IL PRIMO ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE SULL’OMESSA INTEGRAZIONE/AGGIORNAMENTO
Per introdurre l’argomento di questa news letter è utile richiamare la sentenza 30 agosto 2018 n. 39283 della IV Sezione della Corte di Cassazione Penale che definisce il DVR “uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalla pratica giornaliera dell’attività lavorativa”.
La Corte ha anche ricordato che “il datore di lavoro non solo ha l’obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del Decreto legislativo 9 aprile 2008 n° 81 analizzando ed individuando con il massimo grado di specificità – secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica – tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, ma è tenuto anche a sottoporre a periodico aggiornamento il suddetto documento”.
La Cassazione ha poi sottolineato che “per costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte la specificità delle previsioni contenute nel documento di valutazione sono elemento essenziale nella economia della gestione del rischio facente capo al datore di lavoro”.
Da tutto ciò consegue dunque che è contraria ad ogni logica giuridica la possibilità di concepire un documento di valutazione dei rischi immodificabile.
La questione dell’aggiornamento del DVR all’epidemia COVID 19 è stata oggetto di una specifica nota n. 89 del 13 marzo 2020 con la quale l’Ispettorato Nazionale del Lavoro indica che “ispirandosi ai principi contenuti nel Decreto legislativo 9 aprile 2008 n° 81 e di massima precauzione discendenti anche dal precetto contenuto nell’art. 2087 c.c., si ritiene utile, per esigenze di natura organizzativa/gestionale, redigere – in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente – un piano di intervento o una procedura per un approccio graduale nell’individuazione e nell’attuazione delle misure di prevenzione, basati sul contesto aziendale, sul profilo del lavoratore – o soggetto a questi equiparato – assicurando al personale anche adeguati dispositivi di protezione individuale”. E conclude che “per la tracciabilità delle azioni così messe in campo è opportuno che dette misure, pur non originando dalla classica valutazione del rischio tipica del datore di lavoro, vengano raccolte per costituire un’appendice del DVR a dimostrazione di aver agito al meglio, anche al di là dei precetti specifici del Decreto legislativo 9 aprile 2008 n° 81 “.
Con sentenza n. 20416 del 24 Maggio 2021, la IV Sezione della Corte di Cassazione Penale, si è pronunciata per la prima volta in materia di omesso aggiornamento del Documento Unico di Valutazione dei Rischi («DVR») con i rischi e le misure COVID-19, affermando che il mancato aggiornamento del DVR alle procedure previste per la prevenzione della pandemia (norme anti-COVID-19), pur obbligatorio, non integra il reato di epidemia colposa, anche nell’ipotesi in cui all’interno del luogo di lavoro si diffonda il virus.
A giudizio della Suprema Corte, infatti, per la configurabilità del delitto di epidemia colposa l’art. 438 codice penale richiede espressamente una condotta commissiva a forma vincolata (ad esempio la diffusione di germi patogeni).
Per la sentenza, inoltre, in assenza di qualsivoglia accertamento – basato su leggi scientifiche – circa l’eventuale connessione tra l’omissione contestata e la seguente diffusione del virus non è possibile ravvisare la sussistenza del nesso di causalità necessario per l’integrazione del reato.
La Corte, infatti, sottolinea come “non sia da escludere che qualora il responsabile avesse integrato il documento di valutazione dei rischi e valutato il rischio biologico, ex art. 27 Decreto legislativo 9 aprile 2008 n° 81, la propagazione del virus sarebbe comunque avvenuta per fattori causali alternativi”.
Secondo i Giudici di legittimità, in altri termini, anche se l’indagato avesse integrato il documento di valutazione dei rischi e valutato il rischio biologico, come richiesto dal DPCM 24 aprile 2020, la propagazione del virus presso il luogo di lavoro non può dunque essere considerata quale causa diretta ed automatica della mancata integrazione/aggiornamento del DVR ma sarebbe comunque potuta avvenire per fattori causali alternativi, primo fra tutti, la mancata osservanza delle misure previste dalla normativa emergenziale (come, ad esempio, per la mancata osservanza delle prescrizioni impartite in ordine all’obbligo di indossare le mascherine protettive, di mantenere il distanziamento o di isolare i pazienti già affetti da COVID, ecc.).
L’orientamento espresso dalla Suprema Corte, mette in luce un aspetto di fondamentale importanza nella gestione del rischio epidemiologico nei luoghi di lavoro: al di là degli obblighi formali ai quali il datore di lavoro è sempre tenuto ad adempiere, nell’accertamento delle responsabilità del datore di lavoro connesse alla diffusione del contagio, deve essere attribuita rilevanza prevalente al rispetto e all’implementazione in concreto di tutte le misure previste dalla normativa emergenziale ribadendo, quindi, in maniera forte ed inequivocabile che il il DVR deve essere uno strumento duttile e deve essere aggiornato in ogni momento per stare costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalla pratica giornaliera dell’attività lavorativa.