria. All’arrivo siamo stati tutti picchiati e manganellati come «di prassi». In tarda serata io ed altri siamo stati rilasciati per mancata convalida dell’arresto.
Non mi sono stati restituiti gli effetti personali ad eccezione della carta d’identità e di una collanina.
Ho 39 anni, sono un impiegato, senza alcun precedente penale.
Segreteria di Coordinamento del Gruppo DB
Maurizio Bordini – Eleonora Bovero – Rosario Salzano – Luigi Santosuosso